Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2003-2004


Novità e aggiornamenti del sito ...


Materiali per il corso a cura degli studenti

L’ ipertensione arteriosa

a cura di

Laura Zampirolo


L'ipertensione arteriosa è una condizione morbosa caratterizzata da un aumento dei valori della pressione arteriosa sistolica o massima (rilevabile durante la sistole che è la fase di contrazione del cuore) e della pressione diastolica o minima (determinata dalla fase di riposo o rilasciamento del muscolo cardiaco). L'ipertensione è pericolosa, perché il cuore deve sostenere uno sforzo superiore alla normalità e, se è prolungato, può portare ad un ingrossamento del cuore stesso; inoltre il sangue che scorre nei vasi con una pressione elevata li sottopone ad una eccessiva usura e può danneggiarli gravemente, coinvolgendo in questa situazione anche tessuti e organi irrorati dai vasi colpiti, in particolare cuore, cervello, reni e occhi.

La pressione del sangue

Si chiama pressione del sangue la forza con cui il sangue viene spinto attraverso i vasi. Il cuore svolge un’ azione di pompa che spinge il sangue nei vasi sanguigni. Questi sono dotati di pareti elastiche che raggiungono ogni distretto dell’organismo.

La pressione del sangue dipende dalla quantità di sangue che il cuore spinge quando pompa e dalle resistenze che possono esserci al suo scorrere. Alla fase di contrazione della pompa-cuore corrisponde la fase sistolica mentre a quella della dilatazione cardiaca corrisponde la diastole; se poi misuriamo alla periferia la forza massima con cui il liquido arriva e quella minima quando rallenta avremo appunto i valori di pressione massima e minima (sistolica - diastolica) del sistema.

Che cos’è l’ipertensione

Si definisce ipertensione arteriosa uno stato costante e non occasionale in cui la pressione arteriosa è elevata rispetto a standard fisiologici considerati normali. Se noi prendiamo in considerazione un elevato campione casuale di soggetti, possiamo notare come la distribuzione dei valori pressori sia estremamente ampia e, anche da un punto di vista del rischio cardiovascolare, non esista la possibilità di separare nettamente i cosiddetti normotesi dai cosiddetti ipertesi. Nonostante ciò è giusto definire dei limiti di normalità, attualmente più articolati di un tempo proprio per tener conto della concetto "Più è alta la pressione, costantemente, più alto è il rischio cardiovascolare". Il comitato americano per la prevenzione, il rilevamento, la valutazione ed il trattamento dell’ipertensione arteriosa (in sigla JNC VI) parla di pressione arteriosa ottimale (< 120/< 80), normale (< 130/< 85), normale-alta (130-139/85-89) e di ipertensione (140/90); se i valori di pressione sistolica e diastolica di un individuo cadono in 2 differenti categorie, si deve classificare il paziente nella categoria più alta. Generalmente si dice che una persona è ipertesa, o ha la pressione alta, quando la pressione arteriosa minima supera "costantemente" il valore di 90 millimetri di mercurio e la pressione massima supera il valore di 140 millimetri di mercurio (dopo i 60 anni di età si accettano valori leggermente più alti). Il fatto che sia costante è fondamentale perché sono molte le variazioni che può subire la pressione arteriosa sia verso l’alto sia verso il basso. Infatti la pressione sia massima che minima sono più alte al mattino appena svegli (come se il corpo richiedesse più forza del sangue per riprendere meglio l’attività quotidiana), si riducono durante la giornata per aumentare un poco verso la sera fino a nuovamente ridursi di molto mentre si dorme; i valori infine si alzano in occasione di intensi sforzi fisici ed intensi fattori emotivi. Inoltre la pressione (prevalentemente la massima - sistolica) aumenta con l’età probabilmente per l‘inevitabile maggiore rigidità dei vasi arteriosi durante il fisiologico processo di invecchiamento.

