Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2000-2001


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Materiali per il corso a cura degli studenti

Può la neurobiologia insegnarci qualcosa sulla coscienza?

Traduzione in italiano del lavoro

Can Neurobiology Teach us Anything about Consciousness?
di Patricia Smith Churchland

a cura di
Silvia Mascherpa
Igor Silvio Milani


1) Introduzione:

Il sistema nervoso umano mostra una serie impressionante di capacità complesse, incluse le seguenti: percezione, apprendimento e memoria, pianificazione, processi decisionali, azioni complesse, così come le capacità di essere svegli, addormentarsi, sognare, prestare attenzione ed essere consapevoli. Sebbene le neuroscienze abbiano fatto enormi progressi in questo secolo, non comprendiamo ancora come le capacità suddette siano attribuibili al funzionamento neuronale. Non comprendiamo completamente come gli esseri umani possano essere coscienti, ma neanche come possano camminare, correre, arrampicarsi sugli alberi o eseguire un salto con l’asta. In ogni caso, la consapevolezza è intrinsecamente più misteriosa del controllo motorio.  Accanto al disappunto per la non completa comprensione di questi fatti, c’è un cauto ottimismo, basato principalmente sulla natura dei progressi fatti. Per la neuroscienza cognitiva è già passato ciò che i filosofi scettici hanno considerato possibile e il continuo progresso sembra dar loro ragione.

Assumendo che le neuroscienze possano svelare i meccanismi fisici che sottendono alle funzioni psicologiche, sto affermando che è effettivamente il cervello a svolgere queste funzioni ( ossia che le capacità della mente umana sono in realtà capacità del cervello umano). Questa assunzione e il suo implicito rifiuto del concetto cartesiano dell’anima separata dal cervello non è una sciocchezza. Al contrario è un’ipotesi altamente probabile, basata su evidenze attualmente ottenibili dalla fisica, dalla chimica, dalle neuroscienze e dalla biologia evolutiva. Dicendo che il fisicismo è un’ ipotesi, intendo sottolineare il suo status di questione empirica. Non sto dicendo che è una questione di analisi concettuale, di insight a priori, o di fede religiosa, sebbene apprezzi che non tutti i filosofi siano concordi su questo punto.

 Inoltre sono convinta che la giusta strategia per capire le capacità psicologiche sia essenzialmente riduzionista. Con questo intendo dire che la comprensione dei meccanismi neurobiologici è una necessità. Se la scienza riuscirà infine a ridurre i fenomeni psicologici ai fenomeni neurobiologici è ovviamente un’altra questione empirica. Adottare la strategia riduzionista significa provare a spiegare i macrolivelli (proprietà psicologiche) in termini di microlivelli (proprietà della rete neurale).

Il fondamento logico di questa strategia di ricerca è comprensibile: se vuoi capire come una cosa funziona, hai bisogno di capire non solo il suo profilo comportamentale, ma anche le sue componenti di base e come queste siano organizzate per costituire un sistema. Se non hai il progetto completo a disposizione devi usare la tattica inversa, cioè prendere un pezzo del congegno per vedere come funziona. Poiché sto cercando di scoprire le spiegazioni “macro” dalle “micro” sono una riduzionista.  Poichè molti filosofi concordano con me sulla natura dell’anima basata sul cervello, ma nodimeno inveiscono contro il riduzionismo in quanto ridicolo se non addirittura pietoso, è ora necessario che io inizi a spiegare brevemente cosa intendo e cosa non intendo per “strategia di ricerca riduzionista”.

 Partendo dalla definizione negativa, posso dire che una strategia di ricerca riduzionista non implica una strategia puramente “bottom-up”. Per quanto io sappia, non c’è nessuno in neuroscienza che pensi che il modo per capire il sistema nervoso sia prima di tutto capire ogni cosa sulle molecole di base e quindi tutto su ogni neurone e ogni sinapsi, per poi continuare a salire ai vari livelli di organizzazione fino a giungere al gradino più alto dei processi psicologici. Neppure non esiste niente nella storia della scienza che dica che la strategia di ricerca è riduzionista solo se è unicamente bottom-up. Questa definizione è assolutamente sbagliata. La ricerca dietro al successo del riduzionismo classico ( si vedano la spiegazione della termodinamica in termini di meccanica statistica; la spiegazione dell’ottica in termini di radiazione elettromagnetica; la spiegazione della trasmissione ereditaria in termini di DNA ) certamente non era conforme a un ordine di ricerca puramente bottom-up.

Il mio punto di vista è che sarebbe più saggio fare ricerca su più livelli contemporaneamente, dal molecolare, passando per le reti, i sistemi e le aree cerebrali e naturalmente il comportamento. In questo modo le ipotesi a vari livelli possono co-evolvere correggendosi e completandosi l’ una con l’altra. I neuroscienziati sarebbero sciocchi a ignorare i dati psicologici, così come gli psicologi sarebbero sciocchi ad ignorare in blocco i dati della neurobiologia.

