Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2003-2004


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Materiali per il corso a cura degli studenti

Patologia e alessitimia nelle organizzazioni

a cura di

daniela avidano


Perché approfondire questo argomento.

Studiando per l’esame di psicologia delle organizzazioni, mi sono accorta nei vari testi presi in esame la molteplicità degli argomenti che si ricollegavano ai temi affrontati durante il corso di psicosomatica, per esempio per quanto riguarda lo stress, le emozioni… Secondo alcune teorie l’organizzazione viene vista come un organismo, con tutte le irrazionalità, gli stati emotivi, le incoerenze, i rituali, i simboli che caratterizzano l’individuo.

Inoltre parecchi studi sottolineano anche le patologie presenti nelle organizzazioni e vengono fatte diverse classificazioni delle disfunzioni che si possono riscontrare, per esempio Kets de Vries descrive 5 stili nevrotici che si possono presentare: paranoide, ossessiva, isterica, depressiva, schizoide. Ognuno di questi hanno tratti principali, caratteristiche che descrivono la cultura le azioni e i comportamenti degli individui che ne fanno parte.

L’analisi di Kets de Vries che mi ha colpito maggiormente è stata quella di riscontrare "l’alessitimia" nella vita organizzativa.

Ho voluto quindi approfondire questo argomento, ho fatto alcune ricerche sulle banche dati consultabili via internet e su diversi libri di psicologia delle organizzazioni. Ero interessata a sapere se altri studiosi avessero fatto ricerche o studi su questo argomento. Purtroppo la mia ricerca non è stata molto facile, infatti studi e ricerche fatte su questo argomento sono pochissime, a parte quelle di Kets de Vries.

È stato pubblicato nel 1993 da Hirschhorn e Barnett un libro intitolato: "The psychodynamics of organizations" in cui è presente un capitolo di Kets De Vries intitolato: "Alexithymia in organizational life: the organizational man rivisited", tuttavia non ho potuto reperire questo testo perché non è presente in nessuna biblioteca italiana.

Nonostante queste difficoltà sono riuscita ad approfondire questo argomento anche se a mio avviso non in modo esauriente.

Cercherò di presentare un’elaborazione dei testi e articoli esaminati su questo argomento.

 

M.R.F Kets De Vries e l’organizzazione nevrotica

M.F.R. Kets De Vries viene presentato da Galimberti in un suo articolo, come uno psicologo franco-canadese, che dirige a Fonteainebleau l’insead, la più grossa scuola europea per la preparazione di manager e leader di organizzazioni aziendali e politiche.

Nel 1984 scrive il libro intitolato "L’organizzazione nevrotica", secondo questo autore, esiste una sorta di "mano invisibile" che opera nelle organizzazioni, "queste forze nascoste spesso producono disfunzioni organizzative che appaiono estremamente irrazionali". Nel suo libro si concentra in particolar modo sulle disfunzioni organizzative, sulle organizzazioni e gruppi "ammalati". Si cerca di analizzare il rapporto tra stili nevrotici individuali e organizzazioni nevrotiche, l’assunto fondamentale è che: "la personalità dei manager può influire la strategia e anche la struttura di un’organizzazione".

Spesso la cultura organizzativa agisce come "fattore discriminante di attrazione" per particolari tipi di persone. Anche se i comportamenti vengono ricondotti al mondo interno dei soggetti, essi possono alimentare "fantasie condivise", che possono invadere l’intera organizzazione e possono anche influenzare gli altri membri che la compongono.

Si può, così, cercare di analizzare e descrivere le patologie organizzative, con l’equivalenza tra cultura dell’organizzazione e la personalità dell’individuo. Per cultura non si intendono solo l’insieme delle norme e dei valori condivisi, i principi e le abitudini quindi il volto dichiarato, ma piuttosto le dinamiche profonde, le emozioni, i vissuti spesso inconsci che compongono l’organizzazione.

Kets De Vries sottolinea inoltre la presenza del rapporto di interdipendenza, infatti è da una parte l’individuo che sceglie e determina la cultura, ma dall’altra la cultura organizzativa seleziona e influenza la personalità dell’individuo.

Vengono poi descritti gli stili nevrotici caratterizzati da una fantasia prevalente, con cui si intende un "pensiero fisso", diffuso tra i componenti si un’organizzazione.

