Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2001-2002


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Materiali per il corso a cura degli studenti

I disturbi gastro-intestinali

a cura di

Cinzia Gerbaldo


Nella società occidentale le sensazioni fastidiose riferite all’attività gastointestinale sono quasi considerate aspetti normali della vita di ogni giorno. I ritmi frenetici di vita, i cibi troppo conditi e consumati in fretta, fuori dal desco familiare o in un clima di tensione, lo stress, sono ritenuti dal senso comune dei fattori non trascurabili. Circa trent’anni fa, all’Istituto Bethesda di Washington, fu condotto un esperimento assai interessante: ad un gruppo di volontari furono fornite le pietanze che usualmente consumavano, ma in forma di poltiglia, con il risultato che l’esperimento dovette essere sospeso poiché i soggetti sperimentali avevano perso l’appetito e dimagrivano pericolosamente. Celebri sono le osservazioni di Spitz nei brefotrofi, ove i neonati nutriti in modo "anaffettivo" dagli operatori, si "lasciavano morire" (ospitalismo), mentre, se venivano tenuti in braccio durante il pasto, ciò non accadeva. L’ importanza dei fattori psicosociali è ormai fuori discussione, anche se, negli ultimi anni, recenti scoperte biomediche (ad esempio l’Helicobacter Pylori nell’ulcera peptica e in alcuni casi di dispepsia) hanno fatto sì che alcuni esperti del settore si siano ri-arroccati su posizioni mediche rigide.

La ricerca sui disturbi gastrointestinali, negli ultimi anni, è cresciuta in modo esponenziale, visti: un affinamento delle tecniche diagnostiche riguardanti la fisiologia dell’apparato gastrointestinale; una buona mole di dati che indicano un’elevata prevalenza dei disturbi funzionali del colon e un’elevata spesa sanitaria per questo; un maggiore interesse per un approccio biopsicosociale alla malattia; una proposta di classificazione (i "criteri di Roma") per questi disturbi; la sovrapposizione di elementi fisiologici e psicologici nella manifestazione e nel mantenimento dei disturbi. Anche se la modalità d’interazione tra fattori fisici e psicosociali non è ancora stata chiarita, a livello psicosociale sono stati sottolineati:

Trombini e Chattat, nel 1996, hanno condotto una ricerca allo scopo di: evidenziare nell’ambito dei pazienti con disturbi gastrointestinali funzionali dei sottogruppi in base al profilo psicologico (ottenuto con l’SCL-90R); analizzare i sottogruppi sulla base del comportamento di malattia (con IBQ), della depressione (con CES-D), della percezione dello stress (con PSQ), dell’alessitimia (con TAS), del numero di sinmtomi somatici, della loro frequenza, durata e del numero di visite sostenute; confrontare i sottogruppi con pazienti con patologia organica (analizzato nelle stesse caratteristiche ma separatamente). Tramite l’analisi dei cluster, sono stati identificati tre gruppi:

In questo studio è importante notare la correlazione tra gravità del disagio psichico e sintomatologia esperita a livello soggettivo; ancora più interessante è notare che nel gruppo di controllo, i pazienti "organici", pur presentando un punteggio sulla sintomatologia simile al gruppo dei "lievi", per quanto riguarda le misure di disagio psichico è simile al sottogruppo dei "gravi".

Quindi le condizioni psicologiche sono sempre presenti e influiscono anche sulle malattie organiche. Quindi, anche se oggi patologie come l’ulcera peptica e la RCU sono state rimosse dall’elenco delle malattie psicosomatiche classiche (anche se i dati eziologici di tipo biomedico sono lacunosi quanto quelli psicologici, v. oltre), verranno ugualmente trattate in questa sede, proprio per ribadire l’assenza di confini tra mente e corpo e la complessità di questi fenomeni.

