Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2000-2001


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Materiali per il corso a cura degli studenti

Verso l’Embodiement delle teorie psicodinamiche della natura umana: una breve esposizione

Scheda riassuntiva del lavoro

Towards Embodied Psychodynamic Theories of Human Nature: A Brief Exposition
di Corbett Williams, 24-Nov-99

A cura di

GIOVANNINA BOERETTO


 

L’intenzione dell’autore è quella di ipotizzare una corrispondenza tra le teorie psicodinamiche e due aree di studio, da lui ritenute sovrapponibili, che chiama: “studi della coscienza” e “’Embodied’ mente e conoscenza” .

Se quest’ultima è una branca della scienza cognitiva, la prima, oltre ad essa, include anche numerose altre discipline, tra cui, sebbene in misura minore, studi orientati psicodinamicamente.

 

L’approccio generale delle teorie cognitive e delle teorie della mente basate sulle neuroscienze e sulla fisica quantistica è chiamato “connessionismo”: uno degli avamposti dell’intelligenza artificiale. Il modello matematico di come i neuroni interagiscono e archiviano i ricordi è chiamato “rete neurale”. Corbett esprime una certa diffidenza nei confronti di tale logica che, secondo l’autore “scimmiotta” il coordinamento relativamente automatico dei sensi e del sistema corporeo; egli ritiene che le “reti neuronali” non siano in grado di riproporre quell’ ”allenamento” necessario per l’acquisizione dell’esperienza che, invece, il nostro sistema neurale possiede e usa fin dall’inizio della vita.

 

La meccanica quantistica è un modello che fornisce la teoria fisica per creare ciò che potrebbe essere immaginato, come un ologramma che unifica sensi e memorie in modo ordinato, tale da riflettere, nel hic et nunc dell’esperienza conscia di un individuo, la simultaneità delle strutture che  interagiscono.

Per colmare il vuoto tra fisica quantistica e neurobiologia, i teorici dirigono la loro attenzione sulle sinapsi: strutture biologiche del cervello che funzionano con modalità quantistiche. L’attività unificante di tali strutture sarebbe all’origine della trasmissione delle informazioni e del conseguente apprendimento in quei neuroni che partecipano a tale evento.  Per coloro che non hanno famigliarità con la fisica quantistica, predire le equazioni significa dare un numero di possibili risultati, ognuno dei quali ha una probabilità. E’ “come se” ci fosse un numero di parole possibili e soltanto una di esse (ma non si sa quale) si materializzasse in un istante particolare. Questo “evento” specifico che si verificherà non è conosciuto, ma esiste la probabilità che avvenga.

A questo punto della discussione Corbett inserisce una serie di posizioni teoriche, più o meno tra loro contrapposte e più o meno vicine alle sue, di diversi studiosi della materia: Bhom, Stapp, Everett, Hiley, Varela e altri teorici quantistici…

 

Uno di loro è Henry Stapp, il quale sostiene che l’esperienza conscia sia un vero atto creativo, cioè  tutto ciò che noi realmente facciamo o conosciamo, nonché l’unico modo in cui tutto il nostro mondo entra in gioco. E’ Stapp che introduce il concetto di “scelta”, che parrebbe un paradosso nella fisica quantistica, ma se l’esperienza conscia è l’atto funzionale della mente finalizzato a portare il corpo in armonia con se stesso e con il mondo, allora si ha, deduce Corbett, un tipo di atto creativo che lascia pensare a un elemento di scelta. Del resto, se il corpo non operasse delle scelte, durante l’esperienza conscia, sarebbe solo una macchina.