Tipi di ipertensione

I medici distinguono due tipi di ipertensione arteriosa: una detta "essenziale" e l’altra denominata "secondaria". Si parla di ipertensione secondaria quando la causa della condizione è nota e questo si verifica nel 5-10% dei casi. L'ipertensione può essere una conseguenza di patologie endocrine, di difetti enzimatici surrenali, di problemi vascolari, come una stenosi, cioè un restringimento dell'aorta, e di patologie renali. La terapia per questo tipo di ipertensione si basa sulla valutazione e sulla risoluzione della causa, che talvolta può essere anche chirurgica. Nella maggior parte dei casi l'ipertensione secondaria viene guarita dopo che la causa è stata scoperta e risolta.

L'ipertensione detta essenziale ha un'origine sconosciuta ed è molto frequente: più del 90% degli ipertesi soffre di questo tipo di malattia. Numerosi fattori sono certamente importanti nella manifestazione dell'ipertensione essenziale, per esempio l'ereditarietà, la razza, la dieta, lo stile di vita, l'età. Spesso l'invecchiamento è accompagnato da ipertensione anche nei soggetti che non hanno mai presentato precedentemente il problema o che addirittura in gioventù avevano il problema opposto.

Ad ogni modo non se ne conoscono ancora a fondo le cause, pertanto per quest’ultimo tipo di ipertensione arteriosa sono due le ipotesi causali che godono di maggior attenzione: l’alimentazione scorretta e lo stress psico-emotivo.

L'ipertensione essenziale può manifestarsi con un aumento più o meno spiccato della pressione arteriosa non accompagnato da sintomi, tanto che il paziente può non accusare nessun disturbo e non accorgersene. Importante, quindi, è la misurazione della pressione periodicamente, specialmente ad una certa età oppure quando si manifestano i primi leggeri sintomi di cefalea, astenia, cioè stanchezza fisica e intellettuale, nervosismo, insonnia, vertigini, ronzii. Con il tempo e quando non è curata, l'ipertensione può causare problemi al cuore (angina, infarto, scompenso cardiaco), insufficienza vascolare cerebrale o renale con anomalie ematiche rilevabili in laboratorio, offuscamento della vista (da retinopatia), aneurisma dell'aorta.

L'ipertensione essenziale può essere curata, ma non guarita. La terapia medica è molto efficace, se seguita con attenzione e costanza, e riduce significativamente il problema ed eventuali complicazioni mantenendo la pressione a livelli accettabili, ma se si sospendono i medicinali l'ipertensione tende inevitabilmente a ripresentarsi. La decisione di trattare i pazienti con ipertensione non dovrebbe basarsi soltanto sul livello della pressione arteriosa, ma anche sulla presenza di altri fattori di rischio, di malattie concomitanti, di danno d'organo, di malattie cardiovascolari o renali, nonché di caratteristiche o elementi personali, medici e sociali inerenti il paziente.

Si deve prendere in considerazione l'età, il sesso, il fumo, il diabete, il colesterolo, la storia familiare, pregresse malattie cardiovascolari o renali in età precoce, il danno d'organo.

Si somministrano uno o più farmaci ad azione antipertensiva, come i diuretici, i vasodilatatori, i calcioantagonisti, i betabloccanti e altri simili, quindi il controllo medico è essenziale per definire la cura più adeguata e l'associazione farmacologica migliore per risolvere il problema specifico e per tenere sempre sotto controllo l'ipertensione ed eventuali alterazioni ad altri distretti.


