Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2001-2002

Corso di Psicosomatica

Materiali per il corso a cura degli studenti:

Immunopatie ed endocrinopatie

a cura di Rosanna Cuccia


Ultimo aggiornamento: lunedì 13 aprile 2015 17.26

"Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi", Shakespeare, Macbeth, atto IV, scena III.

 

Punti principali della ricerca:

 

Come funziona il sistema immunitario?

Lo scopo principale del S.I. è quello di rispondere agli agenti estranei che entrano nell’organismo, chiamati ANTIGENI. Maggiore è l’estraneità del codice genetico di essi rispetto al nostro organismo, maggiore sarà la risposta attuata dal nostro sistema immunitario.

Ci sono due tipi di capacità immunitaria:

La capacità Reattiva è quella più conosciuta e studiata e agisce in due modi, infatti può essere:

Gli organi connessi al S.I. sono il timo, da cui prendono il nome i linfociti T,il midollo osseo(principale produttore di cellule,anche dei fagociti,cellule NK,ecc.) e gli organi linfoidi(milza,linfonodi,tessuti reticolari).

 

Mancato funzionamento del S.I.

Può avvenire per:

Principali collegamenti tra S.I e S.N.C.

Fino a pochi anni fa si affermava in termini generali che una lesione di una regione ipotalamica o del sistema limbico produceva un deficit della funzione immunitaria,più recentemente si sono visti effetti differenziali dell’ablazione di una delle due neocortecce,arrivando alla conclusione che:

In definitiva si può dire che lesioni di regioni ipotalamiche o l’ablazione della corteccia sinistra determinano una riduzione di risposta e da ciò si possono trarre due conclusioni:

- il collegamento del S.I. con ipotalamo e sistema limbico ci conduce al rapporto tra emozioni e salute

- il S.I. esercita effetti sul S.N.C. in un circuito a feed-back

 

Principali collegamenti tra S.I. e sistema vegetativo

Gli organi linfonodi sono innervati dal sistema nervoso vegetativo, infatti è stato dimostrato che i linfociti T e B posseggono recettori sia α che β-adrenergici (tipi di recettori a cui si legano le catecolamine, cioè adrenalina e noradrenalina, mediatori del versante simpatico del sistema nervoso vegetativo) in particolare:

- la stimolazione dei recettori α-adrenergici potenzia l’attività dei linfociti T

- la stimolazione dei β-adrenergici la inibisce

 

Principali collegamenti tra S.I. e sistema endocrino

Il collegamento più noto è l’asse IPOTALAMO-IPOFISI-SURRENE.

L’ACTH, prodotto dall’ipofisi, inibisce la produzione di anticorpi, dei linfociti T e dei macrofagi.

Il CORTISOLO, prodotto dal surrene:

-riduce la risposta ai mitogeni

-inibisce la funzione dei fagociti

-inibisce la produzione di immunoglobuline

-incrementa la produzione di recettori β-adrenergici

N.B.: in risposta a stimoli stressanti si può avere un incremento di cortisolo fino a tre volte nell’uomo!

Altri ormoni che influenzano il S.I. sono:

- GH, ormone della crescita,induce incremento della risposta immunitaria(vedi studi sulla separazione di scimmie dalla madre).

- PROLATTINA, immunostimolante a dosi medie.

Anche le endorfine,appartenenti ai neuropeptidi, hanno in generale effetti immunosoppressivi sul S.I.(stessi effetti danno gli oppiacei:suscettibilità dei tossicodipendenti alle malattie infettive).

Anche se manca qualche elemento che ci possa chiarire il perché di tutti questi rapporti e delle sostanze implicate, si può predire un’inibizione del S.I. in condizioni di forte stress. Possiamo dunque affermare che c’è qualche effetto dello stato mentale dell’individuo sul S.I.

Sulla base dei collegamenti visti si può inoltre dare un certo valore alla concezione di Taylor secondo cui l’organismo è un sistema cibernetico autoregolantesi composto da diversi sottosistemi interagenti,ragion per cui una perturbazione in un sottosistema comporta una perturbazione in un altro sottosistema,collegato al primo( accenni a teoria dei sistemi secondo von Bertalanffy e alla cibernetica di Wiener).