Partendo dal presupposto che la fisica quantistica può immaginare una equazione che descriva il cosmo, Bohm e Hiley, suppongono che la stessa esperienza conscia possa localizzarsi nel cervello in cui si verifica, ed esprimere, in tal senso, una visione parziale, ma unificata con l’organismo che interagisce tra il mondo e se stesso. Ma l’esperienza conscia di due individui non può verificarsi nello stesso spazio fisico, ecco perché, a questo punto, diventa necessario per gli autori affermare che i nostri corpi fisici, pur condividendo lo stesso mondo esterno attraverso i nostri sensi ordinari, occupano semplicemente uno spazio fisico privato, o personale, in un mondo più grande.

Corbett, a tale riguardo, abbandona volutamente l’affascinante teoria del fisico quantistico H. Everett circa tutti i mondi possibili della fisica quantistica, per seguire le speculazioni di Bohm e Stapp.

Se da un lato Stapp contesta l’atteggiamento eccessivamente deterministico di Bhom, dall’altro entrambi concordano sull’idea della non casualità della fisica quantistica.

Se Bhom postula  variabili nascoste e un ordine implicito, Stapp parla invece  di scelte e di mente che sceglie in base ad una estetica. Per spiegare il concetto di estetica Corbett lo rapporta all’atteggiamento dei matematici o dei filosofi quando la dimostrazione di un’affermazione li trova concordi e soddisfatti, oppure a un simile concordare umano collettivo su qualche cosa assunta come verità oggettiva.

Come Stapp, anche Varela parla di una “estetica” della mente, ma sembra di capire che Williams Corbett sia maggiormente incline a percorrere le strade tracciate da Bhom, anche se un po’ più conservatore e meno speculativo, piuttosto che seguire il lavoro troppo “filosofico”  e condotto sull’orlo dell’ignoto (o di ciò che non si può conoscere) di Stapp e Varela.

Da un lato Bhom, che pensa ad un ordine cosmico nascosto, che, per essere rivelato, necessita di una “chiave”. Egli ritiene che la chiave esista, ma che noi non potremmo mai possederla. Stapp ipotizza invece le “scelte del corpo” in base ad una estetica fondamentale e il mondo dell’esperienza conscia è parte di questo processo.

Corbett ritiene si possano conciliare i due punti di vista, concordando sia con Bohm, sia con Stapp e afferma che il corpo sceglie come meglio può e in base al proprio livello di comprensione.

Il nostro autore in tal senso sostiene che: più chiare e meno numerose saranno le scelte, maggiormente puntuali e accurate saranno la nostra comprensione e la nostra capacità di esprimere ciò che abbiamo compreso. Viceversa, meno chiare e più numerose saranno le scelte, meno precisa e più metaforica sarà la nostra comprensione e più astratta e/o mistica diventerà la nostra capacità di esprimere le esperienze.

Corbett  ritorna a Stapp per sottolineare ancora un passaggio della teoria di questo autore: Stapp sostiene infatti che noi condividiamo lo stesso grande mondo visibile, esterno ai nostri corpi, ma che tutto ciò che noi facciamo è esperienza conscia privata. Questo chiarimento permette a Corbett di specificare che il “mondo” di cui egli parla è quello esterno, circoscritto dalla descrizione di spazio e tempo di Einstein, non quello “quantistico” del quale qualche autore scriverà.

 

Baars è uno scienziato cognitivista ed un empirico autodichiarato , senza essere tuttavia un antipsicodinamico. Egli ritiene che una esperienza, per poter venire oggettivamente valutata, debba poter essere condivisibile, verificata pubblicamente.

Corbett usa il punto di vista scientifico di Baars per indicare che l’evidenza che sostiene le teorie psicodinamiche è, invece, “privata”. Due persone possono comunicare le loro esperienze interne ed esterne; le comunicazioni sono delle esperienze condivise, tuttavia negli esperimenti scientifici ciò che è condiviso è qualcosa del mondo esterno ad ogni corpo che partecipa a ciò che è condiviso. Pur considerando necessario ed efficace l’empirismo scientifico della riproducibilità dei fatti, Corbett ritiene che la sua debolezza consista proprio nel non voler tenere conto anche delle comunicazioni in prima persona, ciò che, invece, contraddistingue la teoria e la pratica psicodinamica.

