Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2000-2001


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Le influenze integrative dei processi emotivi nello sviluppo e nella psicoanalisi

Traduzione del lavoro
Moving Ahead: Integrating Influences of Affective Processes for Development and for Psychoanalysis
di Robert N. Emde

a cura di
Stefano Rampone
Maurizia Albanese
Simona Banino


L'autore sostiene che il pensiero psicoanalitico si è evoluto verso un modello organizzativo delle emozioni e che le ricerche multidisciplinari lo possono ampliare. E' stata data poca importanza alle influenze dei processi emotivi nella teoria psicoanalitica. Tali influenze sono state riviste utilizzando degli esempi tratti dalle ricerche sullo sviluppo infantile. si è visto che i processi emotivi provvedono alle influenze integrative tra sistemi nello sviluppo dell'individuo, facilitando sia i cambiamenti sia la continuità evolutiva. Inoltre i processi emotivi contribuiscono allo sviluppo sia dell'individualità sia delle capacità relazionali. Il concetto di "centro emotivo del sé" è particolarmente attuale e l'idea psicoanalitica di "schemi emotivi del sé" è stata rivista. Le influenze integrative dei processi emotivi in psicoanalisi operano soprattutto inconsciamente e necessitano quindi di ulteriori studi.

Il documento è stato presentato il 27 luglio 1999 al quarantunesimo Congresso dell'Associazione Psicoanalitica Internazionale a Santiago.

Inizialmente la psicoanalisi era orientata verso approcci riduzionistici e deterministici. La parola "analisi" era evidenziata nel nome stesso. Nel corso della sua storia, comunque, il pensiero psicoanalitico ha progressivamente preso in considerazione l'importanza della complessità dei processi integrativi, tanto nella pratica quanto in altri campi teorici. Non stiamo solo analizzando, riducendo, destrutturando e morendo. Noi stiamo integrando, accumulando, costruendo e vivendo. Tanto più parliamo d'analisi, tanto più ci riferiamo all'integrazione, alla connessione e alla costruzione. Tuttavia, paradossalmente, le influenze integrative solo raramente sono state poste in primo piano.

Una simile definizione può essere trovata riguardo ai processi emotivi, i quali interessano tutto ciò che concerne la vita dell'individuo. Sono un aspetto del funzionamento mentale, radicato nella dimensione biologica e culturale dell'uomo, che dà significato e valore agli eventi esperienziali..Per queste ragioni si potrebbe credere che i processi emotivi abbiano un'importante funzione connettiva e associativa; in altre parole potrebbero avere un ruolo fondamentale per l'ambito integrativo durante lo sviluppo. Ma raramente pensiamo ai processi emotivi in questi termini.

In questo articolo saranno riviste alcune idee circa le influenze integrative dei processi emotivi. Lo scopo è modesto: stimolare discussioni, interrogativi, ricerche empiriche ed esplorazioni cliniche. Non c'è dubbio che un interesse primario della psicoanalisi riguarda la destrutturazione emozionale e le sue conseguenze. Emozioni quali l'ansia, la depressione, il senso d' impotenza e altre simili (includendo le loro componenti autodistruttive nell'azione) sono elementi salienti in un lavoro d'analisi. Questo articolo dirigerà l'attenzione verso ciò che risulta essere meno saliente: le influenze integrative delle emozioni.

 

L'integrazione e la natura interattiva dello sviluppo

Cos'è l'integrazione? In senso generale è un termine che si riferisce al connettere. Riguarda la possibilità di mettere insieme delle parti in modo tale che l'unità globale sia maggiore della somma dei suoi singoli elementi. L'integrazione, in ambito evolutivo, può essere vista come l'acquisizione di coerenza relativa a nuovi equilibri tra lo sviluppo individuale e l'ambiente (Sander,1980) , oppure come un adattamento sequenziale dell'individuo nei suoi incontri decisivi con l'ambiente (Erikson,1959,p.53). Due aspetti dell'integrazione sembrano emergere : la necessità di incorporare i cambiamenti avvenuti durante lo sviluppo e la necessità di mantenere una continuità e una coerenza individuale in mezzo a tali cambiamenti. Le emozioni guidano entrambi gli aspetti dell'integrazione evolutiva: questa è la tesi dell'articolo.

Che cos'è lo sviluppo? Considerando la sua definizione si sottolinea il ruolo dell'integrazione e dei processi interattivi. Lo sviluppo, per definizione, implica cambiamenti interni all'individuo nel tempo. I cambiamenti comportano una complessità sempre più organizzata. L'integrazione è un punto centrale dal momento che lo sviluppo non solo implica una differenziazione delle parti, ma anche una connessione tra queste volta alla formazione del tutto. Ma c'è un ulteriore aspetto dello sviluppo da enfatizzare. Lo sviluppo , per sua natura, è interattivo. Ad ogni livello, i processi evolutivi implicano interazioni tra componenti e sistemi mutualmente interattivi. Il significato dello sviluppo individuale è perciò in espansione, in trasformazione e in riorganizzazione: tutto ciò si manifesta in contesti variabili e dinamici di scambio e interazione. Uno speciale contesto ambientale ,dall'estrema importanza per l'uomo, è quello delle relazioni intime; e questo sarà il tema dell' articolo.

 

Cambiamenti nelle prospettive psicoanalitiche delle emozioni

Due precedenti resoconti delle mutate prospettive psicoanalitiche sulle emozioni (Emde, 1980, 1988) delineano uno spostamento verso un modello organizzativo. Il cambiamento di prospettiva inizia con l'ultimo pensiero di Freud, ma incorpora al tempo stesso dei radicali cambiamenti nel mondo clinico e scientifico da Freud in poi. Le emozioni vengono progressivamente viste come processi compositi e sfaccettati , includenti sentimenti diretti di piacere e dispiacere. Radicati nel biologico, tali processi vengono visti come valutativi e come implicanti un'attività cognitiva funzionante tanto consciamente quanto inconsciamente nell' organizzare i processi mentali e il comportamento (vedi i riferimenti a Freud in Emde, 1988; vedi anche Brenner, 1974; Engel, 1962; Jacobson, 1953; Schur, 1969). Il modello organizzativo riprende la formulazione di Freud secondo la quale le emozioni sono segnali, situati nell'io, e la estende. Segnalando, le emozioni funzionano automaticamente e hanno un ruolo regolatorio. I segnali di ansia evitano il sopraggiungere di sensazioni di impotenza, le quali secondo Freud sono legate a specifiche e gerarchicamente organizzate strutture interiorizzate, originarie dei primi anni di vita. Dopo Freud, altri teorici psicoanalitici (vedi Anthony, 1975; Bibring, 1953; Brenner, 1975; Engel, 1962; Kaufman, 1977) descrivono i segnali depressivi analogamente a quelli d'ansia, laddove si riscontra anche una sequenza evolutiva che conduce a una regolazione dell'autostima ed all'evitamento di maggior depressione. Ad altre funzioni di segnalazione di altri processi emotivi sono stati attribuiti ruoli regolatori. Tra queste sono state considerate le funzioni segnalatorie dei sentimenti di sicurezza (Sandler, 1960; Sandler & Joffe, 1969), e delle emozioni positive (Engel, 1962; Jacobson, 1953),.

Oltre a questo , le emozioni sono anche state viste sia come adattive, agendo autonomamente, sia come conflittuali (Hartmann, 1939). Esse sono state viste come aspetti continui delle nostre vite e non come peculiarmente intermittenti o tipicamente traumatiche, benché possano contribuire a condizioni di destrutturazione e patologia. Nella vita quotidiana una certa varietà di emozioni regola l'interesse, l'impegno, la noia, la frustrazione e il coinvolgimento nel mondo e queste possono essere categorizzate secondo la dimensione piacere-dispiacere (vedi Blau, 1955; Castelnuovo-Tedesco, 1974; Jacobson, 1953, 1957; Novey, 1961; Rangell, 1967). I segnali emotivi rivolti agli altri sono considerati importanti non solo nello sviluppo dei primi annii di vita(Basch, 1976; Rapaport, 1953; Schur, 1969) ma anche nel processo psicoanalitico (Greenacre, 1971; Spitz, 1956). Infatti l'emergente modello organizzativo segnala la centralità delle emozioni per le relazioni oggettuali (Emde et al., 1976; Kernberg, 1976; Landauer, 1938; Novey, 1961; Rangell, 1967; Schafer, 1964; Stern, 1985).