 

FATTORI SOCIALI CHE INFLUENZANO IL S.I.

Ci accorgiamo spesso che l’esposizione ad un agente infettivo non sempre ci fa ammalare.Alcuni di noi potranno stare a contatto diretto con una persona che ha contratto un influenza,ma non per questo ne saranno affetti.Sembra che la probabilità di ammalarci veramente vada dal 20 al 40 %.Perché??Non si conosce bene il motivo e proprio per questo si è ipotizzato che fattori di tipo psicosociale possano influire sulla resistenza individuale all’agente infettivo.

Le malattie infettive più studiate sono quelle delle vie aeree(raffreddore,influenza,bronchite)e quelle dovute a diversi tipi di virus erpetico.I fattori psicosociali potrebbero agire:

- alterando la suscettibilità biologica dell’individuo

- facilitando la riproduzione di un agente infettivo già presente nell’organismo,ma latente

- contribuendo a mantenere un processo patogeno in corso

Lo stato emotivo potrebbe influire sulla funzionalità del S.I. tramite un collegamento diretto con S.N.C. o S.I.E.(vedi sopra),oppure indirettamente mediante reazioni comportamentali ad una situazione:fumare di più, dormire meno, mangiare male, ecc.Oppure mettendo in atto un coping sociale che,pur consentendo all’individuo un maggior numero di contatti sociali, lo espone ad un rischio maggiore di contrarre agenti infettivi.

Un esempio di malattia che viene spesso associata ad una situazione emotiva disturbante è la TUBERCOLOSI, associata alla presenza nell’organismo del Mycobacterium tubercolosis.

Questa malattia ha diverse fasi che vanno dal primo contatto con il batterio con il polmone, indistinguibile da un’infezione respiratoria, ad una disseminazione nell’organismo in modo silente, fino ad una fase in cui rimane poi silente definitivamente,tranne in alcuni casi in cui si ha una riattivazione del batterio per motivi sconosciuti. E’ proprio in questa riattivazione che si ritiene fondamentale l’importanza della situazione emotiva. Sicuramente c’è una diminuita sorveglianza del S.I. a carico dei linfociti T. E’ chiaro che all’incertezza della patogenesi corrisponde un’imprevedibilità del decorso. Inoltre tutte le caratteristiche delineate (presenza microorganismo silente per anni,riattivazione per cause ignote,decorso incerto) sono le stesse che troviamo anche nell’infezione da HIV e nelle infezioni da virus erpetici.

Già nel 1953 Wittkover diceva:"E’oggi accettato che dall’80 al 90 per cento delle influenze che determinano la prognosi sono di natura psicologica e hanno a che fare con le reazioni emotive".

E’ evidente la modernità del discorso alla luce di quella che poi sarà la psicosomatica.

Del resto ancora prima già Walter B.Cannon (1914;1939) aveva studiato lo stress in una prospettiva fisiologica, introducendo il concetto di reazione di allarme e descrivendone alcuni aspetti ormonali e comportamentali; inoltre coniò il termine di omeostasi per indicare il mantenimento dell’equilibrio nell’ambiente interno dell’organismo e considerò lo stress uno stimolo perturbante l’equilibrio omeostatico. E’ importante ricordare ancora Hans Seyle che sostenne che una serie molto ampia di stressors può indurre in modo aspecifico una reazione difensiva dell’organismo provocando un’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con conseguente aumento degli ormoni coticosurrenali, che hanno una funzione adattiva, ma che una stimolazione eccessiva porta conseguenze gravi per l’organismo. Per ultimo, ma non per questo meno importante, ricorderei Mason che ha ipotizzato che la reazione endocrina sia in realtà mediata da un’attivazione emozionale: stimoli fisici o psicosociali sarebbero in grado di sollecitare le strutture anatomo-fisiologiche responsabili dell’attivazione emozionale(sistema limbico).