 

Lakoff e Johnson, teorici dell’area linguistica,

In una ipotetica lettera a Freud, i due autori comunicano la loro convinzione teorica che il linguaggio e il pensiero dell’individuo sono fondati su “metafore che prendono corpo”. Pur ritenendo importante ciò che i genitali hanno rappresentato per Freud e la psicoanalisi, essi rivendicano per il corpo intero (braccia, gambe,  cervello, pensieri, cuore) la facoltà di comunicare particolari tipi di significato.

I concetti di “spazio”, di “tempo”, dell’ “afferrare”, del “contenere” ecc. sono tutte metafore corporee peraltro in grande uso nel linguaggio psicoanalitico e non sono usate “come se”, ma, per gli autori, rappresentano proprio la modalità astratta di pensare del cervello. Lakoff e Jhonson prestano il fianco alle nuove riflessioni di Corbett sulle teorie psicoanalitiche. L’autore sottolinea come il linguaggio di Melanie Klein ricorra spesso a metafore corporee per comunicare processi comunicativi intra/inter-personali e, come Bion ricorra invece, rispetto a finalità simili, a metafore alimentari per descrivere l’origine e lo sviluppo del pensiero.

L’autore arriva, finalmente, a postulare  l’esistenza di un unico linguaggio, basato su qualcosa di veramente comune: la comprensione del corpo “per come esso è” geneticamente impresso nel sistema neurale.

 

Corbett conscio del grande potere derivante dall’uso della metafora, soprattutto quella scritta, mette in guardia dall’uso indiscriminato di un linguaggio troppo riduttivo, come ad esempio potrebbe essere quello viscerale, “di pancia”, raccomandando di rivolgere l’attenzione su altre parti del corpo che potrebbero, allo stesso modo, esprimere l’urgenza di comunicare. L’autore raccomanda anche di non tralasciare quella parte più recente, più evoluta del cervello (più “secca” e distaccata)  ugualmente necessaria - come suggerisce Damasio - per esprimere un giudizio coordinato.

 

Più che al comportamentista Watson, e al vero fondatore della scienza cognitiva, Donald Hebb, le teorie della embodied mente e coscienza, sono maggiormente in linea con il pensiero di William James. Tuttavia alcuni ricercatori sposano il pensiero psicodinamico iniziato da Freud, e nomi come Klein, Fairbairn, Lacan e Jung da poco appaiono nelle pubblicazioni; non si segnala ancora nessun riferimento a Bion. Anche la teoria e la pratica della filosofia buddista vengono prese sul serio, opponendosi alla tendenza di volerle considerare misticismo orientale. Corbett apprezza i tentativi della psicodinamica che, da sempre, ha fornito delle ipotesi serie rispetto alle domande su come cresciamo e troviamo noi stessi.  Ritiene inoltre le intuizioni  della “Griglia” di Bion un serio strumento per raggiungere maggiori conoscenze sull’evoluzione del pensiero e sull’apprendimento. Corbett legge, nel linguaggio di Bion, un tentativo deliberato di spostarsi dai termini teorici, che volontariamente evocano una particolare esperienza, verso termini teorici più cerebrali, che descrivono processi e inter-relazioni. Il linguaggio che usa metafore come  “meccanismo di proiezione” o meccanismi di difesa” può essere frainteso, perché fa riferimento a qualche cosa di eccessivamente meccanico, mentre sarebbe invece utile l’uso di metafore più cerebrali. Corbett ritiene che tutte le varietà e gli stili della comunicazione (poesia, narrativa, retorica, logica, matematica) possano concorrere ad esplorare adeguatamente la natura umana.