Dimensioni del problema

L’ipertensione rappresenta una delle patologie più diffuse del nostro secolo, basti pensare che negli Usa la terapia per questa malattia è la seconda causa di richiesta di assistenza medica, dopo le affezioni delle vie respiratorie. Nonostante ciò, solo la metà delle persone affette da ipertensione sa di esserlo, solo la metà di quest’ultimi fa ricorso a una terapia farmacologia adeguata e solo una metà di questi ha un buon controllo pressorio. Inoltre, spesso dopo la diagnosi, le domande di delucidazioni del paziente riguardo le cause del problema vengono disattese contribuendo a creare un alone di mistero intorno alla malattia. L’ipertensione arteriosa è una problematica sanitaria quantitativamente importante: si calcola che nel mondo occidentale ne sia interessato il 15-30% della popolazione adulta. Molte volte però chi è iperteso lo scopre occasionalmente in una visita medica senza sapere magari di esserlo da tempo. Inoltre non sempre è facile per il medico decidere quando occorre intervenire farmacologicamente e quali medicine somministrare. Infatti sono molti i farmaci anti-ipertensivi, numerose le possibili associazioni fra loro e, di grande importanza per l’adesione o meno del malato alla terapia, frequenti gli effetti collaterali negativi che questi possono dare.

Nonostante l’intensa campagna di informazione, la percezione del problema "ipertensione" non è però ancora ottimale: mentre la consapevolezza di cosa vuol dire avere la pressione alta ha raggiunto infatti percentuali soddisfacenti, l’adeguatezza del controllo pressorio non è ancora soddisfacente (anche se possiamo dire che la situazione italiana è tra le migliori al mondo).

Medicina tradizionale

La medicina tradizionale offre una serie di validi strumenti e di esami di laboratorio che permettono una diagnosi precisa dell’ipertensione. Attraverso questi esami è possibile individuare la terapia più efficace per ciascun paziente. Infatti, non tutti gli ipertesi hanno bisogno di cure farmacologiche e gli stessi farmaci antiipertensivi sono da personalizzare. Ogni valutazione sull’opportunità o meno di eventuali terapie farmacologiche va lasciata ad un medico qualificato, il quale sarà anche in grado di personalizzare la cura migliore, iniziando da un solo farmaco ed eventualmente associandolo ad altri.

Medicine alternative

Omeopatia

L’omeopata in caso di ipertensione arteriosa in genere opera in due modi: nel primo cerca di individuare la "costituzione" o caratterizzazione fisico - psichica della persona per armonizzarla con rimedi specifici (questo è sempre il primo approccio omeopatico qualunque sia la malattia); nel secondo modo fornisce al paziente le indicazioni di utilizzo di cosiddetti rimedi di intervento rapido secondo i sintomi che accompagnano un rialzamento improvviso della pressione arteriosa. Alcuni rimedi proposti da quest’ultima terapia sono:

· Ipertensione con mal di testa e vertigini. I sintomi compaiono all’improvviso ed il mal di testa è descritto con un senso di pressione interna, le vertigini si presentano muovendo il capo e spesso ci sono palpitazioni con ansia descritta come "paura di morire". Il rimedio omeopatico adatto è aconitum. 

· Ipertensione con vampate di calore. "Glonoinum" è il rimedio per le crisi di pressione alta caratterizzata da senso di calore al capo con mal di testa pulsante. La pulsazione talvolta è come avvertita in tutto il corpo ed è esacerbata dal calore e dallo stare sdraiati. 
· Ipertensione con ansia. Caratteristica di questa crisi ipertensiva è quella di insorgere in momenti di ansia o stress ed i sintomi, oltre all’ansia che aumenta talvolta inspiegabilmente, sono: palpitazioni, senso di testa pesante (come "troppo piena"), desiderio impellente di aria fresca, voglia di cibi dolci e zucchero nonostante questi provochino, una volta assunti, acidità di stomaco. Gli omeopati in questa situazione consigliano argentum nitricum. 

Medicina cinese

Vediamo ora brevemente le cause ed i sintomi di due tipi di pressione alta curati poi in genere con agopuntura e farmaci erboristici.

· Ipertensione da eccesso di fegato. La collera è la causa principale di questo tipo di pressione alta ed i sintomi sono: vertigini, "senso di sbandamento", mal di testa con tensione alla parte alta della nuca, irritabilità, bocca amara, insonnia, occhi spesso arrossati. Il medico agopuntore in questo caso cerca di mitigare l’energia in eccesso del fegato e di abbassare direttamente la pressione. 

