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Il numero di cellule nel corpo
umano è elevatissimo (l’ordine di grandezza è 1013, ad es. 10.000 miliardi)
e ognuna di queste cellule è un universo a sé, altamente strutturato, che non
solo contiene milioni di molecole di proteine ma anche una moltitudine di
strutture interne, organelles, che a
loro volta probabilmente erano batteri indipendenti, tipo organismi.
La complessità dinamica di
una cellula può essere paragonata al traffico di una grande città come
Copenhagen (Hoffmeyer 1992)
E non dovremmo dare per
scontato che le diverse parti del nostro corpo si amino o che hanno intenzione
di mantenerci. Come dimostrato dal biologo americano Leo Buss, noi dovremmo
chiederci com’è che le cellule e i tessuti del nostro corpo collaborano per
crearci:
“L’evoluzione di forme di
vita multicellulari è caratterizzata da una crescente sofisticazione delle
cellule, dei tessuti e degli organi fondamentali per l’individuo nel suo
insieme, che però limita l’inerente potenziale di proliferazione delle
cellule che li compongono. L’interesse per il tutto ha soggiogato la
propensione a una continua auto–replica.”
Buss ha introdotto
l’espressione “ecologia somatica” per definire quello stato di folle
armonia che caratterizza la persone sane. Il sistema immunitario sarebbe la
chiave di questa “ecologia somatica”. Francisco Varela scrive: “Si designa
come ecologia somatica il meccanismo dinamico necessario per mediare potenziali
conflitti tra la cellula e l’individuo. Nella maggior parte dei vertebrati
questa “ecologia somatica” è tenuta insieme da una rete di linfociti che
costituiscono la parte essenziale del sistema immunitario.”
Nel 1976 l’immunologo danese
Niels K. Jerne fece un’osservazione importante che portò un cambiamento
fondamentale per quanto riguarda la concezione del sistema immunitario.
Jerne sottolineò che parti
delle molecole degli anticorpi sono percepite come “non-esseri” dallo stesso
organismo che le ha prodotte. L’organismo produce anticorpi contro i propri
anticorpi: gli anticorpi anti-idiotipici che possono creare a loro volta altri
anticorpi anti-anti-idiotipici .
La rete immunologica si basa
su un processo di comunicazione: sulla superficie di ogni cellula ci sono
milioni di ricettori capaci di tradurre messaggi o segni molecolari esterni in
modelli specifici di attività biochimiche all’interno della cellula. In ogni
istante una data cellula deve dare un’interpretazione ponderata dello stato
collettivo dei suoi recettori. Un dato messaggio molecolare non può
automaticamente rilasciare un certo responso cellulare, piuttosto il responso
cellulare dipenderà dalla storia di quella cellula, (andando indietro nel tempo
di molte generazioni cellulari) e anche dal suo contesto “cellulo-sociologico”.
Ad es. il suo rapporto con il sistema di cellule che la circondano. (Edelman).
Anche se il sistema può essere descritto in termini molecolari, almeno nel suo
principio, la sua logica interna dipende dal suo modo comunicativo di
funzionare. Funziona come se la cellula individuale avesse l’intenzione di
contribuire a mantenere in salute il corpo.
È importante capire che non
c’è nessun direttore nascosto dietro il funzionamento di questo fantastico
sistema. Sciami di cellule
scrutinano incessantemente ogni angolo del nostro corpo spingendo le cellule e i
tessuti a impegnarsi in eventuali attività correttive. E questo brulicante
modello semiotico di interazione è un prodotto storico delle esperienze di
comunicazione inter e intra cellulari che risale alle primissime forme di vita
multicellulare che apparvero sulla terra miliardi di anni fa. È l’aspetto
storico del sistema immunitario la chiave della sua apparente intenzionalità. (Hoffmeyer)
Sebepl aggiunge che oltre a
questo “io biochimico” definito dal sistema immunitario, c’è negli esseri
umani un altro sistema auto-discriminante., un “io semiotico”, legato alle
sensazioni di ansia, che protegge l’io in quanto si tratta di un’attività
continua, un modo di vivere, in una parola, il comportamento. L’ansia,
un'altra sorta di memoria, sostiene non una sostanza biologica
ma il modello di comportamento che produce. (Sebeok). Mentre l’immunità
si è creata molto presto nel corso dell’evoluzione, l’ansia – come primo
sistema d’allarme – può essere fatta risalire, secondo Heideger, ai
mammiferi. Quindi l’io semiotico ha un appiglio biologico :”la capacità di
integrare si fa più sofisticata, la rigidità del programma ereditario si
attenua, il cervello diventa più complesso, la capacità di apprendere più
raffinata”. Quindi Sebeok suggerisce implicitamente che l’io semiotico abbia
una storia naturale.