 

DISTURBI FUNZIONALI DELL’ESOFAGO

  1. GLOBO: spasmo, sensazione dolorosa in cui sembra di avere un corpo estraneo, difficoltà ad ingerire i cibi.
  2. BRUCIORE: A volte questi due disturbi funzionali sono legati ad un’ernia iatale che causa un reflusso gastroesofageo, ma nella maggior parte dei casi si tratta di disturbi senza un’apparente causa organica.
  3. VOMITO: molte situazioni spiacevoli non chiare, ad eziologia complessa, vengono poste in relazione con una cattiva incorporazione del nutrimento (per il lattante nutrirsi è il principale modo di rapportarsi all’ambiente) e la porta orale diventa in questi casi un meccanismo di eliminazione di sensazioni spiacevoli. Ci sono persone particolarmente sensibili a questo genere di manifestazioni emotive. Per costoro la porta del vomito è sempre aperta: basta uno stimolo minimo per provocarlo. Ma anche nei casi in cui sussista veramente un motivo obiettivo di vomito, si deve tenere presente come il centro del vomito può venire fortemente sensibilizzato da influssi psicologici.
  4. DISPEPSIA: (sinonimi: dispepsia non ulcerosa, d. funzionale, d. essenziale, d. idiopatica cronica): questo termine deriva dal greco dus, cattivo e peptein, cuocere, digerire ed è stato utilizzato, nel corso degli anni, per indicare la presenza di disturbi che si riteneva fossero causati da un’alterata digestione dei cibi; ciò ha fatto sì che disturbi molto diversi fossero definiti con il termine dispepsia. Recentemente un gruppo internazionale di esperti, basandosi su un consenso di opinioni, ha suggerito di intendere la dispepsia come: "presenza di dolore o fastidio cronico o ricorrente localizzato all’epigastrio". Vengono escluse dunque tutte le patologie addominali acute e la malattia da Reflusso Gastroesofageo (MRGE). I sintomi sono lamentati principalmente dopo i pasti e sono: dolore e fastidio epigastrico, sazietà precoce, ripienezza, distensione epigastrica, nausea, vomito/conati. Nei paesi industrializzati il 25% della popolazione lamenta sintomi dispeptici ma solo meno della metà si rivolge al medico (per la severità dei sintomi o perché teme un cancro, in base alle condizioni sociali e culturali, al comportamento di malattia individuale); il 60% di tali accertamenti diagnostici (es. esofagogastroduodenoscopia) rivela la presenza di dispepsia funzionale.

La sintomatologia dispeptica funzionale è stata attribuita a vari fattori, dei quali analizzeremo il contributo.

Uno studio del 1998 condotto dal prof. Janssen a Lovanio (Belgio) ha indagato l’attività motoria gastrointestinale in un gruppo di pazienti con dispepsia da dismotilità di grado severo utilizzando nuove tecnologie biomediche. Pur utilizzando un’avanzata tecnica computerizzata di analisi, il gruppo di ricerca non è riuscito ad identificare uno specifico pattern motorio che differenzi i pazienti dispeptici da pazienti con altre malattie o da controlli sani. Si è evidenziata una gran quantità di attività motoria anormale in assenza di sintomi soggettivi, mentre nel 79% del tempo in cui venivano accusati i sintomi soggettivi i tracciati erano normali. La conclusione è che non esiste associazione tra motilità gastrointestinale e sintomi dispeptici funzionali.

Non è sostenibile in quanto solo nel 25% dei dispeptici è presente l’infezione.

  • Fattori tossici e alimentari

Cibi troppo conditi, pasti consumati velocemente, uso eccessivo di antibiotici, possono essere una concausa ma sarebbe riduttivo eleggerla ad unica causa;

Trombini e Baldoni (1996) hanno condotto una ricerca allo scopo di esaminare tutti questi fattori.
Hanno utilizzato un campione di 36 uomini e donne che lamentavano sintomi dispeptici che si erano rivolti all’ospedale S. Orsola di Bologna per accertamenti diagnostici. Prima che fosse formulata la diagnosi medica, sono stati somministrati loro tre questionari:

  1. CES-D (Center for Epidemiology Studies Depression Scale): per valutare la sintomatologia depressiva;
  2. SQ (Symptom Questionnaire): capace di discriminare tra diversi livelli di sofferenza (ansia, depressione, sintomi psicofisiologici, ostilità);
  3. IBQ (Illness Behaviour Questionnaire): sul comportamento di malattia.

Inoltre sono stati valutati da clinici diversi in base ai criteri del DSM III-R su tutti e cinque gli assi. Il gruppo di controllo scelto casualmente tra il personale ospedaliero.