I vari tipi di organizzazione risultano essere:

PARANOIDE: caratterizzata dalla diffidenza e mancanza di fiducia verso gli altri, ipervigilanza, insicurezza. Viene percepita, all’interno, una costante minaccia esterna (per esempio la concorrenza), la presenza di una forza sovrastante e minacciosa pronta a colpire è una delle fantasie ricorrenti; di conseguenza si noteranno atteggiamenti difensivi.

OSSESSIVA: in cui prevarrà perfezionismo, preoccupazione per i dettagli e insistenza, lo scopo sarà l’ottenimento del consenso generale. Vi sarà il bisogno di adempire allo svolgimento delle attività. Spesso ci saranno eccessivi controlli una formalità che prevarrà sul contenuto, si cercheranno di evitare le sorprese e di annullare le incertezze.

ISTERICA: le organizzazioni di questo tipo saranno iperattive, impulsive, temerarie e prive di inibizioni. Avranno leader narcisisti che daranno molta importanza all’immagine esteriore. Vi sarà inoltre superficialità e mancanza di controllo.

DEPRESSIVA: al contrario dell’organizzazione isterica, questa sarà caratterizzata da inattività, mancanza di fiducia, demotivazione, inadeguatezza, conservazione e isolamento. Sono spesso organizzate in modo burocratico, in cui gli aspetti peculiari sono la routine, staticità e automaticità. La fantasia predominante è l’inutilità dei risultati conseguiti, che pervade i soggetti che ne fanno parte. I manager saranno pervasi da apatia e passività, e saranno quindi predisposti a un "disturbo alessitimico".

SCHIZOIDE: le caratteristiche principali saranno distacco, mancanza di coinvolgimento, tendenza a rinchiudersi, estraniazione, indifferenza, individualismo, disinteresse. I leader oltre ad essere distaccati emotivamente, presenteranno il mondo esterno popolato da individui che non meritano la loro fiducia e che per questo alimentano l’infelicità. La fantasia dominante sarà rappresentata da un senso di insoddisfazione verso il mondo.

Questi sono gli stili nevrotici illustrati da Kets De Vries tuttavia non viene spiegato l’effettivo legame tra il disturbo di personalità del leader e il riproporsi del disturbo nella cultura organizzativa. A tal proposito per cercare di spiegare meglio questo punto riprende gli assunti di base teorizzati da Bion e presenti in un gruppo di lavoro.

 

Che cos’è un’organizzazione?

Quando si pensa ad un’organizzazione si ha la tendenza a visualizzarla con una sua struttura ben definita, con un’insieme di individui che vi lavorano, con obiettivi ben definiti e condivisi da tutti. Ma appena ci si addentra nello studio oppure ci si sofferma ad osservare le varie organizzazioni di cui facciamo parte, ci accorgiamo che questa definizione è una vera e propria utopia.

Infatti Allcorn dà una definizione che va oltre all’apparenza e si concentra sulle persone che la compongono, alle loro azioni, pensieri, sentimenti ed emozioni che la rendono viva, dinamica, instabile, spesso illogica e irrazionale: "Le organizzazioni non sono fatte soltanto con mattoni e calce, prodotti e denaro; esse sono fatte anche di persone. Le persone le creano, le fanno funzionare, e le nutrono nei loro cuori e nelle loro menti. Le persone sono l’aspetto più importante delle organizzazioni, e sono spesso l’aspetto più importante della vita quotidiana di lavoro".

Se la nostra analisi della vita organizzativa si concentra sulle persone che la compongono ci accorgiamo della complessità e della difficoltà nella gestione e comprensione. Inoltre i soggetti sono spesso mossi, nelle loro azioni, da scopi ben diversi dagli obiettivi generali che un’organizzazione si dà, talvolta sono in conflitto, e se non ci cerca di comprendere meglio le motivazioni che spingono gli individui a compiere determinate azioni, si rischia di sottovalutare le dinamiche interne, le sottoculture organizzative che inevitabilmente si formano, che spesso possono vivere parallelamente, contrastare o al contrario condividere la cultura dell’organizzazione. Quindi se questi aspetti non vengono considerati si rischia di creare un clima caratterizzato da incomprensioni, insoddisfazioni, stress… che allontanano il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

L’organizzazione non può essere vista come un qualcosa di statico, ma al contrario come un processo in continua evoluzione, soggetto a continue trasformazioni e adattamenti. E’ influenzato dalle aspettative degli individui, dal contesto e dalla società in cui si trova.