In secondo luogo, nell’utilizzare la ricerca riduzionista, non ritengo che ci sia qualcosa di indecoroso o non scientifico o altrimenti disgustoso circa le descrizioni di alto livello o sulle capacità di per sé. Sembra ovvio, per fare un esempio, che certe proprietà del sistema nervoso sono proprietà di rete risultanti dai tratti individuali della membrana di vari tipi di neuroni e dal modo in cui essi interagiscono. Il riconoscere che qualcosa è la faccia di Arafat, per esempio, quasi certamente emerge dai profili di responsività dei neuroni nella rete e dai modi in cui quei neuroni interagiscono. Il concetto di “emergenza” indica qui approssimativamente una proprietà della rete. Determinare precisamente che cos’è la proprietà della rete richiederebbe naturalmente un grandissimo sforzo sperimentale.  Inoltre, poiché il comportamento neuronale è altamente non lineare, le proprietà della rete non sono mai una semplice somma delle parti. Ci sono alcune funzioni, alcune complicate funzioni, che riguardano le proprietà delle parti. Le capacità di alto livello chiaramente esistono e le descrizioni ad alto livello sono quindi necessarie per specificarle.

Il “materialismo eliminativo” fa riferimento alle ipotesi che: 1) il materialismo è molto probabilmente vero e inoltre 2) molti aspetti tradizionali della spiegazione del comportamento umano non sono probabilmente adeguati alla realtà dell’eziologia del comportamento.  Per fare un’analogia, così come il “fluido calorico” è stato utile ma fondamentalmente erroneo nel comprendere i fenomeni termici ( conduzione, convezione, radiazione ), così molte categorie psicologiche comunemente invocate possono essere in qualche modo utili ma fondamentalmente fuorvianti nel sondare l’eziologia comportamentale. Altre definizioni esistenti di capacità possono avere un nucleo di adeguatezza, ma necessitare di maggiori revisioni, così come la nozione Mendeliana di “fattore” è stata modificata dalla genetica nella nozione di “gene”, che a sua volta è stata modificata e approfondita dalla biologia molecolare. Alcune categorie, quali ad esempio “atteggiamento”, sono estremamente vaghe e potrebbero essere rimpiazzate tutte; altre , come “sta dormendo” sono state sottoposte a un “frazionamento” : l’EEG e la ricerca neurofisiologica hanno rivelato importanti differenze cerebrali nei vari stadi del sonno. Categorie quali “memoria”, “attenzione”, e “ragionamento” sono parimenti sottoposte a revisione nel progredire della psicologia sperimentale e delle neuroscienze. Rimane da vedere se c’è una realtà neurobiologica a sostegno di nozioni quali “credenza” e “desiderio” come sono state articolate da filosofi moderni, come Fodor e Searle,  benchè Paul Churchland ed io crediamo che anche qui la revisione sia necessaria. L’ipotesi della predizione revisionale è anche un’ipotesi empirica ed è una per la quale il supporto empirico esiste. 

La possibilità di revisioni significative e anche di sostituzioni delle esistenti descrizioni ad alto livello con categorie ad alto livello “neurobiologicamente armoniose” è il punto cruciale che rende eliminativo il “materialismo eliminativo”. Per categorie “neurobiologicamente armoniose” intendo quelle che permettono spiegazioni coerenti e integrate dall’intero cervello scendendo attraverso i sistemi neurali, le grandi reti, le microreti e i neuroni. Solo uno sciocco direbbe che non ci sono capacità e fenomeni di alto livello. Il mio punto di vista qui riflette semplicemente questo fatto: noi abbiamo una profonda incomprensione di ciò che il cervello, ai suoi più alti livelli, esattamente faccia. In accordo con quanto detto, sono passibili di revisione anche le nostre più fondate intuizioni circa le funzioni di mente e cervello. La presa di coscienza di questa “revisionabilità” è ciò che fa la  differenza nel modo di condurre gli esperimenti psicologici e neurobiologici e di interpretare i risultati.

 

2) Argomenti contro il fine neurobiologico

Negli ultimi decenni, sono state espresse delle riserve da parte di un certo numero di filosofi circa la possibilità di spiegare le capacità psicologiche, inclusa la capacità di essere coscienti, attraverso i meccanismi neurobiologici. Di conseguenza può essere utile considerare le basi di queste riserve, al fine di determinare se esse giustifichino l’abbandono dell’obiettivo o comunque smorzino le nostre speranze su ciò che può essere scoperto circa la mente/cervello.

Considereremo cinque principali classi di obiezioni, sacrificando i dettagli a favore dell’essenza.

A  L’obiettivo è assurdo (incoerente)

Una serie di motivi per condannare la strategia di ricerca riduzionista è riassunta da questa asserzione: “non posso immaginare che vedere il blu o sentire dolore, per esempio, potrebbe consistere in un qualche pattern di attività dei neuroni cerebrali”, o più crudamente “non posso immaginare come si possa tirar fuori la consapevolezza da un pezzo di carne”.

Spesso, oggi come in passato, la conclusione “è impossibile”, tratta dalla premessa “è inimmaginabile”, ha mascherato il nucleo fallace delle argomentazioni.

Dato quanto poco dettagliatamente conosciamo circa il modo in cui il cervello umano inglobi nei suoi neuroni le sue diverse capacità, è altresì predicibile che dovremmo avere difficoltà nell’immaginare i meccanismi neurali.