· Ipertensione da deficit renale. La paura, l’ansia, lo stress sono le basi energetiche negative di questo tipo di ipertensione connotata da mal di testa con senso di "vuoto", ronzii auricolari, vista offuscata, capogiri, insonnia, diminuzione della memoria, debolezza della colonna vertebrale soprattutto lombare. Il medico esperto in agopuntura in questo caso opera cercando di aumentare l’energia renale e di mitigare direttamente la pressione alta.

Medicina psicosomatica

Le più importanti correnti di studio psicosomatico dell’ipertensione arteriosa sono quella di psicologia comportamentale e quella su base psicoanalitico - simbolica.

Psicologia comportamentale ed ipertensione

Secondo questa scuola agli stress ambientali ed emotivi intensi e ripetitivi alcune persone risponderebbero più che con normali reazioni comportamentali (come il pianto e l’aggressività) con un’attivazione del sistema nervoso che non è controllabile dalla volontà cui consegue una costrizione dei vasi arteriosi. Si creerebbero così maggiori resistenza
all’affluire del sangue e dunque ipertensione arteriosa.

Psicosomatica simbolica ed ipertensione

Per questa scuola invece (Riza) l’ipertensione sarebbe la rappresentazione a livello corporeo di un conflitto inconscio tra "pensiero" e "sentimento", tra passione e ragione, tra emotività e controllo, dove un sangue investito simbolicamente di valenze emotive non può circolare liberamente. L’iperteso dunque tenderebbe a vivere conflittualmente il rapporto con il mondo degli affetti e ne eserciterebbe un esasperato controllo frenando di continuo la passionalità e privilegiando la "fredda" e più sicura ragione.

Alcune teorie sull’ipertensione

Tra le teorie che sono state proposte per spiegare l’ipertensione alcune sono state proposte da autori molto significativi per la psicosomatica. Uno di questi è sicuramente Alexander. La sua visione fu di tipo multidisciplinare, in quanto gli apporti provenienti dalle diverse discipline vennero integrati in un unico modello. Alexander fu il primo a sviluppare un concetto di disturbo psicosomatico che si differenziasse da quello di conversione o di nevrosi, sostenendo la necessità di valutare l’organismo nel suo insieme senza separare le funzioni psicologiche da quelle somatiche. Ogni processo somatico è sotto l’influenza diretta ed indiretta di stimoli psicologici, perché l’organismo costituisce una vera unità, ogni parte della quale è intimamente connessa con le altre. Secondo questo concetto è quindi legittimo applicare l’indagine psicosomatica a tutti i fenomeni che si attuano in un corpo vivente.

I disturbi dell’equilibrio omeostatico tra ambiente esterno e processi interni, che Alexander

chiama nevrosi vegetative possono essere considerati corrispondenti ad alterazioni di 2 condizioni psicofisiologiche fondamentali per l’essere umano:

1. la preparazione alla lotta o alla fuga in situazioni di emergenza (basata su

un’attivazione del sistema nervoso simpatico),

2. la recessione dell’attività verso uno stato di dipendenza (dove la risposta corporea è

mediata dal sistema nervoso parasimpatico).

I disturbi che rientrano nella categoria "lotta o fuga" sono la conseguenza dell’inibizione degli impulsi ostili e di autoaffermazione. L’organismo permane in uno stato di preparazione alla lotta e alla fuga dove la costante attivazione del sistema simpatico sollecita quelle reazioni fisiologiche che sono utili negli stati di emergenza: aumento della pressione ematica, della frequenza cardiaca e respiratoria e della temperatura; modificazione dell’irrorazione sanguigna che viene favorita in muscoli, polmoni e cervello; diminuzione dell’irrorazione sanguigna nell’apparato intestinale e nel rene; mobilitazione delle riserve energetiche. Sul piano soggettivo, l’individuo avverte un senso di tensione ed affanno, con aumento del battito cardiaco e della sudorazione.