 

DEFINIZIONE DI PSICOIMMUNOLOGIA

A questo punto appare chiaro che se la biologia non riesce a spiegare tutto, si può giustificare la nascita di nuove discipline come la psicoimmunologia o la psicooncologia.

Limitandoci a considerare la prima, Biondi(1984) ne dà una definizione chiara:

"è la disciplina che studia in modo sistematico il sistema immunitario quale sistema in grado di reagire e modificare la Sua reattività anche sulla base delle interazioni tra individuo e ambiente mediate dal sistema nervoso relazionale".

I primi studi si concentrarono su situazioni stressanti verificantisi naturalmente,per esempio gli studi sulla deprivazione di sonno, che risultava associata ad una riduzione della reattività ai mitogeni e della capacità fagocitaria dei macrofagi. Ma in questi casi era difficile discriminare gli effetti della situazione emotiva da quelli dello stress fisico. E allora gli studi si concentrarono successivamente su eventi a forte connotazione emotiva, per esempio quelli sulla separazione.

In uno studio su 76 donne,38 coniugate e 38 separate, Kiecolt-Glaser, Fischer e collaboratori riscontrarono che i due gruppi non differivano nei punteggi di depressione ai test psicometrici ,ma le donne separate presentavano più basse concentrazioni di cellule NK,di linfociti T-helper e una minore risposta ai mitogeni. La risposta immunitaria, quindi, riesce a cogliere una sofferenza che non viene evidenziata nei test.

Mi sembra significativo,a questo punto, ricordare uno studio di Lydia Temoshock, esemplificativo della discrepanza tra risposta psicologica e risposta fisiologica allo stress.

Al Centro per il melanoma della San Francisco School of Medicine dell’università della California,era stato osservato da alcuni medici che alcuni pazienti la cui prognosi era stata valutata favorevolmente, erano deceduti; altri la cui prognosi era stata valutata infausta, erano ancora in vita. Venne chiesto alla Temoshok, facente parte del dipartimento di psichiatria, cosa ci potesse essere di particolare in questi decorsi inattesi. Colpita da studi precedenti di Friedman sulla personalità di tipo A e interessata a capire se potesse esserci un altro quadro comportamentale in grado di predire chi avrebbe sviluppato un cancro allora incominciò a osservare il comportamento dei pazienti del centro per il melanoma e riscontrò che essi avevano un comportamento completamente opposto a quello delle personalità di tipo A: invece che assumere comportamenti di impazienza , irritabilità, competizione, tipici atteggiamenti dei soggetti che avevano subito infarto al miocardio, questi pazienti erano piuttosto docili, passivi, sorridenti. Per questo coniò il termine personalità di "tipo C". Trovò inoltre in queste persone una disattenzione per i propri bisogni e sensazioni corporee che le portava a non cercare cure da altri, ma piuttosto a darne: questo fatto era il predittore più efficace dello spessore del tumore. Aspetto per noi interessante fu l’aver colto all’interno del tipo C una tendenza alla rimozione-repressione che venne dimostrato con un metodo che mise in evidenza l’asincronia tra risposta fisiologica ad una situazione stressante(vista di diapositive disturbanti),misurata nella conduttanza cutanea,e risposta psicologica, misurata su scala Lickert, che risultava molto più alta nei soggetti di tipo C.

Inoltre la Temoshok, non soddisfatta di questo metodo perché non dimostrava nulla sull’avanzamento del melanoma, si focalizzò sulla misura immunitaria, in particolare il numero di linfociti alla base del tumore (indice dell’intensità della risposta immunitaria contro il tumore). L’espressività emotiva dei pazienti riguardante il modo come si erano sentiti la prima volta che erano venuti a sapere della possibilità di avere un tumore risultò fortemente correlata con la presenza di un maggior numero di linfociti alla base del tumore. Questo dimostrò come nucleo patogeno del tipo C una smorzata o inesistente espressione dell’emozione. Da questi studi la Temoshok ipotizzò che la soppressione della rabbia o altre emozioni di fronte a situazioni stressanti può contribuire all’avanzamento del melanoma maligno. Le due vie tramite cui si può arrivare a questo contributo sono:

- quella psicosociale, intesa come un comportamento disadattivo che porta il paziente a non ottenere le cure mediche necessarie

- quella psiconeuroimmunologica basata sulla constatazione di una asincronia tra risposta psicologica e risposta fisiologica allo stress:un’esagerata risposta fisiologica allo stress porta ad una riduzione della NKCA,quindi una reazione cronica di questo tipo di fronte a situazioni stressanti come la diagnosi di cancro, porterà ad un aumento delle metastasi. Pertanto si può concludere che l’individuo che usa in modo cronico uno stile di coping di tipo C, avrà una prognosi di cancro peggiore rispetto ad un altro che affronta la situazione con un altro stile di coping.

Negli ultimi anni si è ampliato molto l’interesse per la psicoimmunologia e sono aumentate le ricerche sull’uomo sulle relazioni esistenti tra assetto immunologico e sfera psichica.Dal 1972,anno dei primi studi sugli effetti dello stress sulla funzionalità immunitaria,le ricerche sono aumentate,come dimostra una revisione pubblicata da Biondi e Cancheri che riporta 46 studi condotti nell’uomo dal 1972 al 1992 che sono aumentati ancora negli anni successivi(nel ’98 sono presenti 16 lavori).Un’ulteriore revisione è stata fatta da Massimo Biondi e Valentina Marino che hanno raccolto la maggior parte dei lavori condotti dal ’92 al ’98.Sintetizzando,ci sono studi di tipo longitudinale e studi di tipo trasversale.Il campione di soggetti esaminati negli studi di psicoimmunologia è sempre ridotto,comunque in generale sono stati considerati due gruppi:

- soggetti sani conducenti vita normale; all’interno di questo sono inclusi però anche assistenti di pazienti con Alzheimer, demenza, handicap;

- pazienti con patologie chirurgiche, tumori, patologie psichiatriche, asma, in cui la ricerca condotta vuole evidenziare le modificazioni immunitarie correlate allo stress indotto da uno stato di malattia.

Negli studi sono valutati stimoli stressanti transitori,come esami universitari, terremoti, e stimoli stressanti la cui intensità dello stress è superiore, cioè lo stress è cronico.

Rilevante per noi è la riflessione fatta dagli autori secondo cui ognuno risponde ad un evento stressante in modo diverso e quindi sarebbe opportuno indagare,prima di tutto, l’impatto che lo specifico evento ha sul singolo. In realtà negli studi di psicoimmunologia questo non viene fatto,ma la reazione sia psichica sia immunitaria studiata è una reazione media,cioè vista nell’intero campione. Sappiamo invece che le capacità di risposta allo stress non sono uguali per tutti ma dipendono da molti fattori che possono variare anche a seconda del momento in cui la risposta viene attuata e soprattutto a seconda del significato attribuito dall’individuo alla situazione.

I parametri immunitari considerati sono le cellule NK: l’attività citotossica di queste aumenta in soggetti sottoposti ad un breve periodo di stress per tornare alla normalità col passare del tempo,come se la stimolazione fosse funzionale in condizione di stress acuto;diminuisce in soggetti in cui è presente stress cronico.

La valutazione psicometria ha messo in risalto che ansia e depressione possono influire sul S.I.

 

NUOVI ORIENTAMENTI IN PSICOANALISI

Fu dimostrato che attori a cui venne chiesto di immedesimarsi in una scena a forti connotazioni emotive, ebbero un aumento di risposta a mitogeni a seguito di scene connotate da emozioni positive,all’inverso, una diminuzione dopo le scene ad emozioni negative. Diversamente avvenne a persone normali che dovevano rievocare e rivivere proprie esperienze emotive positive e negative la risposta immunitaria delle quali diminuì in tutti e due i casi.