Quando la comunità scientifica ignorava questioni quali la valenza, gli strati elettronici e così via, i filosofi naturali non potevano immaginare come si potesse spiegare la malleabilità dei metalli, la magnetizzabilità del ferro o la resistenza dell’oro alla ruggine nei termini delle sottostanti componenti e della loro organizzazione. Fino all’avvento della biologia molecolare molti pensavano che fosse inimmaginabile, e quindi impossibile, che l’essere viventi potesse consistere in una particolare organizzazione di molecole “morte”.

Dal “vantaggioso punto di vista dell’ignorante”, il fallimento di immaginare alcune possibilità è solo questo: un difetto di immaginazione – una capacità psicologica tra le altre. Ciò non denota alcuna limitazione metafisica di ciò che possiamo arrivare a comprendere, e non predice nulla di significativo circa il futuro della ricerca scientifica. Dopo una riflessione sulla spaventosa complessità del problema della termoregolazione negli esseri omeotermi come noi, non riesco ad immaginare come il cervello possa controllare la temperatura corporea nelle diverse condizioni. Sospetto, tuttavia, che questo sia un fatto psicologico relativamente non interessante della mia persona, che riflette meramente il mio stato attuale di ignoranza. Non è un interessante fatto metafisico riguardante l’universo, né un fatto epistemologico riguardante i limiti della conoscenza scientifica.

Una variazione della proposta “non posso immaginare” è “non potremo mai sapere”, o “non sarà mai possibile capire”, o “sarà per sempre oltre le possibilità della scienza dimostrare che…”. Qui l’idea implicita è che qualcosa che è impossibile da concepire dica qualcosa di decisivo circa la sua impossibilità empirica o logica. Io non dico che simili proposte non siano mai rilevanti, ma sono eccessivamente ambiziose quando la scienza è ai primi stadi nello studio di un fenomeno.

Così come alcune certezze “a priori” si sono rivelate, nel corso della storia, fallimentari dal punto di vista empirico, così l’asserzione “impossibile da spiegare “ è stata molto spesso inficiata dal progresso scientifico.

L’impossibilità di uno spazio non-Euclideo, l’impossibilità che le linee parallele possano convergere nello spazio reale, l’impossibilità di dimostrare che alcuni eventi sono indeterminati o che qualcuno in un dato momento sta sognando, o che l’universo ha avuto un inizio – tutte queste convinzioni hanno perso il loro nodo logico quando siamo giunti ad una più profonda comprensione di come stanno le cose. Ciò che abbiamo imparato dalle molte scoperte “contro-intuitive” nella scienza è che le nostre intuizioni possono essere sbagliate. Anche le nostre intuizioni circa noi stessi e il nostro modo di funzionare possono essere del tutto fallaci.

Un’altra variazione del tema “giammai sarà possibile” si basa sulle proprietà linguistiche di certe categorie centrali nell’uso corrente di descrivere il mondo. Per esempio, il separare la categoria “mente” dalla categoria “cervello” impedisce alla scienza di scoprire che sentire dolore è correlato ad un’attività neuronale nel cervello. Parlare di “errore categoriale” dicendo che la mente conduce elettricità o che il cervello vede o sente rivela un evidente limite del riduzionismo.

Possiamo riassumere una lunga discussione circa la filosofia del linguaggio in tre brevi punti: 1) Le intuizioni in questo campo non sono un’affidabile guida nel processo di scoperta scientifica 2) I significati cambiano man mano che la scienza compie nuove scoperte 3) E’ improbabile fermare gli scienziati dicendo che le loro teorie “appaiono buffe” rispetto al senso comune (vedi per es. Copernico e la sua teoria che la terra è un pianeta e si muove).

Una teoria scientificamente plausibile può apparire buffa semplicemente perché non in linea con il punto di vista della maggioranza, e non perché intrinsecamente sbagliata. Le scoperte scientifiche che dimostrano come un certo macro-fenomeno sia un risultato complesso delle micro-strutture e delle dinamiche sottostanti sono in genere sorprendenti e possono in un primo momento apparire buffe. Ovviamente nessuna di tali scoperte dimostra la possibilità di ottenere una riduzione dei fenomeni psicologici ai fenomeni biologici. Quel che  è certo, invece, è che la loro presunta “stranezza” non significa nulla.

 

B   L’obiettivo è inconsistente con “multipla realizzabilità

Il nucleo di questa obiezione è che se un macro-fenomeno può essere il risultato di più meccanismi (organizzazione e dinamica dei suoi componenti), allora non può essere identificato con nessun singolo micro-fenomeno sottostante.

Vediamo succintamente i 4 punti fondamentali:

1) Le spiegazioni e quindi le riduzioni sono relative al dominio. In biologia può essere fruttuoso delineare i principi relativi di un fenomeno in diverse specie per poi osservare le differenze fra le specie ed eventualmente fra individui all’interno di una stessa specie. Il cuore, per esempio, funziona essenzialmente nello stesso modo nelle rane, nei macachi e negli esseri umani, ma ci sono differenze significative che richiedono un’analisi comparativa. Altri esempi riguardano il fatto che: (a) una volta scoperta la struttura fondamentale del DNA, è stato possibile indagare come alcune differenze a tale livello potessero spiegare alcune differenze nel fenotipo; (b) una volta risolto il problema generale di come i neuroni inviino e ricevano segnali, è stato possibile esplorare dettagliatamente le differenze nei profili di responsività di diverse classi di neuroni.

