Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2000-2001


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Materiali per il corso a cura degli studenti

Medicina psicosomatica

di Jasper Hoffmeyer

a cura di

GIOVANNINA BOERETTO


  Le cellule e i tessuti che compongono il nostro corpo non sono consapevoli della loro esistenza, nemmeno i nostri organi, il cuore o il cervello. La convinzione della nostra esistenza è data dal sistema corpo-mente nel suo complesso. Dal punto di vista biologico questa convinzione dell’esistenza individuale non è così ovvia come si potrebbe pensare.

Il numero di cellule nel corpo umano è elevatissimo (l’ordine di grandezza è 1013, ad es. 10.000 miliardi) e ognuna di queste cellule è un universo a sé, altamente strutturato, che non solo contiene milioni di molecole di proteine ma anche una moltitudine di strutture interne, organelles, che a loro volta probabilmente erano batteri indipendenti, tipo organismi.

La complessità dinamica di una cellula può essere paragonata al traffico di una grande città come Copenhagen (Hoffmeyer 1992)

E non dovremmo dare per scontato che le diverse parti del nostro corpo si amino o che hanno intenzione di mantenerci. Come dimostrato dal biologo americano Leo Buss, noi dovremmo chiederci com’è che le cellule e i tessuti del nostro corpo collaborano per crearci:

“L’evoluzione di forme di vita multicellulari è caratterizzata da una crescente sofisticazione delle cellule, dei tessuti e degli organi fondamentali per l’individuo nel suo insieme, che però limita l’inerente potenziale di proliferazione delle cellule che li compongono. L’interesse per il tutto ha soggiogato la propensione a una continua auto–replica.”

Buss ha introdotto l’espressione “ecologia somatica” per definire quello stato di folle armonia che caratterizza la persone sane. Il sistema immunitario sarebbe la chiave di questa “ecologia somatica”. Francisco Varela scrive: “Si designa come ecologia somatica il meccanismo dinamico necessario per mediare potenziali conflitti tra la cellula e l’individuo. Nella maggior parte dei vertebrati questa “ecologia somatica” è tenuta insieme da una rete di linfociti che costituiscono la parte essenziale del sistema immunitario.”

Nel 1976 l’immunologo danese Niels K. Jerne fece un’osservazione importante che portò un cambiamento fondamentale per quanto riguarda la concezione del sistema immunitario.

Jerne sottolineò che parti delle molecole degli anticorpi sono percepite come “non-esseri” dallo stesso organismo che le ha prodotte. L’organismo produce anticorpi contro i propri anticorpi: gli anticorpi anti-idiotipici che possono creare a loro volta altri anticorpi anti-anti-idiotipici .

La rete immunologica si basa su un processo di comunicazione: sulla superficie di ogni cellula ci sono milioni di ricettori capaci di tradurre messaggi o segni molecolari esterni in modelli specifici di attività biochimiche all’interno della cellula. In ogni istante una data cellula deve dare un’interpretazione ponderata dello stato collettivo dei suoi recettori. Un dato messaggio molecolare non può automaticamente rilasciare un certo responso cellulare, piuttosto il responso cellulare dipenderà dalla storia di quella cellula, (andando indietro nel tempo di molte generazioni cellulari) e anche dal suo contesto “cellulo-sociologico”. Ad es. il suo rapporto con il sistema di cellule che la circondano. (Edelman). Anche se il sistema può essere descritto in termini molecolari, almeno nel suo principio, la sua logica interna dipende dal suo modo comunicativo di funzionare. Funziona come se la cellula individuale avesse l’intenzione di contribuire a mantenere in salute il corpo.

È importante capire che non c’è nessun direttore nascosto dietro il funzionamento di questo fantastico sistema.  Sciami di cellule scrutinano incessantemente ogni angolo del nostro corpo spingendo le cellule e i tessuti a impegnarsi in eventuali attività correttive. E questo brulicante modello semiotico di interazione è un prodotto storico delle esperienze di comunicazione inter e intra cellulari che risale alle primissime forme di vita multicellulare che apparvero sulla terra miliardi di anni fa. È l’aspetto storico del sistema immunitario la chiave della sua apparente intenzionalità. (Hoffmeyer)

Sebepl aggiunge che oltre a questo “io biochimico” definito dal sistema immunitario, c’è negli esseri umani un altro sistema auto-discriminante., un “io semiotico”, legato alle sensazioni di ansia, che protegge l’io in quanto si tratta di un’attività continua, un modo di vivere, in una parola, il comportamento. L’ansia, un'altra sorta di memoria, sostiene non una sostanza biologica  ma il modello di comportamento che produce. (Sebeok). Mentre l’immunità si è creata molto presto nel corso dell’evoluzione, l’ansia – come primo sistema d’allarme – può essere fatta risalire, secondo Heideger, ai mammiferi. Quindi l’io semiotico ha un appiglio biologico :”la capacità di integrare si fa più sofisticata, la rigidità del programma ereditario si attenua, il cervello diventa più complesso, la capacità di apprendere più raffinata”. Quindi Sebeok suggerisce implicitamente che l’io semiotico abbia una storia naturale.