La diagnosi medica ha permesso di dividere il campione in due sottogruppi:

  1. Pazienti con dispepsia idiopatica, che sono risultati quasi la metà del campione (47,2%). All’interno di questo sottogruppo tutti sono risultati affetti da disturbi emotivi diagnosticabili attraverso il DSM III-R: nello specifico, nel 50% dei casi la diagnosi era di "disturbo di conversione" e nel 35% di distimia. Inoltre sono risultati caratterizzati da un livello di ansia e depressione superiore agli altri dispeptici e da un AIB maggiore rispetto ai controlli;
  2. Pazienti con dispepsia secondaria, dovuta cioè a cause organiche, (52,8% del campione). Anche in questo gruppo è stata evidenziata una sofferenza psicologica diagnosticabile attraverso il DSM III-R, con alti valori di ansia, depressione, AIB, rispetto ai controlli: quindi la dispepsia è associata a sofferenza psichica anche in presenza di un’altra patologia specifica.

Inoltre, per quanto riguarda gli eventi stressanti, i dispeptici idiopatici e i secondari non sono risultati significativamente differenti: questo ci riporta al concetto di stress non inteso come quantità di eventi stressanti ma come concetto includente eventi e capacità individuali di coping.

Da ciò si può concludere che ogni malattia deve essere valutata attentamente secondo una prospettiva multifattoriale che tenga conto di tutti gli elementi somatici e psicosociali significativi.

Bisogna valutare non solo la natura dei sintomi ma la loro gravità, comprendendo le ricadute emotive e relazionali: per esempio, nel caso della dispepsia, Trombini e Baldoni suggeriscono di suddividere i pazienti in:

  1. DOLORE TORACICO ATIPICO (o non cardiaco): si tratta di un dolore interno, avvertito in sede retrosternale e irradiato al dorso. Se non è collegato a cardiopatia ischemica o a MRGE, viene annoverato tra i disturbi funzionali. Anche per questo sintomo è stata indagata la motilità esofagea anormale e la presenza di disturbi psichiatrici dal gruppo di Lovanio. Un gruppo di pazienti diagnosticati come "funzionali" sono stati confrontati con altri due gruppi aventi patologie organiche (un gruppo con esofagite ed ulcera, l’altro con colelitasi): ne è risultato che i pazienti appartenenti al primo gruppo possono avere una probabilità significativamente maggiore di esposizione ad un disturbo psichiatrico.

 