2) Una volta che il meccanismo di qualche processo biologico è stato scoperto, è possibile inventare congegni per riprodurre quei processi. Ciò nonostante l’aver inventato ad esempio cuori e reni artificiali non preclude la possibilità di acquisire nuove conoscenze sugli organi reali. Così come la possibilità di trovare nell’universo del materiale ereditario di tipo diverso dal DNA non scalfisce l’impalcatura riduzionistica di base nel nostro pianeta. Allo stesso modo, l’ingegneria dei neuroni e delle reti neurali artificiali (ANNs) facilita ed è facilitata dall’approccio neurobiologico  al funzionamento dei neuroni reali.

3) La scienza avrà sempre domande a cui non ha dato una risposta e quindi riuscire ad afferrare l’andamento generale di un meccanismo, quale ad esempio l’accoppiamento delle basi nel DNA, non va confuso con l’ideale utopico di una completa riduzione e quindi spiegazione totale di un fenomeno. Una scoperta generale solleva ulteriori domande circa l’andamento specifico del fenomeno e quindi un’ulteriore ricerca di spiegazione dei dettagli. Per sottolineare questa incompletezza esplicativa,  forse dovremmo evitare l’espressione riduzione in favore del concetto di “contatto riduttivo”. Quindi possiamo dire che lo scopo delle neuroscienze è di creare un ricco contatto riduttivo con la psicologia, di modo che le due discipline co-evolvano.

4) In conclusione, le neuroscienze possono avere una notevole importanza nel comprendere la mente umana.

 

C   Il cervello causa la coscienza

Contraddire l’obiettivo riduzionista, mantenendo il dualismo a portata di mano, è una manovra che richiede una grande delicatezza. Secondo John Searle, benchè il cervello causi gli stati di coscienza, qualsiasi identificazione di tali stati con le attività cerebrali è errata. Tutto ciò in cui può sperare un riduzionista è di trovare “correlazioni” tra stati soggettivi e stati cerebrali che possono dimostrare una causalità, ma non necessariamente un’identità. Secondo Searle la realtà e l’apparenza nella consapevolezza sono inseparabili: siamo consapevoli esclusivamente della realtà che giunge alla nostra consapevolezza.

Per gli scienziati è più facile dire che A e B sono la stessa cosa piuttosto che dire che B è causato da A.

La scienza, così come la conosciamo, dice che la corrente elettrica in un cavo non è causata dal movimento degli elettroni: essa è il movimento degli elettroni. Alla stesso modo, i geni non sono causati da raggruppamenti di basi del DNA: essi sono raggruppamenti di coppie di basi. La temperatura non è causata dall’energia cinetica molecolare: essa è energia cinetica molecolare.

Nel suo libro di cucina, Betty Crocker spiega il funzionamento del forno a microonde dicendo che le microonde sollecitano il movimento delle molecole d’acqua. Questo movimento produce calore. Perché per Betty il calore è prodotto dal movimento mentre invece per gli scienziati il movimento molecolare è calore? Dire che il calore è movimento molecolare è coerente. Sarebbe d’altro canto impossibile dimostrare che il calore è causato dal movimento molecolare.

Per tornare al nostro argomento di discussione, secondo me sarà favorita l’ipotesi che la consapevolezza è semplicemente un pattern di attività neuronale. Posso anche sbagliarmi: se ho torto, non sarà perché un’intuizione basata sull’introspezione è immutabile, ma perché la scienza ci conduce in una diversa direzione; se ho ragione, questo fatto di per se stesso non cambierà la mia esperienza, ma mi permetterà di vedere il mio cervello con gli occhi di un neurochirurgo.

D   Perché la coscienza è una macchina virtuale

Questo è il punto di vista di Dennett. Come Searle, Dennett non è dualista, ma a differenza di Searle crede che lo studio fisiologico e anatomico del cervello non conduca alla comprensione della natura della coscienza. Secondo lui, l’uomo diventa cosciente acquisendo il linguaggio e imparando a parlare a se stesso. Quello che accade in questa trasformazione è che una macchina parallela ( le reti neurali del cervello ) simula una macchina seriale ( le operazioni che sono compiute una alla volta secondo delle regole in una sequenza che può essere ricorsiva ).

Acquisire un linguaggio e poi imparare a parlare silenziosamente con se stessi equivale a creare una macchina virtuale della coscienza nel cervello. Dennett ricorre ad una analogia. E’ come creare una macchina virtuale per simulare il pilotaggio di un aereo sul video del computer installando il software. Così come non possiamo sapere niente di più sulla simulazione di volo studiando le parti interne del computer mentre c’è la simulazione in atto, non possiamo sapere niente di più sulla coscienza studiando le parti interne del cervello mentre è cosciente. In un certo senso, della simulazione non c’è altro che la sua performance. Ad esempio, l’altimetro del simulatore registra l’altitudine, ma non è detto che questo sia vero nella realtà.