 

Cambiamenti nelle prospettive multidisciplinari delle emozioni

Il campo delle ricerche sulle emozioni è stato caratterizzato da una certa diversità di teorie, ma recentemente si è trovata una convergenza di pensiero in termini di un modello organizzativo. Tale modello comprende i principali contributi psicoanalitici degli ultimi tempi, ma va oltre. Dal momento che può strutturare le nuove conoscenze sulle influenze integrative, vale la pena riprenderlo.

C'è al momento un vasto consenso sul fatto che i processi emozionali sono parte di sistemi complessi in interazione con altri processi che diventano dinamicamente integrati nel corso del funzionamento. Sono presenti diversi cicli di feedback tra ed entro i sistemi mentali che riguardano percezioni, motivazioni, emozioni, cognizioni ed azioni: la regolazione reciproca è quindi caratteristica. Credo che tre punti di vista possano unire le ricerche correnti.

Il primo è un punto di vista adattivo e organizzativo, nel quale le emozioni sono correntemente viste come processi adattivi e attivi. Due tipi di funzioni adattive sono svolte dalle emozioni: le predisposizioni motivazionali interne agli individui e le comunicazioni tra individui. Perciò, come indicato in precedenza, le emozioni sono dirette sia all'interno, sia all'esterno. I fenomeni considerati in due time-frames sono stati importanti nella ricerca: i processi short-acting (per esempio quelli relativi alla paura e alla rabbia, che molti, seguendo Paul Ekman,(1994) potrebbero considerare "emozioni proprie") e i processi longer acting ,definiti come stati d'animo e carattere. Più avanti nell'articolo, definirò un terzo set di fenomeni emozionali, cioè i processi emozionali correnti, che, benché raramente studiati e solitamente inconsci, sono tuttavia vitali per lo sviluppo e per la psicoanalisi. Un altro importante aspetto di questa prospettiva riguarda il principio di regolazione. Come in altri sistemi psicobiologici, c'è una zona ordinaria di funzionamento adattivo regolatorio, mentre compaiono meno frequentemente condizioni estreme di destrutturazione, caratterizzate da "non sufficienti" o "eccessive" emozioni. Gli psicoanalisti trattano continuamente il problema della destrutturazione.Questo articolo concentrerà l'attenzione su un aspetto della regolazione che riguarda il "nuovo".

Una seconda prospettiva di largo consenso tra i ricercatori riguarda la complessità. Mentre alcune emozioni (per esempio felicità, rabbia, paura e tristezza) sono considerate "basilari" , o comunque blocchi fondanti su cui si sviluppano altre emozioni, le ricerche hanno indicato che le cose non sono così semplici. Le emozioni sono ora viste in termini di processi mentali di flussi di informazioni che hanno significative componenti e configurazioni. L'ordinamento di tali componenti è sovente complesso e non lineare. Perciò le componenti delle emozioni hanno a che fare con i sottosistemi di appraisal, aspettative, arousal, sentimenti di piacere o dolore, feedback autonomi e somatici, così come feedback da gesti, da azioni e da comunicazione con altri; tutto ciò può avvenire in diverse configurazioni. E configurazioni variabili capitano in contesti differenti: il che dipende dalle loro connessioni interattive con circostanze particolari (Ellman et al.,1996; Lazarus,1991; Scherer,1984). Gli psicoanalisti hanno a che fare con componenti variabili e configurazioni di emozioni, inserite tra vecchi e nuovi schemi emergenti durante il lavoro analitico.

Il terzo è un orientamento relazionale che specifica l'importanza del contesto. Le emozioni sono studiate principalmente in semplificati esperimenti di laboratorio o in setting isolati. Non è più il caso. E' stato riconosciuto che tutti i processi emotivi implicano relazioni tra la persona e l'ambiente,e per questo occorrono degli studi in circostanze più naturali e adattive. Più specificamente, si riconosce che le emozioni sono costrutti meglio comprensibili in termini di mete di un individuo (con intenzioni e appraisal) in relazione con il suo ambiente fatto di oggetti o di persone (Campos et al., 1989; Lazarus, 1991).

Questi tre punti di vista possono sembrarci astratti, ma possono comunque aiutarci a comprendere le attuali scoperte nella genetica molecolare e nella neurobiologia evolutiva (Emde et al.,1996). I meccanismi di influenza sulle componenti e sulle configurazioni delle emozioni in relazione a specifici contesti stanno ora per essere enumerati. Tali prospettive non sono banali. Krause e colleghi (Anstadt et al., 1997; Krause, 1997) hanno fornito una visione contemporanea, incorporando la ricerca sulle emozioni e la psicoterapia psicoanalitica che tratta tali argomenti. Inoltre abbiamo pure imparato che i potenziali genetici sono attivati in ambienti particolari e che le espressioni genetiche possono essere profondamente influenzate dal contesto ambientale (Gottlieb, 1992). Le influenze genetiche e ambientali, in relazione con le componenti dei processi emozionali, cambiano probabilmente con lo sviluppo. Per il lavoro psicoanalitico, lo sviluppo implica transazioni di esperienza che avvengono nelle sempre più emotivamente complesse relazioni sociali; in parallelo varieranno anche le influenze genetiche e ambientali (nonché le opportunità d'intervento).

 

Influenze integrative nei primi anni di vita

Tenendo presente queste considerazioni, noi rivedremo come i processi emotivi provvedano alle influenze integrative per lo sviluppo e per la continuità evolutiva. I processi coinvolti nel cambiamento e nella continuità, benché interdipendenti, saranno trattati in sezioni separate. La nostra attenzione cadrà sullo sviluppo nei primi anni di vita, sia perchè numerose ricerche sono state fatte al riguardo, sia perchè questo ci permette di sottolineare rapidamente i processi evolutivi in cui i segnali emotivi promuovono le connessioni integrative.

 

- Emozioni e cambiamenti evolutivi: le transizioni della prima infanzia

Sebbene io creda che i processi emotivi provvedano alle influenze integrative durante l'intero corso della vita, tuttavia gli esempi più drammatici avvengono durante le transizioni della prima infanzia. In un'importante monografia, pubblicata trenta anni fa, René Spitz affermò che lo sviluppo infantile non avviene in modo lineare, ma per stadi.(Spitz, 1959). Tre stadi di sviluppo sono segnalati da Spitz nei primi due anni del bambino, ciascuno associato a nuovi pattern di emozioni. A ciò è stata data una validità empirica in uno studio longitudinale (Emde et al., 1976). Oggi, noi possiamo rilevare sei periodi di transizione durante i primi quattro anni del bambino. Queste transizioni costituiscono dei periodi evolutivi dove i cambiamenti sono pervasivi, durevoli, ed implicano un maggior riorientamento nelle relazioni tra persona ed ambiente (Emde & Campos, in preparazione). Compaiono nuovi pattern di processi emozionali e nuovi segnali emotivi, e questi permettono altri cambiamenti nel bambino e nel suo ruolo in famiglia.

Le sei transizioni descritte sotto sono supportate da considerevoli documentazioni cliniche e sperimentali. Attenendomi al modello organizzativo delle emozioni descritto in questo articolo, considererò brevemente le transizioni, sottolineando i nuovi pattern emozionali e i loro aspetti relazionali. Nuovi pattern di emozioni, in virtù delle loro funzioni segnalatorie (sia interne sia esterne), servono a promuovere nuove connessioni.

La prima transizione segue la nascita e gli adattamenti regolatori post-nascita che avvengono nel neonato. Predomina l'espressione emozionale del pianto, volta alla comunicazione di malessere e alla richiesta ai genitori di venire. Soprattutto, le espressioni emozionali di pianto, allerta/vigilanza e quiescenza sono usate per definire stati di bisogno e motivazione per i genitori. Queste espressioni emozionali sono anche indici di processi di segnalazione interna, dal momento che il bambino acquisisce esperienza e confidenza nella capacità di essere consolato dagli altri. In altre parole, il neonato incomincia ad esperire e ad esprimere una personalità nel mezzo di intime relazioni con il genitore. Questo fatto è riconosciuto nella Brazelton Neonatal Behavioral Assesment Scale (Brazelton, 1969; Sameroff, 1978).