DISTURBI FUNZIONALI INTESTINALI

  1. DOLORE ADDOMINALE FUNZIONALE: è un disturbo cronico (durata almeno di 6 mesi) che interferisce notevolmente con la qualità della vita, ed è responsabile di molti ricoveri in condizioni d’urgenza e di interventi chirurgici inutili. Oltre ad un dolore addominale riferito come intenso e diffuso, questi pazienti presentano solitamente altri sintomi somatici funzionali, un alterato comportamento di malattia e soffrono di ansia e depressione. Il disturbo tende a manifestarsi in occasione di eventi psicosociali significativi e spesso si presenta come episodio isolato non recidivo. Nella maggioranza dei casi i pazienti non desiderano un consulto di tipo psicologico. In uno studio longitudinale sul dolore addominale cronico nei bambini (i primi dati epidemiologici risalgono al 1946) Hotopf et al. (1998), hanno indagato sulle loro famiglie e sulla tendenza da adulti a sviluppare disturbi psichiatrici, arrivando ad affermare che:
  1. STIPSI FUNZIONALE: si presenta con stimoli persistenti di defecazione infrequente (meno di tre volte alla settimana), o apparentemente incompleta. Sono state avanzate ipotesi alimentari (è molto raro in popolazioni con una dieta ricca di fibre), motorie (alterazioni della peristalsi), e psicologiche (ansia, depressione, AIB).
    Uno studio di Chattat (1997) ha messo in evidenza che i pazienti con stipsi funzionale possono essere differenziati sia in base al tempo di transito intestinale (nella norma o rallentato), sia in base al comportamento di malattia, mentre le misure di disagio affettivo (ansia e depressione) non differenziano i pazienti tra loro ma lo fanno dai controlli sani. I pazienti con stipsi e transito normale, oltre ad elevati punteggi sulle scale di depressione e ansia, mostrano un comportamento di malattia definito "somatic focused", con aspetti di ipocondria, convinzione di malattia e tendenza alla reazione di conversione (Pilowsky, 1990).
  2. DIARREA FUNZIONALE: frequente emissione di feci aumentate di volume e poco formate (molli o acquose), accompagnate da un bisogno impellente di defecare. Si tratta di una sindrome meno frequente della stipsi e per la quale sono state proposte ipotesi osmotiche (difetto di assorbimento a livello intestinale), motorie (peristalsi) e psicologiche (conflitti di dipendenza, complesso di rinuncia-condanna, timore delle autorità).
  3. COLON IRRITABILE (IBS) o intestino irritabile (SII): Nel passato per definire questo disturbo erano impiegati anche i termini "colite mucosa", "c. spastica", "c.nervosa". Si tratta di una sindrome caratterizzata da sintomi addominali e alterazioni dell’alvo. Non si è in presenza di una condizione d’infiammazione cronica e, nonostante la cronicità, il disturbo non evolve mai in alcuna complicanza.
    I pazienti lamentano episodi di dolore addominale, non localizzato ma diffuso, che insorge in relazione temporale con una o più evacuazioni di feci poltacee o acquose; nella metà dei casi questo disturbo si accompagna alla dispepsia. In altri invece il dolore si associa alla stipsi, oppure ad un’alternanza di stipsi e diarrea, mentre il dolore regredisce con l’evacuazione o flatulenza. I criteri di Roma escludono da questa diagnosi i pazienti con stitichezza cronica e quelli con diarrea priva di dolore. Il 50% dei pazienti riferisce che gli episodi sono scatenati o esacerbati da periodi di stress (difficoltà nel lavoro, familiari, economiche…).
    Si sono ipotizzate diverse cause eziologiche, quali:

 

DUE "EX-MALATTIE PSICOCOMATICHE":

1) ULCERA PEPTICA

Per anni l’ulcera peptica è stata considerata "la" malattia psicosomatica, tanto da essere annoverata tra le "Holy seven". Secondo il noto modello di Alexander (vedi oltre), se una persona vulnerabile (sul piano della personalità e della produzione di pepsinogeno) incontra un importante evento stressante, sorge l’ulcera. Questo pensiero lineare è stato disconfermato dalle recenti evidenze empiriche sul ruolo dell’Helicobacter Pylori (HP), così da far concludere a molti che i fattori psicologici sono del tutto ininfluenti. Così si è passati dalla stigmatizzazione psicosomatica ad un altro compartimento biomedico: si tratta di un modo di pensare per dicotomie. Questo tipo di pensiero sta mostrando la corda: più dell 80% delle persone risultate positive all’HP infatti non sviluppano mai un’ulcera e il 10% degli ulcerosi è negativo all’HP. Susan Levenstein (psicoanalista) e coll. (1999) si sono chiesti se lo stress psicologico rimanga un fattore valido; la conclusione delle loro indagini è stata che HP e stress non sono semplicemente sinergici ma additivi, indipendenti e complementari: le due vie patogenetiche possono influire sulla ipersecrezione gastrica negli ulcerosi ma ciò non accade necessariamente nella popolazione normale.
L’ipotesi biomedica è debole quanto quella psicosomatica, in quanto entrambe si basano sulla dicotomia mente-corpo di cui la psicologia non ha più bisogno.

2) RETTOCOLITE ULCEROSA

Anche questa patologia fa parte delle Holy seven, senza aver mai potuto confermare empiricamente la validità di questa tesi. Si tratta di una malattia infiammatoria cronica a carico del retto (proctite) che si può estendere al colon discendente (a sinistra) o a tutto il colon: con opportuni esami diagnostici si possono chiaramente individuare delle lesioni alla mucosa intestinale, con occasionali polipi. La sintomatologia è rappresentata da periodi di diarrea muco-emorragica, alternati a periodi di remissione. Nell’indagare questa patologia bisogna tenere presente che è una malattia cronica con manifestazioni socialmente imbarazzanti, che quindi possono colpire funzioni psicologiche importanti quali l’autostima e il senso di controllo della propria vita. Questo ha profondi risvolti sugli studi psicosomatici della RCU, poiché la presenza di sintomi di questo tipo modifica la composizione del campione (rischiando di farci scambiare gli effetti con le cause). Sicuramente i fattori psicosociali di stress (legato alle capacità di coping individuali) influiscono sulla sintomatologia (la diarrea vista come funzionale) e sulla capacità di convivere con la malattia: molti pazienti segnalano una recrudescenza della diarrea in occasione di periodi in cui si sentono stressati .Un tipo di personalità predisposto all RCU tuttavia non è stato trovato: le ipotesi sulla personalità psicosomatica sono troppo aspecifiche. Nel 15%-35% dei casi, a trent’anni dalla diagnosi di RCU, si è sviluppato un scancro colon-rettale.

