Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2000-2001


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Materiali per il corso a cura degli studenti

Può la neurobiologia insegnarci qualcosa sulla coscienza?

Scheda riassuntiva del lavoro

Can Neurobiology Teach us Anything about Consciousness?
di Patricia Smith Churchland

a cura di
Silvia Mascherpa
Igor Silvio Milani


1) Introduzione

Nonostante i continui progressi delle neuroscienze non comprendiamo ancora come le innumerevoli capacità del sistema nervoso umano siano attribuibili al funzionamento neuronale. Ancora più incomprensibile è la capacità di essere coscienti di quello che si sta facendo.

In questo articolo, l’autrice assume che le neuroscienze possano svelare i meccanismi fisici che sottendono alle funzioni psicologiche e quindi che le capacità della mente umana siano in realtà capacità del cervello umano. Tale assunzione, in netto contrasto con il dualismo cartesiano, è supportata da evidenze empiriche ottenibili dalla fisica, dalla chimica, dalla biologia evolutiva, eccetera.

L’autrice sottolinea la necessità di provare a spiegare i macrolivelli (proprietà psicologiche) in termini di microlivelli (proprietà della rete neurale). Il suo, quindi, è un punto di vista riduzionista, ma non nel senso più classico del termine. Infatti, secondo la Churchland:

Molti aspetti tradizionali della spiegazione del comportamento umano non sono probabilmente adeguati alla realtà dell’eziologia del comportamento. L’autrice parla quindi di “materialismo eliminativo”, enfatizzando la possibilità di revisionare o addirittura sostituire le preesistenti descrizioni ad alto livello con categorie ad alto livello “neurobiologicamente armoniose”. Queste ultime consentono spiegazioni coerenti e integrate a partire dall’intero cervello, scendendo attraverso i sistemi neurali, le grandi reti, le microreti e i neuroni.

 

2) Argomenti contro il fine neurobiologico

Considereremo cinque principali classi di obiezioni contro la possibilità di spiegare le capacità psicologiche, inclusa la capacità di essere coscienti, attraverso i meccanismi neurobiologici:

A..   L’obiettivo è assurdo (incoerente)

Una serie di motivi per condannare la strategia di ricerca riduzionista è riassunta da questa asserzione: “Non posso immaginare che vedere il blu o sentire dolore, per esempio, potrebbe consistere in un qualche pattern di attività dei neuroni cerebrali”. Spesso, oggi come in passato, la conclusione “è impossibile”, tratta dalla premessa “è inimmaginabile”, ha mascherato il nucleo fallace delle argomentazioni teoriche, ovvero la mancanza di dati empirici. Il fatto di non riuscire ad immaginare alcune possibilità non denota alcuna limitazione metafisica di ciò che possiamo arrivare a comprendere e non predice nulla di significativo circa il futuro della ricerca scientifica. Infatti, così come alcune certezze a priori si sono rivelate, nel corso della storia, fallimentari dal punto di vista empirico, così l’asserzione “impossibile da spiegare” è stata molto spesso inficiata dal progresso della scienza.

 

B.  L’obiettivo è inconsistente con “multipla realizzabilità”

Il nucleo di questa obiezione è che se un macrofenomeno può essere il risultato di più meccanismi, allora non può essere identificato con nessun singolo microfenomeno sottostante.

L’autrice replica a tale obiezione affermando che:

 

C.  Il cervello causa la coscienza

Secondo John Searle, benché il cervello causi gli stati di coscienza, qualsiasi identificazione di tali stati con le attività cerebrali è errata. Tutto ciò in cui può sperare un riduzionista è di trovare “correlazioni” tra stati soggettivi e stati cerebrali che possono dimostrare una causalità, ma non necessariamente un’identità.

Per gli scienziati, tuttavia, è più facile dire che A e B sono la stessa cosa piuttosto che dire che B è causato da A. Ad esempio la temperatura non è causata dall’energia cinetica molecolare: essa è energia cinetica molecolare.

Allo stesso modo, secondo l’autrice, sarà favorita l’ipotesi che la consapevolezza è semplicemente un pattern di attività neuronale.