I cambiamenti nelle espressioni emozionali sono altresì importanti nel segnare le cinque transizioni evolutive che seguono il periodo neonatale. Questi avvengono tipicamente verso la fine degli altri pervasivi cambiamenti psicobiologici, manifestatisi durante ogni transizione. Nelle descrizioni sottostanti, il lettore dovrebbe essere consapevole che i periodi di transizione sono approssimativi, e che le variazioni individuali nel tempo diventano tanto più significative quanto più il bambino cresce (Emde et al., 1976).

La comparsa del sorriso sociale definisce una transizione che va dai due ai tre mesi. Questa nuova espressione emozionale, benché vi siano dei precursori (vedi Emde & Harmon, 1972) , comunica lo stato di benessere del bambino ed è accompagnata da altri segnali emotivi indici di cambiamenti interni. Questi includono la sorpresa di fronte a nuove esperienze piacevoli e le espressioni di allerta, di sostenuto interesse. Questi ultimi pattern emozionali, combinati con una maggior capacità per il contatto diretto, consentono nuove opportunità per l'impegno e l'apprendimento sociale. Il piacere,sia interno sia comunicativo, è indicato nei reciproci cambiamenti nel sorridere con la madre e con gli altri ; vi è inoltre un crescendo in eccitazione che si riscontra in tali interazioni. Le influenze integrative di queste espressioni emozionali possono essere viste nelle variate aspettative sul ruolo familiare. I genitori rispondono non solo aumentando le loro interazioni sociali col bambino, ma anche portandolo sempre più spesso fuori casa e mostrandolo agli altri. Il bambino è ora considerato meno come una bambola e più come un essere umano.

La comparsa del distress esterno e del profondo turbamento dovuto alla separazione dai genitori comportano nuove configurazioni emozionali, rilevabili tra la fine del sesto mese e l' ottavo mese. I familiari rispondono ai cambiamenti interni del bambino con ulteriori modifiche nelle aspettative. Il bambino li fa sentire speciali in un modo nuovo, dal momento che la separazione, causa di elevato distress, ha delle conseguenze diverse rispetto a prima. Ma in questo periodo troviamo altri cambiamenti nella segnalazione emotiva, indicanti altresì modifiche pervasive nell'organizzazione cognitiva e socio emozionale; il che sottolinea anche nuovi ruoli e aspettative familiari. I referenti sociali cominciano in questo periodo. I bambini cominciano ora a cercare all'esterno espressioni emozionali di altri referenti (solitamente il padre o la madre) quando incontra situazioni di incertezza. A seconda delle emozioni viste o sentite in altri, il bambino può avvicinare o evitare una persona estranea o un giocattolo nuovo (vedi il resoconto degli studi in Emde, 1992).

Le profonde novità relative all'apprendimento della deambulazione e le sue conseguenze socio emozionali caratterizzano il periodo compreso tra i dieci e i tredici mesi. I clinici, compresi Margaret Mahler e i suoi colleghi, sostengono che in questo periodo il bambino aumenta le sue emozioni positive, manifestando quelle che comunicano un certo sentimento di esaltazione e di orgoglio (Mahler et al.,1975). Un distress intermittente è tuttavia esperito come conseguenza degli urti legati al camminare. Più spesso, comunque, il bambino sperimenta stati di incertezza dovuti a un allargamento del mondo fisico e alle proibizioni genitoriali. I referenti sociali e l'utilizzo di maggiori comunicazioni emozionali (orientate alla distanza) verso gli adulti risultano quindi essere caratteristiche di questo periodo. Il bambino necessita di maggior "rifornimento emozionale" da parte dei genitori, al fine di favorire l'esplorazione. In questa fase troviamo quindi maggior autonomia, ma al tempo stesso maggiori legami. Le comunicazioni emotive aumentano i cambiamenti del nuovo ruolo per il bambino, non solo per necessità di rassicurazione e di padronanza, ma anche per ragioni di sicurezza.

I pervasivi cambiamenti che incorrono tra il diciottesimo e il ventiduesimo mese sono stati talvolta descritti come il periodo della "transizione dal periodo neonatale all'infanzia", dal momento che si intravede l'inizio di una consapevolezza autoriflessiva e la capacità di usare più parole per articolare un discorso (Fenson et al., 1994; Kagan, 1981; Lewis & Brooks-Gunn, 1979). I nuovi pattern emozionali e le loro connessioni non sono meno drammatici. Per esempio, compaiono le prime istanze etiche, come l'empatia . Il bambino non solo risponde al distress esterno con risonanti sentimenti di self-distress, ma al tempo stesso può impegnarsi in azioni prosociali quali la cura, la consolazione e l'aiuto rivolto agli altri, come Carolyn Zahn-Waxler, Marian Radke-Yarrow e altri hanno così ampliamente dimostrato (Radke-Yarrow et al.,1983; Zahn-Waxler et al., 1992). Un altro pattern emozionale che indica un cambiamento nella funzione segnalatoria interna è il distress dovuto alla violazione della norma, come ha dimostrato Jerome Kagan (1981). Talvolta il bambino si altera notevolmente quando si imbatte in una bambola rotta o in un giocattolo sporco, segni di una deviazione da ciò che si aspettava. In questo periodo possono anche comparire le espressioni di vergogna. Altra caratteristica importante è l'acquisizione del " no semantico" (Spitz, 1957) ed un apparente negatività e malumore, con particolari conseguenze per le interazioni con i genitori che sono state descritte da Sander (1962) e da Mahler et al. (1975). La famiglia risponde così a tali cambiamenti emozionali e riorganizza il ruolo del bambino. Il bambino manifesta maggior intenzionalità (per es. dove cammina), e maggior controllo delle emozioni (per es. pochi accessi di collera, più tolleranza per la frustrazione): La domanda di socializzazione aumenta corrispondentemente.

Dai tre ai quattro anni (periodo prescolastico) il bambino manifesta una certa competenza verbale. La capacità di fornire un'organizzazione narrativa alle esperienze emotive costituisce un'altra monumentale acquisizione evolutiva; il bambino non solo può rappresentare le esperienze passate e le aspettative future in modo coerente, ma può esprimerle col linguaggio e condividerle con altri. Quindi il bambino può dire alla madre Perciò la comprensione delle situazioni familiari, dei conflitti, delle possibilità e dei ruoli è spesso legata alla competenza verbale e alla capacità di raccontare storie.

 

Emozioni e cambiamento evolutivo: ipotesi di emozioni di costruzione del sé in aggiunta a quelle di auto mantenimento.

I processi emotivi accompagnano il cambiamento evolutivo e lo sviluppo cognitivo, infatti le emozioni di sorpresa, interesse, ansia per un impegno sociale e piacere di controllo, caratterizzano l’attività del bambino che dà un significato al mondo che lo circonda, e la sua tendenza biologica a trovare nuove informazioni e categorizzarle secondo ciò che è familiare: "assimilazione cognitiva" come è definita da J. Piaget.

Tali attività cognitive prevalenti nella prima infanzia, sono un aspetto dello sviluppo lungo tutto il corso della vita.

Le emozioni positive, attraverso segnali interni ed esterni, dai feedback provenienti da sé e dagli altri, sono espressione del piacere derivante dall’organizzazione che gradualmente si struttura. Per attirare l’attenzione su questo aspetto dei processi emozionali in generale, mi sono riferito a quelle emozioni che includono il piacere dell’entropia negativa, in opposizione alla teoria secondo cui tutte le emozioni sono una conseguenza dell’entropia, e si esprimono come scarica emotiva.