Nell’individuo che reprime l’espressione della propria aggressività l’organismo rimane costantemente predisposto ad affrontare un pericolo, per cui le risposte fisiologiche si cronicizzato. Alexander ipotizzò che l’ipertensione essenziale, insieme a varie sindromi cardiache, potesse trovare spiegazione in questo meccanismo dove la preparazione neurovegetativa all’azione viene mantenuta perché le emozioni profonde sono inibite e non si esauriscono in un’azione adeguata.

Un'altra teoria molto significativa è stata proposta dalla Dunbar. Ella sostenne che la struttura della personalità individuale, sviluppatasi durante l’infanzia, oltre ad influenzare le reazioni emotive ed i comportamenti espressi nei confronti dell’ambiente esterno, può condizionare anche le difese corporee, predisponendo allo sviluppo di determinate malattie. Un profilo da lei proposto è quello di PERSONALITÀ CORONAROPATICA caratterizzato da un soggetto ambizioso, determinato, autodisciplinato, propenso ad assumersi responsabilità, dedito al lavoro, consapevole dei propri obiettivi e disposto a grandi rinunce pur di raggiungerli, rivolto al futuro ed al successo, ha un’immagine elevata di sé e sopprime emozioni e fantasie utilizzando la propria aggressività per raggiungere posizioni rilevanti.

Il valore delle osservazioni della Dunbar può avere un certo significato dal punto di vista statistico, ma le descrizioni sono troppo generiche e le eccezioni talmente frequenti da impedire di individuare un rapporto causale preciso tra personalità e malattia.

I dati raccolti dalla Dunbar potrebbero essere spiegati come pseudocorrelazioni legate all’influenza di altri fattori: ad esempio, l’elevata frequenza di malattie coronariche in persone che svolgono attività di grande responsabilità potrebbe essere spiegata non sulla base della personalità individuale, ma considerando il tipo di vita adottato da questi soggetti.

Le osservazioni della Dunbar potrebbero indicare che certi individui tendono più di altri ad

assumere compiti di responsabilità e ad adottare stili di vita, che a loro volta possono comportare risposte corporee predisponenti ad un danno progressivo del sistema vascolare. Si tratterebbe quindi di una correlazione secondaria, e non direttamente causale.

Nonostante queste obiezioni, gli studi della Dunbar sollevarono un interesse nella comunità scientifica e favorirono altre ricerche, tra le quali hanno particolare importanza quelli di Friedman e Rosenman, che hanno portato all’identificazione di un pattern di Comportamento di tipo A (simile al profilo di personalità coronaropatica della Dunbar), oggi considerato ufficialmente un fattore di rischio verso le malattie cardiovascolari.

L’individuo di tipo A presenta queste caratteristiche: ha sempre fretta, è schiacciato dal tempo e dalle scadenze, è eccessivamente coinvolto nel lavoro, è ambizioso e competitivo, è impaziente, si annoia facilmente,è ostile, cinico ed irritabile,è ansioso ed impulsivo,ha uno stile di espressione enfatico, gesticolante, a volte arrogante, con un tono di voce elevato e vigoroso ed un linguaggio rapido e incalzante, ricerca il successo e la valorizzazione sociale, è sempre teso, impegnato senza tregua verso obiettivi.

Secondo Friedman e Rosenman il Tipo A non è legato a specifici conflitti inconsci – in senso psicoanalitico – e non corrisponde ad una particolare struttura di personalità; va invece inteso come un comportamento tipico espresso quando la persona è esposta a particolari situazioni stressanti.

Nel 1981 il Comportamento di Tipo A è stato riconosciuto ufficialmente come fattore di rischio indipendente nei confronti delle malattie coronariche, riconoscimento di portata storica per la psicosomatica, che venne condiviso anche dalla Organizzazione Mondale della Sanità.