 

D  Perché la coscienza è una macchina virtuale

Questo è il punto di vista di Dennett. Come Searle, Dennett non è dualista, ma, a differenza di Searle, crede che lo studio fisiologico e anatomico del cervello non possa condurre alla comprensione della natura della coscienza. Secondo lui, l’uomo diventa cosciente acquisendo il linguaggio e imparando a parlare a se stesso. Questo equivale a creare una “macchina virtuale della coscienza” nel cervello. E’ come creare una macchina virtuale per simulare il pilotaggio di un aereo sul video del computer installando il software. Così come non possiamo sapere niente di più sulla simulazione di volo studiando le parti interne del computer, non possiamo sapere niente di più sulla coscienza studiando le parti interne del cervello mentre è cosciente. Quindi, secondo Dennett, non è la neurofisiologia a spiegare la coscienza, ma sono sufficienti gli strumenti della psicologia sperimentale.

La pretesa di Dennett che la coscienza si acquisisca con l’acquisizione del linguaggio è stata messa in discussione. Il fulcro delle critiche è sul fatto che, secondo l’autore, esiste solo la performance e quindi spiegare l’esperienza della coscienza equivale a spiegare la coscienza stessa.

 

E  Il problema è dietro la nostra debole intelligenza

E’ talmente complicato il nostro cervello (tanto quanto è veloce) che come facciamo a stargli dietro?  Vale comunque la pena di continuare la ricerca.

 

3) Alla ricerca dei meccanismi neurali della coscienza

A.  Trovare una strada

La via principale consiste nello studiare pazienti con lesioni cerebrali, anche attraverso l’uso di strumenti di scannerizzazione, i quali ci hanno permesso di collegare specifici tipi di perdite funzionali con particolari regioni del cervello. Il fine è quello di individuare il meccanismo neurologico alla base della coscienza.

 E’ forte per l’autrice l’influenza di Crick, il quale enfatizza la necessità di affrontare il problema da un punto di vista scientifico, ossia adottando un approccio di tipo sperimentale. L’ipotesi di lavoro è che, se una persona è consapevole di uno stimolo, il suo cervello sarà per alcuni aspetti diverso rispetto alla condizione in cui essa è sveglia e attenta, ma inconsapevole dello stimolo. Una strategia promettente consiste nello scoprire tali differenze, servendosi dei dati derivanti da studi su lesioni e di strumenti quali la PET, la MEG e così via.

 

B.  Consapevolezza visiva

Secondo Crick, la consapevolezza visiva può essere il punto di partenza per lo studio del problema. Nel caso della visione, infatti, possiamo fare riferimento a un’enorme letteratura sulla psicofisica visiva e sulle lesioni in esseri umani ed animali e sappiamo moltissimo sulla neuroanatomia e neurofisiologia del sistema visivo.

1) L’ipotesi di Crick

Riguarda le strutture cerebrali che potrebbero avere un ruolo centrale nel far sì che l’animale sia o meno consapevole dello stimolo visivo. Secondo l’autore tali strutture sono da identificare in alcune specifiche aree corticali sensoriali visive.

2) L’ipotesi di Llinas

Un’altra promettente strada di accesso è data dallo studio del ciclo sonno-veglia. Attraverso le tecniche sopra descritte, Llinas individua nei nuclei intralaminari del talamo la possibile sede della consapevolezza. A sostegno di ciò, si è verificato che le piccole lesioni unilaterali a tale livello causano la non consapevolezza di tutti gli stimoli provenienti dal lato opposto del corpo (neglect), mentre le lesioni bilaterali sembrano causare una generale incapacità di attivazione.

 

Sono compatibili le ipotesi di Llinas e di Crick?

Il punto di incontro è che la sincronia temporale che Crick ipotizza nei neuroni che portano i segnai circa gli stimoli esterni, possa essere orchestrata dal circuito intralaminare-corticale, lo stesso ipotizzato da Llinas come responsabile della consapevolezza.

Naturalmente è di norma la prudenza nel senso che queste ipotesi sono ancora tutte da verificare.

Una terza ipotesi sulla coscienza è quella di Damasio. Secondo l’autore esisterebbe una rappresentazione neurale del corpo che dà luogo alla consapevolezza e che può essere indagata con le tecniche della neuropsicologia e della neurobiologia, al pari delle altre rappresentazioni del cervello.

L’autrice vede i tre approcci neuroscientifici di Crick, Llinas e Damasio come strategie complementari che posso costituire differenti ma sovrapposti segmenti di un grande e complesso problema.

  

4) Osservazioni finali

Alcune cose che un tempo ci sembravano inspiegabili, oggi sono state chiarite dalla scienza. E’ auspicabile quindi che anche il problema della coscienza  possa prima o poi avere una risposta.