Il cambiamento verso una rivalutazione psicoanalitica dello sviluppo umano, inteso come sistema che ricerca e processa in situazioni di aumento continuo della complessità, processo questo guidato dalle emozioni, trova le sue basi nel pensiero di Erikson (1950), Fenichel (1954), Freud (1905), Hartmann (1939), Loewald (1960,1971), Spitz (1959), Ulteriori elementi si ritrovano in Bowlby (1969), Bucci (1997), Emde (1980), Lichtemberg (1989), Peterfreund (1971), Score (1993).

Piuttosto che ipotizzare emozioni di entropia negativa, ora preferisco pensare funzionalmente a emozioni di creazione del self, in aggiunta quelle difensive.

I processi emozionali che hanno un tono negativo(ansietà, debolezza, paura, rabbia, sadismo, disgusto, vergogna, colpa, e altre emozioni analoghe) possono infatti contribuire alla crescita del self, in quanto sviluppano l’apprendimento incorporando nuove visioni e conoscenze; tuttavia sono solitamente considerate espressione di stabilità e difesa, per la loro funzione di allarme.

La teoria psicoanalitica e il lavoro clinico si sono occupati in modo particolare di questo aspetto delle emozioni, nonostante la nostra letteratura documenti piuttosto ampiamente che esse hanno a che fare con memorie e aspettative represse e rimosse, e funzionano in modo tale da mantenere un senso di stabilità e coesione.

E naturalmente anche le emozioni positive svolgono funzioni analoghe.

Il fatto che emozioni positive e negative giocano un ruolo sia nella costruzione del sé che nel senso di stabilità e difesa, indica un grado elevato di complessità dinamica, dimostrato ampiamente dalle scoperte delle ricerche sperimentali in materia di acquisizione di nuove informazioni.

Se un evento ambientale è in parte dissonante rispetto a ciò che è noto, tende ad essere sperimentato come interessante; tuttavia se tale scarto risulta eccessivo può essere sperimentato come spaventoso; allo stesso modo un immagine familiare, che appare in un contesto inaspettato può essere sperimentata come sorprendente e perfino diventare divertente, purché l’apparizione non sia troppo brusca.

Quando, per risolvere un’eventuale dissonanza, viene imposta una limitazione alla costruzione dei propri piani si può sperimentare un senso di frustrazione e rabbia (Izard,1977); invece quando un piano è portato a termine, e la discrepanza risolta, si sperimentano sentimenti di piacere e controllo (Morgan e Harmony,1984).

 

Le emozioni e la continuità evolutiva: il nucleo affettivo, il riferimento sociale e la disponibilità emotiva.

Noi abbiamo enfatizzato i processi di cambiamento evolutivo; nuovi pattern emozionali regolano le nuove connessioni che si creano durante il periodo dello sviluppo, così come continui segnali emotivi regolano le connessioni con nuove esperienze.

Analizziamo ora i concetti di emozioni e continuità evolutiva.

Tempo fa ho proposto che fin dai primi anni ogni individuo, durante lo sviluppo evolutivo che avviene lungo tutto il corso della vita, acquisisce un senso di continuità attraverso un pattern individualizzato e duraturo di monitoraggio affettivo.

Questa teoria di un nucleo emotivo del self nasce all’inizio da suggestioni di Rangell e Izard, i quali propongono che, a causa di un’organizzazione biologica di base e di vitali relazioni nei processi emotivi che emergono nei primi anni di vita e restano poi relativamente stabili, esiste un nucleo emotivo riprodotto che fornisce ad ogni individuo un senso di costanza: noi infatti sappiamo di essere sempre gli stessi nonostante i vari cambiamenti cui siamo sottoposti, e le diverse relazioni che instauriamo con gli altri.

Si può quindi ipotizzare che tale nucleo emotivo regoli il senso del sé e quello dell’intersoggettività; inoltre conferisce unitarietà alla nostra esperienza, poiché attribuisce significato alle nostre percezioni sensoriali mantenendo una coerenza interna.

Le basi della teoria possono essere recuperate sia nella pubblicazione del 1983 che nella elaborazione seguente (1991); si giunge alla conclusione che l’infante ha capacità innate di monitorare l’esperienza secondo ciò che è piacevole o no, capacità che continuano a guidare il rapporto con il mondo e l’apprendimento lungo tutto il corso dell’esistenza.

Tale caratteristica di costanza delle emozioni nel corso del tempo ha una base biologica che si manifesta chiaramente nelle espressioni emotive riscontrate nell’infanzia (per esempio la felicità, la rabbia, la paura, la tristezza, il disgusto e la sorpresa) di cui Darwin ha mostrato le basi evolutive (1872).

Inoltre c’è una considerevole evidenza sperimentale di pattern emotivi costanti nelle diverse culture (soprattutto per quanto riguarda le espressioni facciali) e di una simile organizzazione dimensionale delle espressioni emotive costante nell’arco della vita.

È opportuno comunque ricordare che lo stile delle risposte emotive e il loro significato variano da individuo a individuo: in questo senso le emozioni sono espressione della valutazione di una particolare esperienza individuale.

La costanza degli schemi emozionali è utilizzata in entrambi i sensi, generale e particolare, sia nella pratica clinica e che nella nostra esperienza quotidiana. Le comunicazioni emotive ci permettono di entrare in contatto con gli altri e di apprezzare cos’è di importanza cruciale.

Gli studi sull’infanzia sottolineano un’importante esigenza comportamentale per il nucleo emotivo del self: ovvero una comunicazione emotiva costante e la disponibilità delle figure che si prendono cura del bambino (Bowlby,1973; Campos e al.,1983; Feinman e Lewis,1981: Mahler e al.,1975; Sorce e Emde,1981).

Le emozioni della prima infanzia forniscono coerenza all’esperienza regolatrice del self, solo se è presente un "altro".

Molte ricerche hanno descritto come la disponibilità all’interazione dei genitori favorisce un costante scambio emotivo, che coinvolge le routine dei processi di feedback sonori (Emde e al.,1991; Tronick,1980; concetto di fiducia di base di Erikson,1050).

Stern teorizza (1985) che un tale scambio permette all’infante di creare rappresentazioni prototipiche delle esperienze relazionali di forte carica affettiva. Inoltre in apparenza sembra che l’infante sviluppi particolari procedure emozionali per monitorare la disponibilità emotiva dei genitori (Clyman,1991). Tra i 7 e i 9 mesi si manifesta un processo detto "riferimento sociale", attraverso cui l’infante scopre i segnali emotivi altrui per mezzo di una costante funzione segnalatrice (Emde,1992; Feinman e Lewis,1983; Klinnert e al.,1983).

Un altro importante aspetto della continuità emotiva è evidente nello sviluppo morale dei primi anni di vita. Le regole sulla reciprocità sociale e quelle riguardo al modo in cui sono le cose e in cui le persone si comportano, vengono interiorizzate come il risultato dell’esperienza relazionale con i genitori durante l’infanzia. Infatti il bambino manifesta segnali di stress emotivo quando sperimenta una situazione in cui le tali regole sono violate, segnale questo del ruolo fondamentale dei processi emotivi nella strutturazione di queste primarie forme di sviluppo (Emde e al.,1987; Kagan,1981).

 

I processi emotivi sottostanti al nucleo affettivo del self.

Consideriamo ora più in dettaglio la struttura del nucleo emotivo del sé.

Negli esseri umani si è sviluppata una modalità costante e basilare di comunicare con sé e con gli altri: la capacità evolutiva di sperimentare e esprimere emozioni. Gli psicoanalisti sono interessati agli aspetti individuali delle emozioni, sperimentate ed espresse attraverso un set organizzato di parametri, che compare nei primi anni di vita del bambino, e che viene definito temperamento. L’aspetto saliente di questo concetto è che vi sono differenze individuali nelle modalità di espressione emotiva (Goldsmith e Campos, 1982) e nelle rispettive mete comportamentali (Kagan,1994). Ciò che io ho nella mente è il nucleo emotivo, non è il temperamento, ovvero un monitoraggio di processi emozionali di comportamento che contribuiscono al senso della costanza. Infatti nonostante le disposizioni del temperamento possano influenzare la risposta emozionale, tali predisposizioni hanno poco a che fare con il controllo dell’esperienza individuale.