RICHERCHE SVOLTE SULL’IPERTENSIONE

Nell’ambito della psicosomatica sono stati svolti numerosi studi sul tema dell’ipertensione. Nel 1998 Bernard Engel ha pubblicato un articolo ( sulla rivista Psychosomatic Medicine) in cui riesamina tutta la letteratura comparsa su questa rivista dal 1939 al 1997, trovando circa 200 articoli che trattano come argomento la pressione arteriosa e di questi il 90% parla in particolare dell’ipertensione. E' interessante prendere in considerazione l'analisi effettuata da Engel. Nei primi trenta anni in esame il ritmo di pubblicazione di articoli sull'argomento era di 1,5 per anno; nei dieci anni successivi è stato esattamente il doppio, per raddoppiare nuovamente negli ulteriori dieci anni seguenti; in tempi più recenti il ritmo si è ulteriormente incrementato. A questo crescente interesse sull'argomento si è anche tentato di trovare alcune spiegazioni: innanzi tutto nel periodo dopo la II guerra mondiale vi è stato un comprensibile aumento dell'attività scientifica in ogni campo della medicina, che è cominciato negli anni '50 e che è poi continuato per tutti gli anni '70; in secondo luogo si è tenuta proprio in quel periodo la "Timberline Conference" sugli aspetti psicofisiologici delle malattie cardiovascolari, i cui atti sono stati pubblicati proprio su Psycosomatic Medicine nel 1964, e da quella conferenza sono emerse molte affermazioni sul ruolo che i fattori psicologici possono giocare nella storia naturale dell'ipertensione e delle malattie cardiache, cosicché l'interesse di molti studiosi è stato ulteriormente stimolato; in ultimo, alcuni nuovi approcci terapeutici quali le tecniche di rilassamento e di biofeedback venivano sviluppandosi verso la fine degli anni '60, gettando le basi della medicina comportamentale che emergerà successivamente negli ultimi anni '70.

Dall'analisi della letteratura effettuata da Engel, emerge che vi sono correnti di pensiero a favore del ruolo che stimoli affettivi ed emozionali possono avere nella storia naturale dell'ipertensione arteriosa e correnti di pensiero contrarie. Ovviamente i primi sostengono che qualunque sentimento o sensazione può essere dannoso, e i lavori sperimentali intrapresi con questa ottica hanno invariabilmente considerato questi stimoli emozionali come "eventi stressanti", apparentemente allo scopo di dimostrare il loro punto di vista. I secondi, anche se altamente critici sul ruolo che le emozioni e gli affetti possano avere nell'eziologia dell'ipertensione arteriosa, sembrano anch'essi comunque accettare il concetto di "evento stressante", soprattutto nel contesto del rapporto medico/paziente. Le conclusioni di tutti questi studi vanno comunque, sempre secondo Engel, considerate con cautela perché a volte carenti in quanto a rigore scientifico e metodologico.

Alcuni studi sperimentali sull’ipertensione

Comunque, oltre alla meritevole opera di esame analitico della letteratura effettuata da Engel, molti altri autori hanno cercato di affrontare il rapporto tra ipertensione arteriosa e psiche, ed è difficilissimo trovare conclusioni concordanti. In particolare Markowitz ha effettuato uno studio in cui prendeva in esame i fattori psicologici predittivi dell'insorgenza di ipertensione arteriosa, seguendo per 18-20 anni 1123 adulti di età superiore a 45 anni inizialmente normotesi, definendo l'ipertensione sia la condizione già accertata della malattia e trattata con idonea terapia ipotensiva sia il riscontro di valori di pressione arteriosa superiori a 160/95. Lo studio conclude che solo i soggetti di sesso maschile che nel corso dell'osservazione presentavano livelli basali di ansia superiori ai soggetti che rimanevano normotesi, manifestavano poi l'ipertensione. L'ansia rimaneva un fattore predittivo di ipertensione solo negli uomini di media età, mentre nei più anziani l'espressione dei sintomi d'ira o la mancata espressione non costituivano segni predittivi significativi. Ulteriori approfondimenti inoltre dimostravano che solo livelli molto alti di ansia costituivano un rischio negli uomini di età media, ma nessuna variabile psicologica era predittiva di ipertensione nelle donne, in qualunque età. Questa ultima osservazione potrebbe lasciare perplessi, anche rispetto ai risultati di altri studi nei quali si dimostrava relazione tra ansia e ipertensione nelle donne, ma viene rilevato che la differenza è dovuta al differente ruolo delle popolazioni femminili nei due studi: infatti nello studio di Markowitz si trattava di donne non professionalmente impegnate.