 

IPOTESI E MODELLI PSICODINAMICI SUI DISTURBI GASTROINTESTINALI

La teoria psicoanalitica classica afferma che ogni organo è anche una zona erogena, oltre a svolgere le funzioni fisiologiche ad esso preposte : durante lo sviluppo infantile, possono verificarsi eventi traumatici che comportano la fissazione alle modalità di soddisfacimento legate ad una fase di sviluppo, a cui il paziente può regredire in determinati momenti della vita. I sintomi somatici svolgono una funzione di compromesso tra il desiderio rimosso e la difesa attuata dall’Io (Freud: "L’Io e l’Es"), rappresentando simbolicamente il conflitto inconscio, attraverso il meccanismo della conversione. La scelta del tipo di sintomo e dell’organo è l’espressione del significato erogeno che quella zona ha assunto nel corso dello sviluppo, derivante dalle vicende biografiche, inclusa l’ identificazione con personaggi significativi per l’individuo.

L’uso del concetto di conversione è stato utilizzato per spiegare anche i sintomi gastrointestinali funzionali, e fino a non molti anni fa, anche per l’ulcera e la RCU, interpretati come espressioni simboliche di conflitti legati alle fasi orale ed anale.

Il concetto di conversione sembra ancora essere legato ad una sorta di dualismo: autori come Chiozza hanno tentato di superare l’impasse interpretando fenomeni somatici e psichici come due facce della stessa medaglia, due linguaggi parlati da un ‘unica entità", che non è né fisica, né psichica. Con ciò l’autore argentino ha fornito un’interpretazione simbolica anche di altri fenomeni, di solito ritenuti di pertinenza medica, come le emorroidi.

Altri autori come Sami-Ali, pur concordando con l’interpretazione dei sintomi somatici come "linguaggio d’organo", sottolineano che è il sintomo funzionale ad avere un significato primario, ad essere una metafora simbolica per esprimere qualcos’altro, mentre il sintomo organico ha un senso secondario, letterale e neutro.

Anche Franz Alexander (1950) sosteneva la necessità di valutare l’organismo nel suo insieme, senza separare le funzioni psicologiche da quelle psichiche ma riteneva necessario sviluppare un concetto di disturbo psicosomatico che si differenziasse da quello di conversione o di nevrosi, che tenesse presente il concetto di omeostasi come livello di stimolazione ottimale e la pluricausalità delle eziologie dei disturbi. Creò un modello eziologico comprendente molte malattie, tra cui i disturbi gastrointestinali funzionali e anche l’ulcera peptica e la RCU (allora inserite tra le Holy seven). Attribuì al sistema nervoso parasimpatico (funzioni anaboliche, recessione dell’attività verso uno stato di dipendenza) la gestione delle funzioni vegetative interne e al simpatico (fly and fight, reazioni cataboliche) la relazione con il mondo esterno e l’armonizzazione delle funzioni interne ad esso: i disturbi dell’equilibrio omeostatico tra organismo e ambiente vennero definite "nevrosi vegetative" , divise in due grandi categorie:

Secondo il pensiero di Alexander, il bisogno di dipendenza, nei soggetti con patologie del secondo gruppo, è intimamente connesso al bisogno di essere nutriti: al bisogno di essere amati corrisponde un aumento della secrezione di succhi gastrici, come avviene nel neonato affamato che continua a non ricevere nutrimento: ciò può portare alla dispepsia, diarrea, stipsi. La connessione tra attività secretoria della mucosa gastrica e ricerca di affetto è stata studiata e confermata sperimentalmente da Margolin, alcuni decenni fa. La nevrosi vegetativa che si esprime con i disturbi gastrointestinali pertanto può essere interpretata come la risposta fisiologica al ritorno degli stati emotivi connessi a problematiche legate alla dipendenza. A caratterizzare la patologia non è una specifica struttrra di personalità ma un conflitto specifico, risalente alla relazione con una madre dominante oppure rifiutante, che ha impeedito lo sviluppo del senso di indipendenza. A questo conflitto alcuni soggetti reagiscono negando il loro bisogno di essere amati, sviluppando una pseudo- indipendenza (la frustrrazione del desiderio di dipendenza è interna); altri pazienti dimostrano apertamente i loro bisogni di dipendenza, che vengono però frustrati da circostanze esterne. Ad essere frustrato è sempre il bisogno di dipendenza. Con questo modello venne spiegata l’eziologia dei disturbi gastrointestinali funzionali, dell’ulcera peptica, della RCU.

L’ipotesi della presenza di conflitti specifici in pazienti psicosomatici è stata indagata nel 1993 da Plaatz et al. , con il risultato che il conflitto dipendenza-indipendenza può essere considerato tipico nell’80% dei casi, anche se non specifico, perché poteva ritrovarsi anche in altri sottogruppi. Appare più saggio parlare di "conflitti tipici", più che "specifici", accanto al fattore "vulnerabilità d’organo" già menzionato dallo stesso Alexander. Infatti Mirsky (1958) sostenne che i bambini con elevati livelli costituzionali di pepsina hanno dei bisogni orali più intensi e quindi inevitabilmente più difficili da soddisfare.

Tutte queste teorie sembrano essere legate ad un concetto di conflitto che viene espresso per via somatica e implicano una certa specificità nella relazione simbolica tra sintomo e significato psicologico di esso.

Altre teorie sono più legate al concetto di deficit di elaborazione mentale delle vicende emotive.

Gaddini sottolinea come l’apprendimento delle funzioni fisiologiche preceda quello delle funzioni mentali, come le seconde siano plasmate dalle prime, essendone l’evoluzione simbolica (durante lo sviluppo avviene un processo di desomatizzazione delle funzioni mentali) e come restino dei parallelismi tra i due livelli. I processi dell’incorporazione del cibo, della sua assimilazione, dell’evacuazione, sono le prime forme di relazione e di assimilazione di esperienze relazionali fatte nel corpo e con il corpo (antesignane delle funzioni mentali dell’introiezione e della proiezione, ad esempio): se la relazione con il caregiver è disturbata, il neonato reagirà con il corpo. Perché le reazioni corporee si cronicizzino in una modalità abituale di funzionamento, occorre che la relazione disfunzionale duri nel tempo. Anche le funzioni escretorie anali hanno un significato simbolico, legato all’autonomia e al "fare da sé". Come il bambino si libera di un pasto imposto attraverso il vomito, produce una sproporzionata quantità di succhi gastrici se alla sua richiesta di cibo non è data risposta, come si rifiuta di donare le feci ad una madre che gli impone di defecare in modo coercitivo, così l’adulto può esprimere il suo rifiuto attraverso il vomito, il suo bisogno di dipendenza attraverso l’eccessiva produzione di succhi gastrici (ciò porta ai disturbi funzionali dell’esofago), può esprimere il dissenso o il timore di perdere un oggetto prezioso con la stipsi, oppure liberarsi con violenza di un oggetto cattivo con la diarrea (Sperling interpretava la RCU come una drammatizzazione della melanconia).

Nello sviluppo "sano" alle "fantasie nel corpo" subentrano le immagini, che offrono la possibilità di elaborazione mentale dei conflitti e delle emozioni. Alcune persone, a causa di relazioni primarie disturbate invece, non hanno mai raggiunto un’integrazione delle esperienze corporee frammentarie tale da consentire loro di separarsi dalla madre-ambiente tramite un oggetto transizionale: la fantasia nel corpo rimane non elaborabile, come se fosse una parte di sé scissa, anche se non lo è, perché non si è mai integrata, mentre si sviluppano altre parti della personalità compiacenti (ciò che Winnicott definisce falso Sé). Secondo J. McDougall, in persone con carenze, una risomatizzazione dell’affetto è possibile anche dopo l’integrazione, a seguito di un grave trauma: tramite una difesa primitiva detta forclusione, la parte psichica dell’emozione viene annullata e il corpo ritorna ad esprimersi come nella prima infanzia. I pazienti con queste caratteristiche, assomigliano a quelli descritti da Marty e D’Uzan come "personalità psicosomatiche", caratterizzate dal "pensiero operatorio".