Sorprendentemente, i teorici dell’emozione non hanno trattato in modo approfondito i processi emotivi che stanno alla base del comportamento; il campo dell’emozione si è invece focalizzato sulle reazioni emotive immediate, sugli stati d’animo di più lunga durata, o sulle predisposizioni emozionali riferite al temperamento (vedi la discussione di Edman e Davidson,1994; Scherer e Ekman, 1984; Lewis e Haviland,1993).

La mia ipotesi è che il nucleo emotivo ha sulla la nostra esperienza un’influenza continua, di cui noi solitamente non abbiamo consapevolezza, ma di cui vi è comunque elaborazione inconscia.

Dopo la sua formulazione originaria, si è teorizzato che il un nucleo emotivo del self, connesso sia alla conoscenza procedurale che a tutta l’attività mentale, sia un’area inconscia con funzionamento automatico, di cui si ha consapevolezza quando vi è un blocco nei meccanismi di regolazione dell’attività mentale.

Un altro aspetto fondamentale è che il nucleo emotivo sia connesso alle ripetute esperienze fatte con altri individui significativi, le quali sono interiorizzate nel corso dello sviluppo dei primi anni di vita. Questa linea di pensiero si collega a quelle di altri teorici psicoanalitici che sottolineano l’importanza di rappresentazioni emotive, strutturate nei primi anni di vita, riguardanti il sé e gli altri.( soprattutto Kernberg, 1990 e Stern 1985).

Innanzitutto è chiaro che qualsiasi concezione di nucleo affettivo deve riferirsi a processi interattivi multipli, e non a un singolo generico processo.

Inoltre, è stato sostenuto il concetto di "processi emotivi in atto". Antonio Damasio (1994), un neurologo interessato allo studio delle emozioni, del funzionamento mentale e della coscienza, ha ricondotto le ricerche proprie e di altri ad un unico quadro concettuale. Damasio sostiene che i "sentimenti di base" sono rappresentazioni complesse di stati corporei, distribuite in diverse zone cerebrali corticali e sottocorticali. Solo raramente abbiamo piena consapevolezza di tali sentimenti, ma siamo in grado di descriverli quando ci viene richiesto. Damasio sottolinea che tali sentimenti contribuiscono al nostro senso di identità, mantenendo il nostro illusorio senso di "continuità" nonostante i vari cambiamenti cui siamo sottoposti.

In terzo luogo, vorrei aggiungere un altro aspetto importante: i processi emotivi sono continuamente attivi a livello del sistema mnemonico, nonostante vengano riorganizzati ogniqualvolta siano attivati dalle circostanze..

Dal momento che le emozioni sono legate a specifiche esperienze relazionali avvenute nel passato, sono riattivate più facilmente in circostanze analoghe. Questo richiama un’idea di schemi emozionali del sé in relazione con gli altri (Bucci, 1997 e Horovitz, 1991).Il nucleo emotivo del sé può essere così pensato come un aggregato di tali schemi che esistono in forma potenziale, i quali includono gli aspetti inconsci o rimossi in virtù della capacità procedurale che può essere attivata.

 

Il pensiero psicoanalitico riguardo il concetto di identità e associazione: gli schemi emotivi del sé in relazione agli altri.

Introduciamo due teorie psicoanalitiche che hanno messo in evidenza l’importanza dello sviluppo di basi emotive correnti per la funzioni adattive, enfatizzandone le connessioni con le rappresentazioni del sé in relazione agli altri. Entrambe si sono focalizzate sul senso di sicurezza: la prima, elaborata da Sandler, sostiene che i sentimenti in atto creano una cornice di riferimento, con cui viene organizzato e valutato il significato delle percezioni per lo sviluppo (Sandler.1960; Sandler e Joffe, 1969; Sandler e Sandler,1978).La seconda, elaborata da Bowlby, tiene conto solo delle basi emotive: egli sostiene che è possibile esplorare tale senso di sicurezza, che si origina dall’esperienza della relazione con i genitori (fondamentale da un punto di vista emotivo), le cui risposte ai bisogni del bambino alle sue comunicazioni emotive sono interiorizzate.

A lungo si è riflettuto riguardo i processi emotivi che mettono in relazione sé e gli altri, ed è stato più volte ribadito che la rappresentazione emotiva di tali processi comincia a strutturarsi a partire dalle prime esperienze relazionali con i genitori, per poi continuare nel tempo (Bion,1962; Erikson,1959; Fairbairn,1963; Guntrip,1971; Klein,1967; Sanders,1980; Spitz,1959; Winnicott,1965).

In particolare Kernberg (1976) ha teorizzato che le unità di base degli stimoli integrati sorgono nell’infanzia e coinvolgono gli affetti, il senso del sé e la nozione di oggetto, definito come schemi emotivi del sé in relazione agli altri. I più intensi stati emotivi, riguardanti esperienze piacevoli e dolorose con i genitori, quando vengono interiorizzati, causano il corrispondente desiderio di ripetere o evitare analoghe esperienze emotive. La formulazione di Kernberg implica la strutturazione dell’esperienza, e l’organizzazione delle diverse rappresentazioni di sé con gli altri attraverso le emozioni.

Torniamo nuovamente a Bowlby: il sistema di attaccamento è sempre attivo e vi è un monitoraggio continuo e inconscio della disponibilità dei genitori. Questo viene definito "modello di attaccamento al lavoro", ovvero un insieme di schemi che includono rappresentazioni del sé in rapporto agli altri, connessi alle emozioni difensive, a quelle di costruzione del sé e a quelle del senso di costanza.

Tali relazioni persistono nel corso dello sviluppo e vengono ricostruite attraverso l’infanzia fino all’età adulta.

D. Stern (1985,1989) descrive lo sviluppo intimo di sé in relazione altri come completamento del mondo interpersonale vissuto nell’infanzia. La rappresentazione dell’interazione con i genitori diventa un modello generale di riferimento che regola le aspettative e il comportamento successivo.

Il mondo delle relazioni interpersonali è ricco di aspetti emotivi, e il suo sviluppo è portato avanti da un insieme coerente di emozioni, che viene considerato una risposta del soggetto alle emozioni e ai sentimenti vitali che si manifestano nell’interazione tra i genitori e il bambino (tali sentimenti cambiano di intensità, grado di espressione e frequenza nel corso del tempo). Stern mutua dalla scienza cognitiva l’idea che le esperienze sono categorizzate secondo forme prototipiche, le quali sono collegate alle emozioni. Stern lascia aperta la questione se tutte le configurazioni sono organizzate dalle emozioni (1989).

I più recenti concetti psicoanalitici, riguardanti il sé in relazione agli altri e le emozioni, sono quelli di "funzionamento riflessivo" e "mentalizzazione", articolate da Fonagy e Target.

Le funzioni riflessive si riferiscono all’abilità di ritrovare negli altri stati mentali (sentimenti, credenze e intenzioni) simili ai nostri, abilità questa utilizzata per interpretare le azioni altrui e per dare coerenza all’organizzazione del self. Tali funzioni sono apprese nei primi anni dello sviluppo grazie agli scambi emotivi tra i genitori e il bambino, e operano in modo inconscio lungo tutto il corso dell’esistenza sotto forma di procedure automatiche. Infatti quando la madre riproduce (come uno specchio) le espressioni emotive del bambino, questi percepisce le espressioni materne e le mappa nella rappresentazione del proprio stato del sé (vedi Gergely e Watson,1996).

La teoria degli schemi emozionali del sé in relazione agli altri è stato approfondito da W. Bucci, che, basandosi su recenti conoscenze derivanti dalla scienza cognitiva e dalle neuroscienze, pone tali schemi al centro dell’attività mentale.

Si può individuare un alto grado di complessità sia nelle componenti dei processi emotivi, che coinvolgono l’apparato cognitivo, il comportamento e le funzioni fisiologiche, sia nel nucleo affettivo, costituito da classi emotive (categorizzazione delle emozioni).