Secondo Dennett non è la neurofisiologia quindi a spiegare la coscienza, ma sono sufficienti gli strumenti della psicologia sperimentale. La pretesa di Dennett che la coscienza si acquisisca con l’acquisizione del linguaggio è stata messa in discussione. Si sa che l’infanzia preverbale non è cosciente, ma anche i soggetti con afasia globale o con emisferectomia sinistra non lo sono. Il fulcro delle critiche è sul fatto che, secondo Dennett, esiste solo la performance e che quindi spiegare l’esperienza della coscienza equivale a spiegare la coscienza stessa.

Contro l’ipotesi di Bennet, un nuovo studio di Beer ha dimostrato che le reti neurali possono produrre sequenze temporali senza necessariamente l’esistenza di una macchina virtuale seriale. Non è necessaria la macchina seriale per creare la sintesi di varie operazioni in una sola come avviene nella performance linguistica, perché esistono, come ha dimostrato Elman, reti neurali ricorrenti che possono fare questo.

Non è certo che la coscienza implichi una sola operazione per volta: ad esempio, se guardo una tazza di M&M’s è probabile che io veda più di una M&M’s per volta. Inoltre le reti neurali ricorrenti sono in grado di permettere le proprietà ricorsive in modo che uno sia cosciente di sé. Non è provato che quando noi siamo coscienti il cervello simuli una macchina seriale. 

 

E   Il problema è dietro la nostra debole intelligenza

E’ talmente complicato il nostro cervello (tanto quanto è veloce) che come facciamo a stargli dietro? D’altronde visto che una sequela di esperimenti si sussegue, perché non continuare la ricerca?

 

 3) Alla ricerca dei meccanismi neurali della coscienza

A.     Trovare una strada

Nel campo delle neuroscienze vi sono molti dati importanti per il problema della coscienza. Per esempio, il fenomeno del blindsight (vista cieca), l’emi-neglect, i casi di split brain (cervello diviso) e l’anosognosia (inconsapevolezza del deficit) esercitano un importante ruolo nel guidare la riflessione teoretica. Approfonditi studi basati sull’uso di strumenti di scannerizzazione, quali la risonanza magnetica (MRI) e la tomografia ad emissione di positroni (PET) ci hanno permesso di collegare specifici tipi di perdite funzionali con particolari regioni del cervello.

Questo ci aiuta a restringere la serie di strutture che consideriamo selettive per una micro-spiegazione preliminare.

Per esempio,  si è pensato che l’ippocampo, essendo una regione di convergenza di un enorme numero di fibre da diverse aree del cervello, avesse un ruolo centrale nella coscienza. Tuttavia, oggi sappiamo che una lesione bilaterale dell’ipotalamo, benché pregiudichi la capacità di apprendimento, non implica la perdita della consapevolezza. A questo stadio, scartare delle ipotesi è già un importante passo avanti. Sappiamo anche che certe strutture del tronco cerebrale, come il locus coereleus (LC),  sono indirettamente necessarie, ma non fanno parte del meccanismo alla base della coscienza. Il LC gioca un ruolo aspecifico nello stato di arousal, ma non ha una funzione specifica nella consapevolezza di determinati contenuti, come la consapevolezza, in un dato momento, del colore del cielo al mattino o del suono emesso da uno spruzzo d’acqua che bagna un prato. I dati possono essere di per sé interessanti, ma la questione rimane: com’è possibile, partendo da un insieme di dati intriganti, arrivare a soddisfacenti spiegazioni dei meccanismi di base? Da dove possiamo partire?

Riflettendo su tale problema, sono stata fortemente influenzata da Francis Crick. Il suo punto di vista è piuttosto semplice: se siamo intenzionati a risolvere il problema, dovremmo trattarlo come un problema scientifico, affrontandolo allo stesso modo degli altri complessi problemi scientifici. E’ cioè necessario adottare un approccio di tipo sperimentale, elaborando ipotesi testabili che possano connettere i macro-effetti con le micro-dinamiche.

In breve, ci troviamo davanti un problema di non facile soluzione: trovare fenomeni psicologici che (a) siano stati approfonditamente studiati dalla psicologia sperimentale, (b) siano circoscritti da dati riguardanti lesioni in pazienti umani e in animali, (c) siano connessi con regioni cerebrali che siano state adeguatamente esaminate dalla neuroanatomia e neurofisiologia e (d) per le quali conosciamo bene le connessioni con altre regioni del cervello. L’ipotesi di lavoro è che, se una persona è consapevole di uno stimolo, il suo cervello sarà per alcuni aspetti diverso rispetto alla condizione in cui essa è sveglia e attenta, ma inconsapevole dello stimolo. Una strategia promettente consiste nello scoprire tali differenze, servendosi dei dati derivanti da studi su lesioni, di strumenti quali la PET e la magnetoencefalografia (MEG) e così via. La scoperta di queste differenze, nel contesto generale dei dati neurobiologici, potrebbe aiutarci a elaborare una teoria del meccanismo di base.