 

Varela, Rosch e Thompson esprimono un particolare interesse per la teoria delle relazioni oggettuali, senza spiegarne bene il perché. Corbett crede di individuare tale interesse per le analogie che potrebbero esserci tra l’oscillazione PS ó D e la “Ruota della Vita” della filosofia della mente buddista. Oscillazioni e Ruote sono processi dinamici che contengono le componenti di tempo e spazio.

La “Ruota della Vita” è una descrizione del “fare” esperienza che si spinge oltre all’oscillazione PSóD e viene considerata da Corbett uno strumento, allo stesso modo in cui può esserlo la Griglia di Bion.

 

Per quanto concerne le teorie psicodinamiche, Stapp dimostra un particolare interesse per i concetti junghiani di sincronicità, inconscio collettivo e archetipi; sono tutti concetti che coinvolgono l’intero ordine del mondo dell’esperienza condivisa, verso i quali anche Corbett prova un’attrazione perturbante. L’autore, pur ritenendosi uno scienziato che predilige la comprensione precisa, prova tuttavia un grande interesse per quei simboli che sembrano avere significati universali o transculturali. I concetti della teoria analitica di Jung hanno sicuramente un significato per Corbett, anche se non gli risulta facile spiegarne il motivo. In tal senso Corbett ricorda la limitatezza delle teorie che, proprio in quanto tali, non possono spiegare tutto, ma rappresentano solo un aiuto per una conoscenza più profonda del particolare argomento che ci interessa. Corbett ricorda inoltre che esiste la certezza matematica dell’insufficiente “informazione” nel nostro materiale genetico per descrivere completamente il nostro corpo biologico, così come evidenzia l’insufficienza della materia nell’universo per scrivere quell’equazione che lo potrebbe descrivere, anche se detta equazione potenzialmente potrebbe essere formulata. E’ ciò che potrebbe voler dire embodied mente o embodied coscienza: sono i pezzi e le loro relazioni e interazioni reciproche che costituiscono tutta la nostra esperienza vissuta. E noi, in quanto parte del tutto, non possiamo letteralmente essere consapevoli e pensare a tutte le parti, relazioni e interazioni allo stesso tempo.

 

L’impossibilità di spiegare tutto, se non in contesti più semplici usando una logica binaria, è stata l’amara constatazione e il consequenziale fallimento del movimento per l’intelligenza artificiale. La differenza principale è che il “circuito” dell’essere deve essere “allenato”, non programmato. Il punto chiave del filosofo Dreyfus è stato dichiarare che la vera abilità umana necessita di esperienza vissuta e non può essere ridotta a logica binaria o ad altri formalismi logici.

 

Per quanto riguarda l’integrazione delle varie teorie della mente e la teoria psicoanalitica, Corbett ritiene che Bion, con i suoi tentativi di elaborare un linguaggio più astratto, cerebrale, opposto a termini e concetti viscerali o meccanici o letterali (della Klein per esempio) fosse sulla strada giusta. Tuttavia anche gli studi di Bion necessitano di una articolazione più chiara delle teorie psicodinamiche. L’autore, concludendo, afferma che per raggiungere una maggiore conoscenza delle malattie psicosomatiche, è necessario l’intervento di altre teorie che riescano a spiegare  ciò che non può essere trattato con la psicoterapia e  il perché. Damasio sottolinea come, nella perdita di una particolare porzione del cervello, si possano perdere le componenti emozionali necessarie per dare senso ad uno stimolo. E’ come se la mente perdesse una voce importante nella sua “conversazione” nel prendere decisioni.

 

Secondo l’autore psicoanalisi e psicoterapia non possono, da sole, raggiungere l’obiettivo che si propongono: sviluppare un livello profondo di comunicazione tra individui cercando di capire e apprendere dalla loro esperienza, in quanto possono unicamente fornire delle intuizioni, dei punti di riferimento; solo attraverso una migliore articolazione delle stesse e con la necessaria apertura volta ad una discussione scientifica interdisciplinare si può andare oltre alla mera comprensione e apprezzamento del lavoro di autori come Bion.