Per ogni emozione esiste un ampio raggio di espressioni, il che dimostra l’importanza di pensare a prototipi emotivi, i quali variano in relazione al cambiamento dello sviluppo. Per Bucci gli schemi emotivi iniziano a svilupparsi in una forma inconscia, che include processi sottostanti gli aspetti simbolici ( sensazioni sensoriali, viscerali e cinestetiche modellate da sistemi di processi distribuiti in parallelo) e l’immaginazione simbolica; conoscenze linguistiche vengono incorporate solo più tardi. Gli schemi emotivi sono rappresentazioni prototipiche del sé in relazione agli altri costruite attraverso la ripetizione degli episodi in cui vi è stata la condivisione degli stati emotivi, attivati ripetutamente nella risposta ad eventi e persone particolari. Parole di Bucci:

<Le osservazioni ripetute di un oggetto formano classi funzionalmente equivalenti e immagini prototipiche, cioè episodi ripetuti con un nucleo emotivo comune, che riguardano altre persone in relazione al sé; da queste classi sono generate immagini prototipiche>

Gli episodi prototipici vengono incorporati nella memoria e diventano modelli in atto di ciò che avviene quando si ha un bisogno o un desiderio, così da creare aspettative su ciò che altri fanno e su come ci si sente. Quando gli episodi si ripetono, vengono collegati tra loro, in modo funzionalmente equivalente, in esperienze con un nucleo emotivo comune, che a loro volta creano forme prototipiche costanti.

Con il crescere della complessità evolutiva, i diversi schemi diventano connessi a diverse categorie emotive e diverse situazioni relazionali.

La teoria di Bucci, di molteplici codici per processare informazioni (subsimboliche, simboliche non verbali e verbali), combina le caratteristiche del nucleo interpersonale definito da Stern, con le nozioni precedenti di un corrente nucleo emotivo per l’esperienza,

Gli schemi emotivi presenti nella memoria non sono né fissi né stabili, bensì attivi e continuamente ricostruiti secondo un funzionamento adattivo, infatti cambiano, pur mantenendo la loro continuità, durante nuove esperienze emotive.

Il punto è comunque che gli schemi emotivi del sé in relazione agli altri possono resistere al cambiamento evolutivo più di altri schemi prototipici a causa della grande influenza di input simbolici nei primi legami con l’esperienza interpersonale.

Per Bucci tali schemi diventano le basi per l’organizzazione del sé e per il transfert.

Questo ci conduce alla prossima sezione che a che fare con gli stimoli che questa linea di pensiero ha per la psicoanalisi.

 

Incentivi per la psicoanalisi

L’utilità di un modello che include le influenze organizzative degli schemi emotivi in atto del sé in relazione agli altri, può essere illustrato da una corrente di ricerca e dal pensiero clinico evolutivamente orientato.

 

-Esempi di ricerca empirica

Due aree molto produttive della ricerca psicoanalitica fanno uso di un modello teorico simile a quello descritto sopra.

Ciascuna area ha generato numerosi studi derivati da molti campi di ricerca ed in questo modo ci ha fornito un vasto insieme di letteratura empirica.

Uno ha tentato di identificare ciascuna area come una sotto-area della psicoanalisi, sebbene qui mi riferirò appena ad esse con alcune limitate citazioni.

La prima area è quella della ricerca sull’attaccamento.

Le prime esperienze genitoriali implicano differenze individuali nella disponibilità ai bisogni del bambino e ai segnali emotivi; esse sono state collegate dai ricercatori alle differenze individuali osservate successivamente nei patterns di sicurezza o insicurezza dei comportamenti di attaccamento, come visto nel bambino piccolo separato e poi riunito con un genitore (per una revisione, vedere la meta-analisi di molti studi di De Wolff e van Ijzendoorn, 1996).

Queste conclusioni sono compatibili con l’idea che ripetuti scambi emotivi con i genitori conducono ad aspettative emozionali interiorizzate che riguardano il sé in relazione agli altri (quell’attaccamento che i ricercatori chiamano "modelli in atto dell’attaccamento").

Le conclusioni sostengono l’idea che ciò che è internalizzato è una relazione specifica; in pratica, le aspettative emotive in atto del sé in relazione al padre sono organizzate separatamente dalle aspettative emotive in atto del sé in relazione alla madre.

Le più recenti conclusioni sono state più rilevanti in una serie di studi cross-generazionali.

Questi studi fanno uso di un’intervista per valutare l’attaccamento dell’adulto, uno strumento orientato psicoanaliticamente progettato da Mary Main e colleghi (vedi rassegna in Main,1993) per lo studio della trasmissione dell’attaccamento.

I genitori sono stati intervistati durante la gravidanza della madre e, conseguentemente, sono state classificate le differenze individuali nei modelli di attaccamento. Quindi queste sono state connesse ai pattern di attaccamento osservati più di un anno dopo nelle separazioni e riunioni tra bambino e genitore.

La costanza tra generazioni è stata trovata in parecchi studi (ancora vedi una meta-analisi ed una revisione di alcuni degli studi di van Ijzendoorn,1995).

Uno studio longitudinale di Fonagy e colleghi che si è svolto, è degno di nota in modo speciale (Fonagy e altri,1991; Steele e altri, 1996).

le classificazioni dell’intervista sull’attaccamento adulto, hanno previsto le classificazioni osservate di attaccamento nel periodo infantile di un anno per la madre e di diciotto mesi per il padre, da precedenti interviste con i genitori.

Tuttavia ci fu una minima sovrapposizione tra i due insiemi di classificazione genitori-bambini.

Tali risultati suggeriscono una notevole relazione specifica nel primo sviluppo.

Il bambino internalizza modelli indipendenti di schemi evolutivi di sé in relazione agli altri e questi sono basati sulla particolare storia infantile di interazione con ognuno dei genitori.

Questi ultimi sono connessi alle rappresentazioni individuali di ciascun genitore a seconda della storia di attaccamento di lui o di lei (Fonagy e Target,1997).

La seconda area di ricerca, facendo uso di un modello di schemi evolutivi di sé in relazione agli altri, si riferisce ai processi di trattamento psicoanalitico negli adulti.

Una moltitudine di studi ha esteso gli sforzi pionieristici di Lester Luborsky e colleghi che rappresentano gli episodi centrali della relazione famigliare attraverso il trattamento psicoanalitico.

Pattern di transfert ripetuti sono stati identificati, in accordo con un modello che implica i desideri del sé in relazione alle risposte affettive immaginate del sé.

Di conseguenza, il metodo del tema del centro conflittuale relazionale (CCRT),ha generato una varietà di metodi molto simili, ciascuno dei quali può essere considerato il sistema guida per la formazione dei pattern nel trattamento psicoanalitico (vedi l’eccellente revisione del CCRT e di altri metodi riportati in Luborsky e Luborsky, 1993).

Questi metodi contano su insiemi di dati audio registrati e trascritti di sedute psicoanalitiche e psicoterapiche che sono state codificate in molteplici modi (Kächele e Thomä, 1995; Thomä e Kächele, 1987).

 

-Il pensiero clinico

Le implicazioni cliniche derivano da una visione della psicoanalisi come un processo evolutivo, come un’intensa esperienza che conta su un tipo speciale di intimità.

Come tale, è una questione emotiva di molta importanza.

Le comunicazioni emotive sono utilizzate nella loro formazione, mantenimento, riparazione e termine.

Come possiamo dire che non ci sono bambini senza l’intimità di una relazione parentale di sostegno, al tempo stesso, possiamo anche dire che non ci può essere una psicoanalisi senza l’intimità di una relazione psicoanalitica.

Ed io credo che possiamo ancora dire, parallelamente, che senza una persona come punto di riferimento disponibile emotivamente, non ci potrebbe essere un processo di sviluppo salutare in ciascun tipo di relazione intima.

Ciò di cui abbiamo bisogno, è di offrire maggiore attenzione teorica ed empirica alle questioni che riguardano quale sia il tipo di disponibilità emotiva appropriata all’interno di una situazione psicoanalitica protetta professionalmente; questo, potrebbe condurre ad un cambiamento nella tecnica, con conseguenze per i risultati che possono essere studiati.

Lasciatemi illustrare attraverso la revisione di alcuni aspetti che avevamo trascurato e riprendiamo alcuni esempi per riflettere.

Ancora, vorrei porre l’accento mostrando le similitudini con i primi processi di sviluppo.