L’idea generale è costruire una teoria che sia sostenuta da dati riguardanti diversi livelli dell’organizzazione cerebrale e che sia quindi sottoponibile a test significativi. In definitiva, una teoria della coscienza dovrà includere una serie di processi coinvolti nella consapevolezza, tra cui l’attenzione e la memoria a breve termine. Inizialmente, tuttavia, potrebbe occuparsi di un sub-settore, come l’integrazione attraverso il tempo e lo spazio.Sia che la teoria si sgretoli , falsificata dall’evidenza, sia che superi i test, impareremo qualcosa. Ossia, o avremo scartato determinate possibilità – un bel vantaggio nei primi stadi della comprensione – oppure potremo andare avanti a sviluppare e approfondire la teoria – un vantaggio ancora maggiore. In ogni caso, il trucco consiste nel generare ipotesi “ricche” e testabili, piuttosto che ipotesi vaghe, vuote, sperimentabili solo a livello della fantasia. Il gioco consiste nel realizzare un effettivo progresso.

 

B.      Consapevolezza visiva

Quali plausibili candidati emergono dall’applicazione di tale procedura restrittiva? Curiosamente, la scelta è assai limitata. Benché la metacognizione, l’introspezione e la consapevolezza delle emozioni, ad esempio, siano effettivamente degli aspetti della coscienza, o non possediamo sufficienti dati sulle lesioni per restringere lo spazio di ricerca delle regioni cerebrali rilevanti, oppure è limitata la psicofisica di supporto.Di conseguenza, questi processi potranno essere meglio indagati in futuro.

La consapevolezza visiva, invece, è un candidato più promettente. Nel caso della visione, come sottolinea Crick, possiamo fare riferimento a un’enorme letteratura sulla psicofisica visiva e sulle lesioni in esseri umani ed animali e sappiamo moltissimo sulla neuroanatomia e neurofisiologia del sistema visivo, per lo meno nella scimmia e nel gatto. Fenomeni visivi quali la disparità binoculare, la visione del movimento e della profondità e così via, potrebbero sostenere la ricerca delle differenze neurobiologiche tra l’essere o meno consapevole di un animale sveglio e attento. Questo è ciò da cui potremmo partire.  

 

1)    L’ipotesi di Crick.

L’ipotesi delineata da Crick riguarda le strutture cerebrali che potrebbero avere un ruolo centrale nel far sì che l’animale sia o meno consapevole dello stimolo visivo.Si pensa che l’integrazione delle rappresentazioni attraverso reti neurali distribuite nello spazio - le unità della appercezione – avvenga mediante legami temporanei, cioè mediante una sincronizzazione degli output dei neuroni rilevanti. A grandi linee, Crick suggerisce che: (1) per la consapevolezza sensoriale, come ad esempio quella visiva, le cortecce primarie abbiano un’importanza fondamentale (es. aree visive V2,V3,V5); questo giustifica i dati basati sulle lesioni, sulla PET e sulle singole cellule. (2) Entro le aree corticali sensoriali primarie, giocano un ruolo chiave le cellule piramidali dello strato 5 e forse 6.Qual è il punto forte di questa idea? Parte del suo fascino deriva dal suo appoggiarsi alla struttura di base. In biologia, la soluzione ai complessi problemi circa i meccanismi può essere ampiamente facilitata dall’identificazione delle strutture critiche. In sintesi, se conosci il “che cosa”, ciò ti aiuta enormemente a scoprire il “come”. Di per sé, l’ipotesi di Crick può costituire soltanto una tessera del puzzle. Tuttavia, se siamo fortunati, tale ipotesi, o un’altra simile, potrebbe rivelarsi una tessera chiave del puzzle. Questo non è il luogo per un’ulteriore discussione di questa ipotesi. Basti dire che, vera o falsa che sia, essa ci fornisce una chiara illustrazione di come sia possibile avvicinarsi a un problema talmente complesso da essere spesso accantonato per la sua presunta inaccessibilità.

2)      Le ipotesi di Llinas

Un’altra promettente strada di accesso è suggerita dalle differenze - fenomenologiche e neurobiologiche - tra il dormire/ il sognare / lo stare svegli. Questo punto d’accesso è attraente primo perché c’è la familiare e drammatica perdita di consapevolezza nel sonno profondo che si recupera al risveglio, ed è probabilmente presente anche durante il sogno. Il fenomeno è altamente presente in molti soggetti differenti e in molte specie.

Secondo, le tecniche del MEG e dell’EEG rivelano le caratteristiche della globalità del cervello tipiche dei differenti stati. I dati sulle lesioni umane e animali sono importanti, specialmente se riguardano deficit di consapevolezza durante la veglia. Qui di nuovo noto il significato della ricerca sul blindsight, emineglect (tendenza ad ignorare gli stimoli in varie modalità nella parte sinistra del corpo), simultagnosia (inabilità di vedere diverse cose contemporaneamente), anosognosia (inconsapevolezza di deficit come la paralisi), sulla cecità rifiutata, sull’inconsapevolezza dell’afasia del gergo (della non formazione del senso) e così via.

Terzo, noi abbiamo imparato molto dalle anormalità nel ciclo sonno veglia e dalle manipolazioni di tale ciclo e del collegamento con le proprietà specifiche del cervello. Quarto, alcuni dei cambiamenti globali negli stati visti in tale ciclo sono stati collegati da micro-tecniche all’interazione tra circuiti specifici nella corteccia e circuiti subcorticali, ma soprattutto all’interazione tra i circuiti nelle diverse strutture di chiave nel talamo. Quinto, e più specificatamente, i dati del MEG rivelano una robusta onda di 40 Herz formata durante la veglia e il sogno. La definizione e l’ampiezza  sono molto attenuate durante il sonno, e l’ampiezza è modulata durante la veglia ed il sogno. L’analisi dell’onda da parte del MEG rivela che essa è un’onda di passaggio, che si muove avanti e indietro nel cervello, coprendo la distanza in 12/13 millesimi di secondo. I dati cellulari suggeriscono che queste proprietà dinamiche emergono da particolari circuiti neurali e dalle loro proprietà dinamiche.