La differenza è significativa del fatto che mentre i primi avevano un grado di padronanza della situazione,i secondi erano invece coinvolti perché le scene riguardavano la loro vita. A questo punto è evidente che il semplice concentrarsi sulle emozioni non porta alcun vantaggio sulla salute. Al contrario possiamo trovare effetti positivi sul S.I. in attività di self-disclosure, cioè riflessione sulle proprie esperienze, ideate da due pionieri della psicoimmunologia, Kiecolt e Glaser. Essi chiesero a 25 studenti di scrivere per 4 giorni, per 20 minuti al giorno, esperienze traumatiche che avevano vissuto: i soggetti mostrarono un miglioramento della risposta ai mitogeni, che non si verificò in soggetti di controllo che avevano scritto di cose superficiali. Era come se un’effettiva possibilità di elaborazione avesse "alleggerito"i sintomi somatici.

In definitiva possiamo dire che i maggiori miglioramenti sono legati non ad una "scarica" emozionale, ma a cambiamenti sul piano dell’elaborazione dell’evento e delle emozioni connesse.

A questo punto possiamo rispondere alla domanda: più emozione si esprime meglio è?

Evidentemente no, poiché sappiamo che solo un’espressione emotiva ridotta è correlata con un peggiore stato di salute.Più che parlare di "repressione delle emozioni" ci conviene parlare, allora, di "espressione inadeguata" o di difetto di regolazione emotiva. Salomon e collaboratori riscontrarono che la situazione immunitaria dopo un terremoto era connessa all’adeguatezza della reazione emotiva: i soggetti che mostravano un numero inferiore di linfociti erano quelli che esprimevano un forte disagio a fronte di danni lievi o uno scarso disagio a fronte di danni elevati. Coloro che avevano punteggi di affettività intermedi, avevano una situazione immunitaria migliore.

Bion ci ha dato una spiegazione illuminante su ciò: la costruzione dell’emozione è vista come trasformazione, attuata dalla funzione alfa della madre, di elementi grezzi , chiamati beta, in elementi alfa,i quali potranno costruire un’emozione cosciente e comunicabile.

Lo stesso costrutto dell’alessitimia (parola greca da alfa privativa, lexis,parola e thymos,emozione: mancanza di parole per le emozioni), basato sul rapporto tra capacità di contatto con le proprie emozioni e patologie somatiche, è testimoniato da centinaia di ricerche in tutto il mondo.Inoltre ne abbiamo una dimostrazione anche a livello di S.I., in quanto in soggetti altamente alessitimici sono state riscontrati livelli inferiori di cellule NK.

Alla luce di questi risultati si può capire come in realtà il rapporto tra emozioni e salute non possa più essere spiegato secondo il modello freudiano della scarica pulsionale, quanto piuttosto secondo un modello di mantenimento dell’omeostasi.

I nuovi orientamenti relazionali mettono in evidenza due elementi fondamentali:

- la struttura mentale dell’individuo si organizza come esito della relazione con le figure di attaccamento;

- il bambino è attivo nella relazione.

A questo punto ciò che ci interessa è che sia il comportamento sia la fisiologia del bambino sono regolati dalla relazione della madre fin dalla nascita, quindi nulla ha un'origine solo genetica, anzi ogni contenuto di origine biologica si esprime nella relazione.

Lo stesso Weiner, direttore della rivista Psychosomatic Medicine, già nel 1975, si chiedeva se alcuni disturbi psicosomatici non potessero essere definiti come disturbi della regolazione,intendendo con questo termine "la tendenza di un organismo a compensare un’insufficienza o anomalia di sviluppo ristabilendo un rapporto fra le diverse parti quando sia venuto meno l’equilibrio,in seguito ad un evento traumatico". Infatti Weiner aveva notato nella maggioranza dei disturbi psicosomatici un’impasse nei meccanismi regolatori dei sistemi fisiologici colpiti dalla malattia. Lo sviluppo presuppone che questi funzionino automaticamente per permettere all’organismo di autoregolarsi. Dove questa mancanza di autoregolazione produce dipendenza da eventi esterni allora la salute è a rischio.