Ipertensione e stress

Il termine stress comprende una reazione complessa che permette il riconoscimento e l'abilità di superare eventi percepiti come inusuali, inadeguati e difficili. Lo stress è quindi un fenomeno che comprende un ampio spettro di aspetti e di conseguenze complesse. E' anche un termine usato spesso in modo improprio. E' stato usato per la prima volta nel diciassettesimo secolo per indicare difficoltà e sofferenza. Successivamente e nel diciannovesimo secolo è stato usato intendendo lo sforzo lavorativo e la sensazioni di pressione, e all'inizio del ventesimo secolo per descrivere lo stato di tensione e di resistenza a forze esterne. Alcuni autori hanno proposto una definizione che può sembrare generica: "risposta non specifica dell'organismo a qualsivoglia richiesta", ma in realtà esprime l'importanza del concetto individuale di stress, che implica obbligatoriamente una valutazione soggettiva: la reazione biologica innescata da un evento stressante si verifica solo se l'individuo ha percepito un evento come una emozione scatenante, cioè solo se c'è stata la partecipazione psicologica all'evento e la valutazione cognitiva di questo come un evento stressante. Quindi ogni evento può essere potenzialmente stressante, dipende ovviamente da individuo a individuo. Le ricerche inerenti all’ipertensione hanno indagato maggiormente alcuni eventi che possono essere catalogati come stressanti come l’attività lavorativa, l’ambiente, ecc…

Il rapporto medico- paziente

Circa l'aspetto riguardante il rapporto medico/paziente, molto spesso oggetto di esame in passato e ancora oggi fonte di controversie, molti hanno enfatizzato l'importanza di uno stimolo "iatrogeno" nella valutazione del paziente: alcuni sono a favore del beneficio clinico di un rapporto positivo medico/paziente, alcuni considerano importante l'atteggiamento del medico per la risposta del paziente alla terapia, altri ritengono che la relazione interpersonale aumenti comunque la pressione arteriosa. In conclusione il medico, così come qualunque altra figura professionale specifica, non può essere considerato uno stimolo neutrale: basti immaginare con quale facilità può essere trasferita sul paziente la fiducia o la sfiducia in una determinata terapia, o con quale facilità si può tendere a trattare in modo eccessivo o viceversa insufficiente pazienti specifici. Non solo, ma l'effetto "iatrogeno" della figura del medico si esprime ancora di più nella ormai definita ipertensione da "camice bianco", la quale si esaurisce con l'automisurazione, pratica che contro-condiziona l'effetto iatrogeno della misurazione clinica; in altre parole, la risposta pressoria del paziente davanti al medico risulta essere elevata, in questa situazione il medico viene a costituire un involontario stimolo negativo.