Che cosa aggiunge tutto questo? Basandosi su questi dati, e memore dei vari dati di alto livello, Rodolfo Llinas e i suoi colleghi (1991;1993) hanno ipotizzato che la fondamentale organizzazione asservente la coscienza e i cambiamenti nel disegno del ciclo sonno-veglia sono coppie di oscillatori, ciascuno dei quali connette il talamo e la corteccia, ma ciascuno connette popolazioni cellulari di ogni distinto elemento tramite il suo singolo stile connettivo. Una “famiglia” oscillatrice connette i neuroni in una struttura talamica conosciuta come il nucleo intralaminare, una sorta di costellazione di strutture, i cui neuroni arrivano nei più alti strati della corteccia per fornire una copertura molto regolare dell’intero mantello corticale. L’altra “famiglia” oscillatrice connette i neuroni nel nucleo talamico per informazioni modalità-specifiche (nuclei MS) originanti per esempio, nella retina o nella coclea, con aree corticali specializzate.

Durante il sonno profondo, i neuroni intralaminari proiettando verso la corteccia, cessano la loro attività a 40 Hz. Durante il sonno profondo e il sogno, i segnali esterni verso la corteccia sono intercettati dai nuclei reticolari del talamo. Joseph Bogen (1993) ipotizza anche un ruolo cruciale per le strutture intralaminari, notando soprattutto l’esteso ventaglio che si sparge da questi nuclei di corteccia, e la pesante connessione allo striatum.

Sempre così grossolanamente, l’idea è che la seconda “famiglia” oscillatrice fornisce il contenuto (visuale, somatosensoriale, etc.) mentre la prima fornisce il contesto integrato. Nel sonno profondo gli oscillatori sono separati; nel sogno sono accoppiati ma il circuito MS oscillatorio è largamente non- reagente ai segnali esterni dalla periferia; durante la veglia, gli oscillatori sono accoppiati, e il circuito MS reagisce ai segnali esterni.

Quali sono gli effetti delle lesioni alle strutture intralaminari talamiche nelle persone? Primo, è molto improbabile che una lesione possa capitare esclusivamente nei nuclei intralaminari, risparmiando le altre strutture talamiche. Tenendo presente ciò, noto che il maggior risultato delle piccole lesioni unilaterali che si credevano risiedere principalmente nei nuclei intralaminari, è la inconsapevolezza di tutti gli stimoli provenienti dal lato opposto del corpo (neglect). (Watson e Heilman 1979; Watson, Valenstein e Heilman 1981). Le lesioni bilaterali apparentemente hanno per risultato una generale incapacità di attivazione, significando approssimativamente che il paziente inizia a non avere un comportamento e risponde molto poco agli stimoli sensoriali o alle domande (Castaigne e al. 1981; Guberman e Stuss 1983). I pochi studi esistenti sugli animali sono compatibili con i dati umani (Henderson, Alexander e Nalser 1982; Watson, Miller e Heilman 1978). Bogen (1993) fa anche notare che i dati sulle lesioni umane, insieme con i modelli connettivi, fanno dei nuclei intralaminari un candidato per “il luogo della consapevolezza”. Questi dati sono importanti e forniscono un utile punto di partenza, ma altri studi, soprattutto usando l’ MRI funzionale per trovare le aree dell’attività relativa alta e bassa, sono auspicabili. Le lesioni alle regioni modalità-specifiche del talamo, al contrario, portano a perdere la modalità specifica in coscienza (al risveglio) - la coscienza visiva, per esempio sarà persa, ma la coscienza dei suoni, del tatto etc. può essere normale. In modo affascinante, il ciclo MEG dei pazienti afflitti dall’Alzheimer che stanno degenerando in uno stato di inedia, mostra una forma di onda di 40 Hz cadente, se non addirittura inesistente. Ovviamente questi dati non sono decisivi, ma per lo meno sono compatibili con le ipotesi.

 

Stanno bene insieme le ipotesi di Llinas e di Crick?

Minimamente, sono compatibili. In più si supportano reciprocamente ai livelli neuronali e di rete. Uno dei punti incoraggianti è questo: le due famiglie di oscillatori (MS e intralaminari) riccamente si connettono tra di loro principalmente nello strato corticale n.5.

Da quello che possiamo dire ora, queste connessioni sembrano essere i principali mezzi attraverso cui gli oscillatori sono accoppiati. La possibilità nutrita qui è che la sincronia temporale che Crick ipotizza nei neuroni che portano i segnali circa gli stimoli esterni possa essere orchestrata dal circuito intralaminare-corticale. Le connessioni tra le strutture del tronco cerebrale e i nuclei intralaminari potrebbero avere un ruolo nel modulare lo stato di arousal.