La relazione tra l’io biochimico e l’io semiotico potrebbe forse essere descritta come una relazione di “sopravvenimento”. (Kim). Il sistema immunitario e quello nervoso non possono essere separati facilmente. Non solo le fibre nervose si ramificano negli organi del sistema immunitario, timo, ghiandole linfatiche, midollo osseo e milza. Ma, ancora più importante è la scoperta neuroscientifica che la funzione del cervello è modulata da numerosi prodotti chimici oltre che dai classici neurotrasmettitori.

Molte di queste sostanze informative sono neuropeptidi e, la scoperta che i recettori di superficie dei neuropeptidi,  che prima si credeva esistessero solo nel sistema nervoso, sono diffusi sulle superfici delle cellule mobili del sistema immunitario, mostra il livello di integrazione dei due grandi sistemi.

Candace Pert, biochimica: “ I Neuropeptidi e i loro ricettori si uniscono al cervello, alle ghiandole e al sistema immunitario in una rete di comunicazione tra cervello e corpo, rappresentando probabilmente il substrato biochimico delle emozioni”. 1985

Non solo le cellule nervose e quelle immunitarie comunicano tramite i neuroni ma alcune cellule immunitarie sono persino capaci di penetrare il cervello. Pert suggerisce che tali cellule funzionano come “sinapsi mobili” che portano informazioni da una parte del corpo a un’altra.

Si presenta quindi una nuova immagine del cervello integrato con il corpo. Sciami di cellule immunitarie interagiscono con sciami di cellule nervose mantenendo l’ecologia somatica. Svanisce quindi l’immagine di un’autorità centralizzata nel cervello che controlla il corpo ignorante e viene sostituita da un’organizzazione interattiva che si basa su una distribuita capacità di risolvere i problemi di una miriade di cellule che funzionano in parallelo. Il sistema immunitario diventa quindi l’estensione mobile del cervello nel corpo, sempre impegnato nella stanza degli specchi delle ridefinizioni (Hoffmeyer)

Solo ora comincia a essere riconosciuta la vera entità dell’ “embodiment” della mente. Antonio Damasio, un neurologo americano descrive in un recente libro come egli sia arrivato a un concetto totalmente nuovo di neuropsicologia attraverso lo studio di diversi gruppi di pazienti affetti da danni cerebrali che soffrivano di menomazioni razionali ed emotive. Molti di questi pazienti non erano in grado di prendere delle decisioni razionali proprio perché il danno cerebrale aveva intaccato la reattività emotiva. “la macchina della razionalità, tradizionalmente ritenuta neocorticale non sembra poter funzionare senza la macchina della regolazione biologica, tradizionalmente ritenuta subcorticale. Sembra che la natura abbia costruito la macchina della razionalità non solo sopra la macchina della regolazione biologica ma anche da questa e con questa”. (Damasio).

Le sensazioni sono cognitive proprio quanto qualsiasi immagine percettiva, sostiene Damasco. “Siccome il cervello è lo spettatore prigioniero del corpo, le sensazioni sono le vincitrici tra pari. E, dato che quello che arriva per primo costituisce un riferimento per quello che arriva dopo, le sensazioni influenzano su come operano il cervello e la conoscenza. La loro influenza è enorme.

L’intima relazione tra mente e corpo è valida in entrambi i sensi: “se il primo motivo per il quale si è evoluto il cervello è stato quello di assicurare la sopravvivenza del corpo, allora quando il cervello-intenzionale apparve, iniziò ad occuparsi del corpo. E per assicurare la sopravvivenza del corpo nella migliore maniera possibile credo che la natura abbia trovato una soluzione molto efficace: rappresentare il mondo esterno secondo i cambiamenti causati al corpo propriamente detto e cioè rappresentare l’ambiente modificando le rappresentazioni primordiali del corpo propriamente detto ogniqualvolta si verificasse un’interazione tra l’organismo e l’ambiente” (p.230).

Non è possibile rendere giustizia a questo libro con queste citazioni brevi e generali. La mia unica obiezione alle idee di Damasio è che lui stesso sembra pensare di poter spiegare tutto come se tutto facesse parte della res extensa  di Descartes. (p.123). Ma, ovviamente questo non basta in quanto i corpi non sono solamente res extensa. L’ “aboutness” del mentale è radicato nell’ “aboutness” dei corpi considerati nel loro contesto evolutivo. Si dovrebbero affiancare le teorie di Damasco con un discernimento semiotico della vita. In questo modo la neurobiologia potrebbe finalmente mettere in evidenza le implicazioni della semioticizzazione della natura: che il corpo e la mente non appartengono a mondi separati, l’idea di una pura e semplice res extensa è irreale come quella di una pura e semplice res cogitans. Solo in quanto i tessuti e persino le singole cellule hanno la capacità di lasciare che eventi interni ed esterni producano degli interpretanti (abitudini) è possibile che i processi mentali crescano nel corpo.