Sappiamo che lo strutturarsi della regolazione avviene tramite la relazione tra accudente e neonato. Nelle fasi più precoci i livelli biologico e psicologico non sono ancora distinti,quindi l’attaccamento diventa "il modo in cui i membri della diade si influenzano l’un l’altro biologicamente". A questo proposito Hofer e collaboratori hanno evidenziato gli effetti dovuti alla separazione di un cucciolo di animale dalla madre, come diminuzione della frequenza cardiaca,alterazioni ritmo sonno-veglia, diminuzione ormone della crescita. Alla luce di questi dati Hofer concluse che le alterazioni fisiologiche conseguenti alla separazione precoce non fossero dovute a perdita di contatto, ma alla perdita di regolazione di funzioni fisiologiche, che a lungo andare possono avere effetti sulla suscettibilità a malattie psicosomatiche.

 

CONCLUSIONE

Riassumendo:

- siamo partiti da elementi descrittivi,come il funzionamento del S.I., per capirne a grandi linee la natura e per dare un senso ai risultati delle ricerche

- abbiamo rilevato come questi elementi facenti parte del sistema fisiologico sono connessi strettamente al S.N.C.

- abbiamo considerato come le emozioni,correlate a regioni del sistema limbico (S.N.C.) siano state oggetto della maggior parte delle ricerche volte a trovare una relazione tra fattori psico-sociali e S.I.

- le ipotesi principali venute alla luce da queste ricerche sono quelle che si riferiscono alla relazione primaria tra accudente e neonato

A questo punto si può concludere dicendo che nonostante la ingente mole di ricerche fatte, non siamo ancora arrivati a capire veramente cosa lega tutti questi elementi tra di loro.

Sappiamo che in condizioni di stress (localizzato a livello del S.N.C.) il nostro sistema endocrino secerne delle sostanze come il cortisolo dal surrene e che questo può provocare, in grandi quantità, una soppressione dell’attività del S.I.; a sua volta questa predisporrà l’individuo a contrarre più facilmente dei virus oppure a contribuire riattivare un meccanismo patogeno latente o addirittura, nei casi più gravi, a moltiplicare cellule tumorali. Ma perché questo non succede a tutti? Possiamo provare ad ipotizzare che una mancata regolazione nelle prime fasi della relazione con la madre possa predisporre l’individuo a reagire a situazioni stressanti in modo diverso rispetto ad un altro individuo che sarà quindi favorito rispetto all’altro. Ma allora viene da chiedermi: in che senso favorito? La risposta più ovvia è in tutti i sensi, in quanto se ha stabilito fin dalla nascita una buona relazione con la madre e quindi ha interiorizzato buoni schemi di autoregolazione, allora saprà reagire in maniera adeguata a situazioni emotive particolarmente stressanti ,ci sarà una minore produzione di cortisolo e quindi un S.I. intatto. Forse teoricamente il discorso può essere coerente, ma purtroppo, in quanto psicologi, è nostro dovere tenere conto della grande variabilità che contraddistingue l’uomo e del suo essere non in quanto mente e/o corpo, ma piuttosto come unione inscindibile di entrambi talmente complessa da non poter essere forse definita o almeno da non poter essere fatta rientrare nella dicotomia mente-corpo su cui finora si è basata la psicosomatica, ma che forse ora va riveduta. A tale proposito sono completamente d’accordo con Trombini e Baldoni quando dicono che "la vera salute nasce dall’equilibrio tra la rappresentazione che abbiamo di noi come corpo e quella di noi come mente" e che "tutte le malattie sono psicosomatiche, in quanto sono sia psichiche che somatiche", infatti "è il punto di vista che assumiamo a privilegiare di volta in volta alcuni aspetti della conoscenza piuttosto che altri".

 

BIBLIOGRAFIA

-Solano L., Tra corpo e mente, Milano, Raffaello Cortina Editore,2001

-Trombini G.- Baldoni F., Psicosomatica, Bologna, Il Mulino,1999

-Biondi M.- Marino V., Stress e sistema immunitario: una rassegna di 43 studi sperimentali di psicoimmunologia condotti nell’uomo tra il 1992 e il 1998, rivista di Medicina Psicosomatica, Vol.44,n.1,1999. Disponibile su internet all’indirizzo http://www.psychomedia.it/simp/medpsic/articoli/biondi.htm.

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© 2001 Silvio A. Merciai