Secondo Kets de Vries bisogna quindi allontanarsi dagli approcci razionali per la spiegazione dei processi organizzativi, al contrario è importante focalizzarsi sulle psicodinamiche che agiscono a livello di relazione, interazione e motivazioni degli individui. E’ importante indagare le fantasie, i desideri, i conflitti, le difese che caratterizzano i soggetti e che possano talvolta essere contenute e altre volte al contrario possono esistere all’interno e minare alla "salute" dell’organizzazione.

Bisogna anche evidenziare e tenere in considerazione la razionalità limitata che è intrinseca in ogni individuo e che di conseguenza caratterizza la vita organizzativa. Inoltre le differenze esistenti tra le comunicazioni manifeste all’interno di organizzazione e le influenze dei pensieri latenti che spesso difficili da comprendere.

È importante integrare lo studio dell’organizzazione a quello degli individui che la compongono, concentrandosi e studiando i due processi di individualizzazione e di integrazione, e dell’influenza esercitata dall’organizzazione sull’individuo e secondo Kets De Vries anche "l’esistenza dell’attrazione tra particolari tipi di individui e specifiche realtà organizzative."

La vita organizzativa diventa un vero e proprio teatro in cui ci sono diversi attori che interpretano una parte, e come dice Kets De Vries: "La strada per comprendere le dinamiche della vita organizzativa dipende spesso dalla comprensione di quello che può essere definito il ‘teatro interno’ dei suoi capi-chiave".

 

Alessitimia nella vita organizzativa

Per una persona lavorare può essere molto importante, oltre al corrispettivo in denaro, può essere fondamentale per il riconoscimento sociale, la soddisfazione, il senso di appartenenza il sentirsi competenti e utili, per instaurare relazioni interpersonali, per raggiungere il prestigio ecc. le motivazioni possono quindi essere le più disparate.

In secondo luogo un’organizzazione può offrire certezze, contenimento, appigli per l’instabilità individuale, può diventare in certe situazioni un rimedio alla noia, alla solitudine e all’incertezza delle persone, tuttavia può anche avere l’effetto contrario, alimentando il senso di inutilità, l’incertezza e la sofferenza dei soggetti. In quest’ultimo caso agli individui sorgono interrogativi sul "significato di esistere".

Se la persona non riesce ad integrarsi sviluppa, secondo Kets de Vries, un adattamento difettoso al lavoro, assumendo una forma di alienazione. Lo psicologo così definisce "l’uomo alienato: ammette a se stesso di non provare nulla, di non poter avvicinare le persone, che ogni cosa gli sembra irreale e senza significato, che la vita passa come un film e lui gioca il ruolo dello spettatore disinteressato". Nonostante ciò l’individuo assume un comportamento "normale", struttura il proprio comportamento adeguandosi alle norme esterne, diventando uno "strumento" per l’organizzazione.

Kets de Vries chiama questo "uomo alienato" soggetto come se, che vede le altre persone come se fosse uno spettatore, è incerto sulla realtà e su ciò che lo circonda, enfatizza e diventa partecipe della finzione.

Partendo dall’individuo come se, l’autore analizza alcune patologie organizzative: l’ALESSITIMIA e la dipendenza dal lavoro.

Osservando gli attori organizzativi si può scorgere il soggetto che appare privo di ogni carattere individuale e di ogni qualità soggettiva. Questa persona è "incapace di esprimere sentimenti, di parlare di sé e di instaurare relazioni autentiche con gli altri".

"…Alla passione e agli affetti preferirà (…) il ricorso all’azione, che scoprirà essere l’unica modalità attraverso la quale poter descrivere quello che sente: eviterà i conflitti, bandirà fantasie, disdegnerà i sentimenti"; "anaffettivo, an-estetico, emozionalmente deprivato, si terrà a debita distanza dal proprio mondo interno, congelerà il dialogo con gli altri, coltiverà l’apparenza".

Kets de Vries trasferisce così questo profilo che corrisponde al disturbo alessitimico al mondo dell’organizzazione. In questo contesto l’alessitimia si manifesta attraverso l’incapacità di distinguere e differenziare gli affetti, monotonia delle idee, impoverimento dell’immaginazione, mancanza di rappresentazioni simboliche, questo avviene per mascherare il senso di noia, indifferenza e frustrazione, come viene ampiamente descritto nel libro "Psicodinamica della vita organizzativa" di Quaglino.