Io non sono per suggerire la regressione o altre cose simili; invece, io sono per sollevare problemi su aspetti fondamentali iniziali dello sviluppo, che continuano durante la vita e possono essere vitali per il progresso psicoanalitico.

Nelle fasi precoci del lavoro psicoanalitico, con l’ansia e le lotte riferite all’esperienza di entrare in un’intimità speciale, i processi emozionali di base sono particolarmente importanti.

L’analizzando porta una varietà di tipi di modelli di lavoro di sentimenti correnti di sicurezza.

Ma quale che sia la variazione, una nuova esperienza emotiva dovrebbe essere stata acquisita con la seguente aspettativa, e ciò comporta fiducia e confidenza nella relazione con l’analista (Greenson, 1967); come nel primo sviluppo, i sentimenti di fiducia e sicurezza, iniziano a consentire maggiore autonomia.

Tali sentimenti permettono libere associazioni con significato affettivo nel corso dell’esperienza.

Sempre più, i significativi schemi emotivi di sé in relazione agli altri, sono rievocati e riattivati.

Questo processo, naturalmente, non è lineare, facile o rapido; è irregolare, difficoltoso a livello dinamico e prende tempo; né il processo acquista spazio senza una disponibilità emotiva dell’analista.

Questo solleva una moltitudine di questioni.

Quali sono le influenze delle variazioni nelle comunicazioni emozionali degli analisti? Quali sono le influenze dei cambiamenti nel tempo trascorso faccia a faccia contro il tempo trascorso sul lettino?

Nelle fasi successive del lavoro psicoanalitico, molti tipi di emozioni diverse emergono ed alla fine, configurazioni particolari di esperienze conflittuali di transfert divengono evidenti.

C’è una riattivazione di vecchi schemi emotivi non adattivi di sé in relazione agli altri e, nel corso del tempo, con l’aiuto dell’interpretazione, ci sono opportunità per la riorganizzazione di tali schemi (o ciò che Bucci, nella linguaggio cognitivo, chiama ricategorizzazione di tali schemi), in maniera più utile.

Le esperienze affettive, viste sotto questa nuova prospettiva, consentono alla psicoanalisi nuove possibilità di sviluppo (Balint, 1952; Loewald, 1960).

Il tema di questo articolo, è che i processi affettivi hanno influenze sull’integrazione dei cambiamenti evolutivi; ci si può quindi aspettare nuovi sviluppi evolutivi che implicano nuove esperienze affettive, nei pattern ed espressioni.

E, come avevamo già visto, emozioni particolari sono intricate con nuove componenti e configurazioni che spesso emergono in nuovi contesti di relazione.

Alcune questioni rilevanti: abbiamo prestato un’adeguata attenzione alle nuove emozioni che sono sorte durante il nostro lavoro analitico? Qual è il ruolo dell’analista nel riconoscimento e nell’interpretazione delle nuove emozioni e delle loro connessioni?

Sembra probabile che sia necessario un periodo di tempo per comprendere queste nuove esperienze sia all’interno che all’esterno della situazione psicoanalitica al fine di facilitare nuove integrazioni più adattive.

Quali sono le conseguenze dei cambiamenti e qual è il tempo necessario per far pratica o mettere alla prova i nuovi pattern affettivi e le loro integrazioni?

Un altro tema di questo saggio, è che i processi affettivi si occupano dell’integrazione delle influenze per la continuità nello sviluppo.

Nuovi inizi nel lavoro analitico possono essere connessi con l’affermazione del sentimento centrale del sé, o con ciò che noi vorremo concettualizzare meglio come un complesso di schemi emotivi del sé in relazione agli altri.

Le nuove connessioni con il proprio passato autobiografico e con la propria vita emotiva, necessitano di maggiore flessibilità adattiva ai diversi contesti di relazione e circostanza.

Uno ha bisogno di sentirsi sicuro di essere sempre lo stesso a dispetto delle molte possibilità di cambiamento.

Ancora, quali sono le conseguenze dei cambiamenti nel tempo per far pratica di queste nuove integrazioni? Quali sono le conseguenze delle variazioni nella sensibilità affettiva dell’analista a queste nuove integrazioni affettive?

Sia il cambiamento evolutivo che la continuità con il rapporto affettivo sono rilevanti, e quest’articolo non ha intenzione di svalutare il ruolo dell’attività intepretativa nel lavoro psicoanalitico.

Le riflessioni tecniche psicoanalitiche, includono sia l’introspezione che l’empatia, come Kohut (1971) ha sottolineato.

Questo ci porta a due aree della comunicazione emotiva che meritano una maggiore esplorazione teoretica ed empirica: (1) la regolazione affettiva; (2) la comunicazione empatica ed inconscia.

La segnalazione affettiva, come abbiamo già visto, include una varietà di processi affettivi e proprietà di pattern emotivi, e questo solleva nuove questioni.

Oltre a fornire avvertimenti ed attivare le difese, il segnale gioca un ruolo nelle nuove connessioni? I segnali affettivi cambiano attraverso le fasi evolutive del lavoro psicoanalitico e gli schemi di transfert attivati vengono riorganizzati? E’ utile pensare che i segnali emotivi anticipino la costruzione del sé e del senso di difesa?

La maggioranza delle segnalazioni affettive avviene in modo automatico, inconscio e come un’abilità procedurale intuitiva.

Questo fatto solleva altre questioni.

Quali sono i pattern delle segnalazioni affettive che cambiano nell’analista come conseguenza del cambiamento delle segnalazioni emotive nell’analizzando? Ci sono delle influenze integrative di segnali affettivi dall’analista che contribuiscono alla speciale esperienza di sviluppo della psicoanalisi? Se è così, come possiamo caratterizzarli e considerarli conseguenze?

Questo conduce ad una seconda area, quella dell’empatia e della comunicazione inconscia.

Com’è stato notato da molti, l’empatia dell’analista implica una comunicazione inconscia e, paradossalmente, ciò presuppone un livello di serenità con gli affetti inconsci evocati (Beres e Arlow, 1974; De M’Uzan, 1980; Rothenberg, 1987).

In tale processo, l’empatia dell’analista non si esprime solo con le emozioni più semplici, come Lebovici illustra, ma include emozioni più complesse con conflittualità ed ambivalenza.

Altri hanno enfatizzato l’importanza della sensibilità emotiva dell’analista in aggiunta ad una continua attenzione dell’analista (Heimann, 1950; Sandler e Sandler, 1978; Lipton, 1977; Tyson, 1986; Kohut, 1971; Loewald, 1986).

Ciò che sembra importante, è una prontezza di percezione per le fantasie inconsce e le emozioni espresse; in altre parole, una prontezza per la comunicazione controtransferale, integrativa, affettiva.

Ancora, una moltitudine di questioni teoretiche aspettano una chiarificazione.

Possiamo indirizzare la complessa organizzazione di tali comunicazioni emotive in modo maggiormente efficace? Quali sono le componenti emotive di sviluppo che sono parte di tali processi? Quali sono le componenti di tali processi che sono inconsci e in conflitto, opposte a quelle che sono abilità procedurali? Quali sono le conseguenze per modificare i gradi dell’incontro con gli stati affettivi dei pazienti?

Bucci (1997) afferma, in accordo con Stern (1985), che sia necessario che questa sintonia emotiva avvenga nel processo psicoanalitico.

E’ solo quando questo capita che un processo di riferimento che lega funzioni verbali e simboliche a funzioni sotto-simboliche, può consentire un nuovo significato emotivo ed una nuova riorganizzazione degli schemi emotivi del sé in relazione agli altri (Bucci, 1997).

Com’è stato notato nell’introduzione dell’articolo, noi tendiamo a dare per scontato che il lavoro psicoanalitico implichi nuove connessioni emotive e processi di integrazione.

Abbiamo appena iniziato ad esplorare queste questioni.

 

-Una relazione con le neuroscienze cognitive e le direzioni future

Le nostre formulazioni sui processi affettivi e le loro influenze di integrazione, potrebbero avere poca utilità se non fossero sostenute dai progressi di conoscenza nelle neuroscienze cognitive.