La relazione tra l’io
biochimico e l’io semiotico potrebbe forse essere descritta come una relazione
di “sopravvenimento”. (Kim). Il sistema immunitario e quello nervoso non
possono essere separati facilmente. Non solo le fibre nervose si ramificano
negli organi del sistema immunitario, timo, ghiandole linfatiche, midollo osseo
e milza. Ma, ancora più importante è la scoperta neuroscientifica che la
funzione del cervello è modulata da numerosi prodotti chimici oltre che dai
classici neurotrasmettitori.
Molte di queste sostanze
informative sono neuropeptidi e, la scoperta che i recettori di superficie dei
neuropeptidi, che prima si credeva
esistessero solo nel sistema nervoso, sono diffusi sulle superfici delle cellule
mobili del sistema immunitario, mostra il livello di integrazione dei due grandi
sistemi.
Candace Pert, biochimica: “
I Neuropeptidi e i loro ricettori si uniscono al cervello, alle ghiandole e al
sistema immunitario in una rete di comunicazione tra cervello e corpo,
rappresentando probabilmente il substrato biochimico delle emozioni”. 1985
Non solo le cellule nervose e
quelle immunitarie comunicano tramite i neuroni ma alcune cellule immunitarie
sono persino capaci di penetrare il cervello. Pert suggerisce che tali cellule
funzionano come “sinapsi mobili” che portano informazioni da una parte del
corpo a un’altra.
Si presenta quindi una nuova
immagine del cervello integrato con il corpo. Sciami di cellule immunitarie
interagiscono con sciami di cellule nervose mantenendo l’ecologia somatica.
Svanisce quindi l’immagine di un’autorità centralizzata nel cervello che
controlla il corpo ignorante e viene sostituita da un’organizzazione
interattiva che si basa su una distribuita capacità di risolvere i problemi di
una miriade di cellule che funzionano in parallelo. Il sistema immunitario
diventa quindi l’estensione mobile del cervello nel corpo, sempre impegnato
nella stanza degli specchi delle ridefinizioni (Hoffmeyer)
Solo ora comincia a essere
riconosciuta la vera entità dell’ “embodiment” della mente. Antonio
Damasio, un neurologo americano descrive in un recente libro come egli sia
arrivato a un concetto totalmente nuovo di neuropsicologia attraverso lo studio
di diversi gruppi di pazienti affetti da danni cerebrali che soffrivano di
menomazioni razionali ed emotive. Molti di questi pazienti non erano in grado di
prendere delle decisioni razionali proprio perché il danno cerebrale aveva
intaccato la reattività emotiva. “la macchina della razionalità,
tradizionalmente ritenuta neocorticale non sembra poter funzionare senza la
macchina della regolazione biologica, tradizionalmente ritenuta subcorticale.
Sembra che la natura abbia costruito la macchina della razionalità non solo
sopra la macchina della regolazione biologica ma anche da questa e con
questa”. (Damasio).
Le sensazioni sono cognitive
proprio quanto qualsiasi immagine percettiva, sostiene Damasco. “Siccome il
cervello è lo spettatore prigioniero del corpo, le sensazioni sono le
vincitrici tra pari. E, dato che quello che arriva per primo costituisce un
riferimento per quello che arriva dopo, le sensazioni influenzano su come
operano il cervello e la conoscenza. La loro influenza è enorme.
L’intima relazione tra mente
e corpo è valida in entrambi i sensi: “se il primo motivo per il quale si è
evoluto il cervello è stato quello di assicurare la sopravvivenza del corpo,
allora quando il cervello-intenzionale apparve, iniziò ad occuparsi del corpo.
E per assicurare la sopravvivenza del corpo nella migliore maniera possibile
credo che la natura abbia trovato una soluzione molto efficace: rappresentare il
mondo esterno secondo i cambiamenti causati al corpo propriamente detto e cioè
rappresentare l’ambiente modificando le rappresentazioni primordiali del corpo
propriamente detto ogniqualvolta si verificasse un’interazione tra
l’organismo e l’ambiente” (p.230).
Non è possibile rendere
giustizia a questo libro con queste citazioni brevi e generali. La mia unica
obiezione alle idee di Damasio è che lui stesso sembra pensare di poter
spiegare tutto come se tutto facesse parte della res
extensa di Descartes. (p.123).
Ma, ovviamente questo non basta in quanto i corpi non sono solamente res extensa. L’ “aboutness” del mentale è radicato nell’
“aboutness” dei corpi considerati nel loro contesto evolutivo. Si dovrebbero
affiancare le teorie di Damasco con un discernimento semiotico della vita. In
questo modo la neurobiologia potrebbe finalmente mettere in evidenza le
implicazioni della semioticizzazione della natura: che il corpo e la mente non
appartengono a mondi separati, l’idea di una pura e semplice res
extensa è irreale come quella di una pura e semplice res
cogitans. Solo in quanto i tessuti e persino le singole cellule hanno la
capacità di lasciare che eventi interni ed esterni producano degli
interpretanti (abitudini) è possibile che i processi mentali crescano nel
corpo.