Per Gaddini, nel caso del paziente psicosomatico, la fantasia nel corpo non integrata è una specifica funzione somatica alterata, a cui dovrebbe essere legata una funzione mentale (in questo caso alterata o mancante in quanto non ha mai raggiunto un livello simbolico): quindi esiste una specificità, una simbologia che va dal corpo alla mente, e viceversa. Per la Scuola di Parigi invece, non esiste una specificità: l’incapacità di elaborare le emozioni, derivante da relazioni primarie disturbate, è un fattore di predisposizione generale alla malattia psicosomatica. Questo pensiero è più simile a quello di chi ha adottato il costrutto di alessitimia.

Lo stesso quadro di "personalità psicosomatica" è ancora da indagare, poiché troppo aspecifico e simile a quello di molte altre organizzazioni patologiche di personalità (l’area dei disturbi narcisistici), derivate da varie forme di relazioni primarie disfunzionali, compresa la violenza menzionata sopra.

Molte di queste teorie, che volevano fuggire da un’ipotesi di conversione, sembrano ricadervi: può esserci solo parallelismo tra funzioni mentali e corporee; potremmo aver dato noi a posteriori il significato che attribuiamo alle funzioni somatiche come precorritrici di quelle mentali. Sembra di domandarsi "se sia nato prima l’uovo o la gallina". Le associazioni tra determinati funzionamenti psichici e somatici disfunzionali sono state trovate: bisogna vedere se si tratti di correlazioni (vista la complessità, sicuramente spurie) o addirittura di nessi causali, probabilmente circolari (vista la complessità dei sistemi aperti esarebbe ingenuo ipotizzare nessi causali diretti).

 

CONCLUSIONI

L’origine dei disturbi gastrointestinali è varia. Bisogna tenere presente le possibili cause organiche senza arroccarsi rigidamente su di una posizione biomedica, né possiamo ignorare le nuove scoperte della medicina; d’altro canto non è più possibile ignorare i contributi della psicologia in questo campo. Fattori fisici e psichici, essendo due facce della stessa medaglia, sono complementari, si intersecano e si ampliano a vicenda (in tutti i disturbi di grado grave è stata trovato il grado maggiore di psicopatologie). Basta pensare al determinate caratteristiche fisiche, che probabilmente influiscono sul tipo e la lettura "corporea" delle prime esperienze che possiamo fare; al temperamento, inteso come maggiore o minore eccitabilità, sensibilità che si incontra più o meno favorevolmente con le caratteristiche del caregiver e influiscono sulla sua possibilità di entrare in sintonia con il piccolo; al circuito che si innesca in questa relazione e che plasma la mente; a quanto poi la funzione simbolica della mente possa rileggere gli eventi corporei e dar loro un significato, incidendo sulla capacità soggettiva di tollerare in modo differenziale un eventuale disturbo somatico; a come l’equilibrio mentale sia un fattore positivo nella prognosi di molte patologie. Lo stesso concetto di evento stressante non è sufficiente, se non si tiene conto delle capacità di coping, che dipendono da caratteristiche socioculturali individuali, dalla biografia personale di tutta la vita (non solo dell’infanzia!). Per quanto riguarda le teorie psicodinamiche, esse offrono un’ interessante chiave interpretativa, un livello di lettura: resta il quesito se dal livello mentale (simbolico) sia possibile agire su quello somatico tramite la psicoterapia..Tuttavia, la riduzione della sofferennza psichica pregressa e/o legata alla malattia si è rivelata utile in molti casi .

Potrei concludere invitando a tenere sempre presenti tre concetti quando si studiano sistemi aperti e autopoietici (come siamo noi):

 

BIBLIOGRAFIA

Articoli:

Abstract (reperibili all’indirizzo internet: http://www.psychomedia.it):