Recenti revisioni di lavoro in queste discipline, sono state fornite per la clinica psicoanalitica da Schore (1994, 1997) e da Bucci (1997).

Inoltre, libri molto piacevoli sono stati scritti da neuroscienziati trainanti che gettano nuova luce sulle basi biologiche dei processi emotivi, così come le più alte funzioni integrative del cervello (Damasio, 1994; Edelman, 1992; LeDoux, 1996).

I metodi più recenti nella genetica molecolare, nella neurochimica cellulare e nell’imaging, sono state aggiunte alle nostre conoscenze, ulteriori sviluppi a riguardo sono in corso.

Quest’articolo non mira ad esaurire l’argomento; possiamo selezionare alcune tematiche che hanno attinenza notevole con i nostri temi:

  1. C’è un forte accordo che concerne l’utilità di una prospettiva di processi di informazione processuale. I processi emotivi in questa prospettiva si occupano di valutazione, con alcuni problemi. Inoltre, tali processi includono la cognizione, così come i processi di feedback non derivano solo dall’ambiente, ma da una varietà di funzioni psicologiche.
  2. I nuovi metodi nelle neuroscienze stanno ora facendo progredire la nostra conoscenza delle strutture dei processi informativi emotivi. Sebbene le aree dinamiche, per il funzionamento emotivo, possono essere localizzate nelle aree filogeneticamente più vecchie dell’amigdala e nel giro cingolato anteriore, ci sono stimoli cruciali dalla corteccia frontale (per l’azione di anticipazione, categorizzazione e pianificazione), dall’ippocampo (per la connessione con la memoria), così come dall’ipotalamo e dal sistema nervoso autonomo, dal sistema ipotalamico-pituitario-adrenalinico e dai nuclei dei neurotrasmettitori che sono distribuiti in modo ancora più esteso. Le connessioni di feedback tra i muscoli nella faccia e negli arti sono altresì importanti.
  3. La locazione ed il circuito per particolari pattern emotivi, stanno per essere risolti. Alcune emozioni sono più modellate da costrizioni innate (per esempio, la paura, la rabbia, la felicità, la tristezza ed il disgusto) che non di altre, le quali sono più modellate dalla memoria e dalla valutazione cognitiva (per esempio, la vergogna, la colpa, l’invidia, la gelosia). I progressi nella nostra conoscenza sulle vie dinamiche e le connessioni interattive, sono tanto importanti quanto le locazioni identificative. LeDoux (1996), in un importante lavoro sperimentale, ha mostrato che vi sono due vie per il processo degli stimoli della paura. Una via è di azione veloce e può sottoporre direttamente a processo gli stimoli sensoriali provenienti dal talamo all’amigdala, senza la partecipazione della corteccia sensoriale o pre-frontale. La via diretta all’amigdala permette una risposta rapida a stimoli potenzialmente pericolosi, secondo schemi di risposte innate, prima di aver dedotto di che stimolo si tratti o se evochi qualche processo conscio.
  4. I neuroscienziati, hanno inoltre iniziato a porre le basi per la nostra conoscenza dei segnali affettivi e degli schemi del sé in relazione agli altri. Questi sono stati visti in dettaglio da Schore (1994). Come ci potremmo aspettare, le regioni corticali della corteccia pre-frontale del cervello, sono quelle che si occupano della categorizzazione delle circostanze, nei termini di rilevanza personale. Attraverso tali connessioni, sono generati scenari che mettono in relazione risultati passati e futuri e questi includono un’abbondanza di conoscenze emotive del sé in relazione agli altri. Inoltre, come Damasio indica, le basi neuronali del sé, comprendono uno sviluppo processuale di rimando interno. Questo include rappresentazioni di due tipi: (1) un’identità prodotta dalle memorie del proprio passato autobiografico e del proprio possibile futuro e (2) da stati corporei di base e da quelli emotivi. Così, il funzionamento di un senso del sé, comprende l’attività coordinata di molteplici regioni celebrali ed è il risultato di una continua ristrutturazione, di cui si è raramente consci, a meno che, ci sia un’interruzione. In accordo con le teorie di Damasio (1994) e LeDoux (1996), le emozioni segnalatorie operano automaticamente e, in modo simile alla teoria psicoanalitica, si presentano come strutture apprese in modo adattivo durante lo sviluppo dell’individuo.

 

- Alternative guidate in modo incerto ed emotivo nello sviluppo

Concludiamo con alcune altre considerazioni scientifiche.

L’articolo inizia con questioni sull’integrazione, che hanno condotto a riflessioni sulla natura interattiva dello sviluppo.

La conoscenza proveniente dalla genetica di sviluppo, si aggiunge a queste riflessioni.

Abbiamo appreso che i geni lavorano in modo interattivo, lavorano solo con la partecipazione dell’ambiente.

Come Gottlieb (1992) ha sottolineato, l’azione combinata dei geni e dell’ambiente, partecipa ad ogni livello dell’organismo. E le interazione nel corso dello sviluppo, sono straordinariamente complesse, trovandosi in vie che sono probabilistiche, topologiche e selettive in accordo alle funzioni (Edelman, 1992; Edelman e altri, 1996).

Inoltre, i cambiamenti nello sviluppo dovrebbero essere pensati in termini di probabilistica epigenesi, in cui gli input ambientali e la loro sincronizzazione, hanno un ruolo maggiore (Gottlieb, 1992).

Il quadro si è ampliato per i recenti progressi nei sistemi di pensiero (Smith e Thelen, 1993) e nelle applicazioni evolutive nell’area dell’intelligenza artificiale conosciuta, come connessionismo (Ellman e altri, 1996); entrambe contribuiscono a fornire le linee-guida per il modellamento di tali processi, molti di questi possono essere riferiti in relazione all’organizzazione del sé.

Il pensiero connessionista sottolinea che l’evoluzione garantisce risultati adattivi e non specifica i singoli stadi del processo; così le fondamenta adattive provenienti dall’esterno sono varie e sono spesso indirette.

Benché i meccanismi dati dall’evoluzione potrebbero essere non ottimali nel corso del tempo, lavorano la maggior parte del tempo e garantiscono una giusta flessibilità.

Da una parte, i nuovi modelli provenienti dal connessionismo, ci danno incertezza ed imprevedibilità (come nella vita reale); siamo mortificati perché siamo di fronte ad una scienza che non può fornire risposte.

D’altra parte, possiamo sperare che saremo ricordati per l’importanza di comprendere le vie alternative di sviluppo in un mondo che sta cambiando.

La varietà di vie di possibili risultati adattivi, potrebbero avvenire nell’arco di una fascia a raggio ristretto o in una varietà di condizioni biologiche ed ambientali avverse.

Più noi abbiamo appreso riguardo queste vie, più sono le opportunità che abbiamo per essere di aiuto.

Una conclusiva considerazione scientifica, da questa linea di pensiero evolutivo, potrebbe essere sorprendente.

Concerne ciò che vediamo oggi come un ruolo sostanziale per la determinazione del sé, l’immaginazione e la creatività.

Malgrado gli psicoanalisti spesso si focalizzino sulle rigidità e sulle ripetizioni non adattive, noi siamo arrivati ad apprezzare che l’essere umano è caratterizzato da un’abilità per costruire alternative immaginarie e mondi segreti che potrebbero avere esiti creativi con gli altri.

Nel processo della psicoanalisi, le esperienze del "come se" del transfert, forniscono opportunità attraverso l’interpretazione ed il lavoro fondato emotivamente, per aumentare le alternative possibili. Ulteriori influenze integrative dei processi affettivi, sono consentite,

In questo modo il "come se", può condurre a processi di pensiero, pianificazioni e decision-making di tipo "cosa se".

Così, le attività immaginative anticipatorie, guidate dalle emozioni, sono una caratteristica dello sviluppo interattivo nell’essere umano intenzionale. Continuiamo ad essere una sorgente di sorprese.

Riconoscimenti: il supporto di Jay e Rose PhillipsFamily Foundation, è stato apprezzato moltissimo.

Un dovuto grazie anche a Wilma Bucci, Lorraine F. Kubicek e Joy D. Osofsky che hanno commentato le prime versioni del manoscritto.