Sorgono spontanee molte domande. Per esempio, come si interfacciano con il comportamento le strutture perno per la consapevolezza? Più specificatamente, cosa sono le connessioni tra i nuclei intralaminari e le strutture motorie, e tra lo strato n.5 della corteccia sensoriale e le strutture motorie?Le proiezioni dai nuclei intralaminari del giro del cingolo hanno un ruolo nell’attenzione?

Queste sono domande motivate dai dati indipendenti. La convergenza delle ipotesi è certamente incoraggiante, ma è meglio ricordare che la prudenza consiglia di essere cauti con l’ottimismo.

Ma qualcosa è stato tralasciato? Probabilmente. Come Kant deve aver detto a Hume, il cervello non produrrà consapevolezza a meno che il sistema nervoso generi anche una rappresentazione di sé - una rappresentazione che porta ciò che potremmo chiamare “un punto di vista”.

E questo è infatti precisamente l’ipotesi offerta da Antonio Damasio (1994). In accordo con la prospettiva di Damasio, i meccanismi neurobiologici per la consapevolezza visuale, per esempio, sono essenzialmente interconnessi con i meccanismi per rappresentare se stessi come un qualche cosa che ha esperienze, che sente, ricorda e progetta; come una cosa che occupa spazio e dura nel tempo. Supporre che la consapevolezza visiva può essere compresa indipendentemente dalla rappresentazione di sé è come supporre che l’evoluzione possa essere capita indipendentemente dall’ambiente. Le idee di Damasio su questo punto sono emerse da molti anni di osservazione del cervello danneggiato di pazienti, e riflettendo sui modi nei quali la consapevolezza è relazionata all’auto-rappresentazione e come questa a sua volta sia relazionata con la rappresentazione del corpo ( per i dettagli della sua ipotesi, vedere il suo libro “Descartes’ Error” 1994). Contro un retroterra di neuroanatomia di base e neuropsicologia, Damasio vede la complessità della rappresentazione e l’interdipendenza come elementi chiave nello spiegare la consapevolezza. Grossolanamente, la sincronia degli impulsi in alcuni circuiti visuali dovrebbe essere una condizione necessaria per la consapevolezza visuale, ma non è certamente una condizione sufficiente. Costruire un’ipotesi plausibile su una condizione necessaria è abbastanza difficile; identificare le condizioni addizionali neurali che congiuntamente sono necessarie e sufficienti è ancora più arduo. Ciò nonostante, l’idea centrale di Damasio è insieme potente e ragionevole: la rappresentazione del corpo, che integra sistematicamente stimolazioni corporee e informazioni sullo stato del corpo, fornisce un’impalcatura per una rappresentazione di sé e un’autorappresentazione è l’ancora della consapevolezza. Inoltre i vantaggi adattivi di una rappresentazione del corpo integrata nella vita sono ovvi (vedi nuovamente Damasio 1994).

Mentre Kant, un anti- riduzionista convinto, pensava che la natura del sé fosse per sempre inricercabile empiricamente, Damasio trova  luoghi dove il progresso scientifico è possibile; mentre Kant pensò al sé in termini di una grande e misteriosa “unione trascendentale di appercezione”, Damasio dà a ciò una rassicurante concreta base in termini di rappresentazione neurale del corpo: la pelle, i muscoli, le giunzioni, i visceri e così via. Come altre rappresentazioni del cervello, la natura della rappresentazione del corpo è indagabile con le tecniche combinate della neuropsicologia, neurobiologia e con il modellamento della rete neurale. E se Damasio fosse nel giusto, allora i meccanismi neurali della rappresentazione del sé sarebbero anche ricercabili.

I tre approcci neuroscentifici generali - quello di Crick, Llinas e Damasio - li vedo come strategie complementari che possono costituire differenti ma sovrapposti segmenti di un grande e complesso problema. Ciascuno di questi affronta un particolare aspetto del problema, e ciascuno presenta domande e sfide per gli altri.

 

4) Osservazioni finali

Vedendo le questioni dal lato oscuro del fenomeno, le soluzioni possono sembrare impossibili e forse anche non volute. Sul lato della comprensione, comunque, le soluzioni sembrano quasi ovvie. Perché, uno potrebbe chiedersi, c’è voluto così tanto per scoprire cosa sono gli elementi? Come, qualcuno così brillante come Aristotele, ha potuto perdere la plausibilità nell’idea di Aristarco, che la Terra era una sfera che si muoveva attorno al sole? Le verità profonde sono tutte difficili da cogliere, come la spiegazione del fatto che gli animali dormono e sognano e che cos’è l’autismo. I problemi per la neuroscienza e la psicologia sperimentale sono complicati, ma come noi procediamo lungo la via del progresso e come le nuove tecniche incrementano l’accesso non invasivo ai processi globali del cervello nelle persone, le intuizioni cambiano. Ciò che oggi ci sembra ovvio costituiva una novità sorprendente per la  generazione precedente alla nostra; ciò che sembra  confonderci è abitualmente discusso dalla nuova coorte di studenti laureati. Chi può dire con certezza se tutte le nostre domande circa la consapevolezza  possono avere eventualmente una risposta o no? Nel frattempo, è soddisfacente assistere al progresso - per vedere lo stato di cambiamento delle domande “dai Misteri che possiamo soltanto contemplare, ai problemi che stiamo cominciando a penetrare”.