Questo stato interiore comporta una scarsa empatia, distacco, indifferenza, rifugio in un mondo esterno, inseguendo il tentativo di riempire il vuoto del proprio mondo interiore. Ket de Vries descrive questi soggetti che: "(…) tendono a negare e rifiutare l’esistenza dei sentimenti (…) data la loro capacità di rifiutare sentimenti non sperimentano conflitti intrapsichici, addirittura li ignorano. Il loro comportamento fisico è a volte quello di un robot".

Se un comportamento simile si presenta all’interno dell’organizzazione, ci si chiede subito l’origine di un tale disturbo. Ci si pone questo interrogativo: è l’individuo a portare la propria patologia o è l’organizzazione che ne favorisce lo sviluppo?

Da una parte l’individuo entra con una propria struttura di personalità che può influenzare e modificare il sistema in cui si trova, ma come viene sottolineato anche nel libro di Quaglino, è ampiamente comprovato che sono soprattutto le grandi organizzazioni a esercitare attrazione sugli alessitimici. Alcune organizzazioni infatti promuovono e legittimano determinati comportamenti che possono essere valutati come patologici.

Diversi esemplificazioni possono spiegare meglio le "patologie organizzative", per esempio la tendenza alla "negazione dell’individualità" a favore di un conformismo, l’accentuazione della mediocrità, l’esclusione dell’imprevedibilità e i ripetuti tentativi di disincentivare la creatività, le innovazioni, le idee e le intuizioni individuali che potrebbero minare al controllo, alla prevedibilità e alla gestione degli eventi.

La cultura organizzativa che favorisce l’alessitimia promuove la stagnazione e la mediocrità, infatti viene detto che "Molte organizzazioni sembrano incoraggiare il comportamento alessitimico. Dopo tutto gli alessitimici sembrano essere prevedibili, e le organizzazioni amano la prevedibilità. Alcune organizzazioni non vogliono avere individualisti in giro. (…) non amano persone che disturbano e modificano la routine".

Kets de Vries parla degli alessitimici anche come analfabeti dei sentimenti, e forse sta proprio in questo tratto il vantaggio per l’organizzazione. Le persone che perdono il contatto con il mondo interno, non riconoscono le proprie emozioni, non essendo così in contatto con i propri sentimenti diventano assai disponibili alle richieste dell’organizzazione.

Come viene anche detto nel libro di Solano, nel capitolo che riguarda il disturbo alessitimico, i soggetti che sono scarsamente a contatto con le proprie emozioni, sono privi della possibilità di utilizzare queste ultime come base per il pensiero e la motivazione, queste persone quindi "non sanno cosa vogliono". Percepiscono gli eventi come determinati essenzialmente dal caso, dal destino, dal volere di altri e quindi da cause esterne.

Anche Galimberti, in un suo articolo intitolato: "La politica dei sogni: quando il leader promette l’impossibile", parlando dei leader cita Kets de Vries e riguardo al disturbo alessitimico, si chiede se i leader abbiano un anima.

Parla di spersonalizzazione e di adattamento alle regole del conformismo, inoltre il leader all’interno dell’organizzazione non ha più un’identità personale, ma persegue gli interessi dell’organizzazione.

L’alessitimia è definita come "l’incapacità di trovare parole per descrivere i propri sentimenti", che comporta sterilità emotiva, monotonia delle idee e impoverimento dell’immaginazione.

"(…) privi di capacità empatica gli alessitimici, fra i quali si possono annoverare tutti i leader, presentano al di là del recitato entusiasmo, tratti di indifferenza e freddo distacco (…) segnalano gravi difetti di partecipazione emotiva e mancanza di qualità umana nelle relazioni".

Le organizzazioni promuovono così a situazioni di comando chi è affetto da questo disturbo, "…la povertà della loro realtà interiore eviterà confusioni sulle decisioni da prendere in quella esterna…", infatti gli alessitimici, date le caratteristiche del loro disturbo, hanno una sorta di iperadattamento alla realtà esterna.

Come viene sottolineato nel libro "Psicodinamica della vita organizzativa" è un vantaggio illusorio precludersi un linguaggio dettagliato, ricco e creativo che deriva dalle emozioni.

Un altro disturbo che si può riscontrare nella vita organizzativa è la dipendenza dal lavoro.

Come sintomo principale presentano un coinvolgimento in un’attività incessante, l’incapacità di fermarsi, di godere del tempo libero e di oziare. Sono molto efficienti, si sentono i migliori e insostituibili, non sono mai soddisfatti del lavoro svolto, muovono molte e pesanti critiche contro se stessi. Sono sempre in attività, sviluppano un elevato livello di stress, l’unica soddisfazione deriva dal loro successo.

 

Conseguenze di organizzazioni "patologiche"

Le organizzazioni cercano quindi più o meno consapevolmente di minare l’individualità e la creatività dei singoli individui, vengono favorite le qualità collettive, premiando la mediocrità e spesso la passività dimostrata. Queste persone vengono promosse, riescono a raggiungere livelli alti di carriera proprio grazie al loro basso coinvolgimento, all’assenza di empatia e di relazioni "calde" con gli altri collaboratori.

Come sottolinea anche Kets de Vries il lavorare molto spesso non dà la felicità e non contribuisce alla realizzazione dell’equilibrio tra mondo interno e mondo esterno che è molto importante per l’integrazione personale.

Gli atteggiamenti degli individui verso il lavoro sono ambivalenti, spesso sono influenzati da perdita di significato, isolamento, estraneità del sé che possono comportare ad "uno stato mentale precario e problematico". Quindi mentre per alcune persone il lavoro potrà essere sinonimo di realizzazione, riconoscimento e benessere per altri al contrario evocherà risentimento, frustrazione e fatica. Spesso caratterizzato anche da sentimenti depressivi di impossibilità di cambiare e migliorare la situazione in cui ci si trova.

 

Nella vita di tutti i giorni…

Nella vita di tutti i giorni, osservando le varie organizzazioni con cui veniamo a contatto, o ascoltando testimonianze di persone che lavorano negli ambiti più differenti si può riscontrare questa sempre maggiore difficoltà dell’individuazione da parte dei soggetti che ne fanno parte.

Quando gli individui entrano a far parte non solo di una struttura ma di un sistema con una propria cultura e una storia, diventa difficile e faticoso emergere, in numerose situazioni saranno costretti ad arrivare a compromessi, altrimenti potranno dover fronteggiare situazioni spiacevoli caratterizzate da ricatti, raggiri, che il mondo esterno che in questo caso è rappresentato dall’organizzazione che si contrappone alla propria identità.

Inoltre in certi casi ci si trova in circostanze inspiegabili, cambiamenti e comportamenti di difficile comprensione che non aiutato l’individuo nella sua elaborazione e reazione.

Il successo del percorso di individuazione è rappresentato dal raggiungimento di un equilibrio funzionale e costruttivo, di cui fanno parte due dimensioni: il rapporto tra individuo e mondo esterno, dall’altro tra individuo e proprio mondo interno.

 

 

 

Conclusioni

Sicuramente approfondendo questo argomento si nota un’accezione pessimistica nello studio delle organizzazioni, che tuttavia si riscontra molto spesso quotidianamente.

Ci sono alcuni interrogativi a cui non ho trovato risposta, il primo riguarda la scarsità di ricerche effettuate su questo argomento, tuttavia in molti testi e articoli vengono spesso citate le teorie di Kets De Vries.

L’altro interrogativo è se ci si possa veramente imbattere in un’organizzazione alessitimica, anche se come è stato detto spesso certi leader o soggetti nel proprio lavoro sviluppano comportamenti del tutto simili ai disturbi alessitimici.

Infine non vengono dati molti suggerimenti di intervento se non quello di mettere al primo posto gli individui, le emozioni, le motivazioni e la personalità di ciascun individuo nell’organizzazione. E dell’importanza della narrazione come strumento per "pensare" e rielaborare i vissuti all’interno dell’organizzazione.

 

Bibliografia

Kets De Vries Alexithymia in organizational life: The organization man rivisited.

Human Relations. Vol 42 (12) Dec 1989.

Hirschhorn, Barnett. The psychodynamics of organizations. Labor and social change 1993 (abstract)

Quaglino. Psicodinamica della vita organizzativa. Cortina editore 1996.

Galimberti. La politica dei sogni: quando il leader promette l’impossibile.

Hatch. Teoria dell’organizzazione. Mulino. 1997

Galimberti. Dizionario di psicologia. 1999 Garzanti