Ipertensione e attività lavorativa

La tensione da lavoro, definita come alto impegno psicologico e scarsa autonomia decisionale in ambiente lavorativo, secondo molti autori sarebbe associata ad ipertensione e malattia cardiovascolare. L'effetto della tensione lavorativa in molte persone continuerebbe anche dopo il lavoro, con una mancata riduzione dei valori pressori durante le ore serali, per una incapacità a raggiungere un sufficiente rilassamento, ovvero secondo Steptoe a causa del "carico allostatico", termine con il quale ci si riferisce alla cronica iper-attività del sistema psicologico stress-controllato, che si manifesta come fallimento nel recupero, dopo la cessazione della domanda; detto in altri termini costituisce l'incapacità a "staccare la spina". Questa valutazione era indipendente dai valori basali di pressione arteriosa, dall'età, dal sesso e dall'indice di massa corporea, cioè non era correlata ad altri fattori noti di rischio cardiovascolare. Quindi la differenza nella risposta psicologica allo stress potrebbe avere un ruolo nel rischio cardiovascolare.
Alle stesse conclusioni giungono altri autori, secondo le cui osservazioni lo stress lavorativo determina un effetto cumulativo sulla pressione arteriosa , che si manifesta nel tempo e che non necessariamente è reversibile. E' inoltre più accentuato nelle persone in fascia d'età più avanzata, tra i 50 e i 60 anni, che non nelle persone più giovani, tra i 30 e i 40 anni. Questi soggetti, sottoposti a monitoraggio ambulatoriale della pressione per 24 ore, dimostrano valori sostanzialmente più alti sia di quella sistolica sia di quella diastolica non solo durante l'attività lavorativa, ma anche a casa e durante le ore notturne; il fenomeno è particolarmente spiccato in soggetti con alta tensione lavorativa, identificando così un gruppo particolare di ipertesi rispetto alla popolazione generale. Oltretutto, osservati con le stesse modalità di studio tre anni dopo, hanno dimostrato un aumento dei valori già alti precedentemente riscontrati, indipendentemente da altri fattori di rischio, confermando l'effetto cumulativo ipotizzato. A questo proposito l'esempio tipico è rappresentato dal non infrequente riscontro, durante il monitoraggio ambulatoriale, di valori di pressione arteriosa elevati durante le ore lavorative, che rientrano nella norma in coincidenza con gli orari di timbratura di uscita del cartellino di presenza.

Ipertensione e ambiente

Da questo punto di vista è noto che quelle rare popolazioni che vivono lontane dalla cosiddetta civiltà industriale godono ancora di un basso rischio cardiovascolare, legato verosimilmente al loro "stile di vita". La loro attività essenzialmente fisica, le loro abitudini alimentari prive di cibi grassi, permettono di mantenere una pressione bassa, che non si incrementa né con l'età né con la massa corporea, indipendentemente dal sesso. Sembra che la segregazione sia la ragione fondamentale di queste caratteristiche di una popolazione della Amazonia presa in esame: infatti non appena si verifica il contatto con le popolazioni di cultura occidentale il loro rischio cardiovascolare cambia drammaticamente. Quindi Pavan (curatore dello studio su questa popolazione) conclude che non solo i fattori genetici, l'attività fisica, ma sicuramente anche i fattori ambientali nel senso degli stress sociali, per questa popolazione in origine estremamente bassi, costituiscono la ragione della loro condizione non a rischio.

Ipertensione e collera

Alcuni studi identificano chiaramente una associazione tra l'espressione della collera e l'ipertensione, del tutto indipendente dagli altri fattori di rischio dell'ipertensione stessa. Everson, in una popolazione finlandese di media età, ha evidenziato una correlazione più significativa per i soggetti che esprimevano la collera rispetto a quelli che la introiettavano, che si accentuava nei quattro anni successivi di osservazione. I meccanismi specifici mediante i quali l'espressione della collera aumenti il rischio di ipertensione rimangono da chiarire, anche se gli effetti patologici determinati dall'ira e dallo stress mentale possono far ritenere plausibile questa associazione, attraverso l'attivazione del sistema nervoso simpatico e dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con aumento della frequenza cardiaca, delle resistenze vascolari, della secrezione di cortisolo, delle catecolamine, del glucosio e dell'insulina; tutti meccanismi che possono contribuire alla comparsa o alla progressione dell'ipertensione, e da ultimo anche fattori di crescita e meccanismi endoteliali, stimolati da caratteristiche psicosociali e da fattori stressanti.

Ipertensione e alessitimia

Recentemente vari disturbi della psiche sono stati considerati da Jula per valutare l'eventuale associazione con l'ipertensione. Si sa che fattori psicologici possono aumentare acutamente la pressione arteriosa, ma come poi possano condurre ad una stabile elevazione pressoria, come descritto da alcuni, non è ben noto. In uno studio che valutava disordini quali l'espressione della collera, l'ansia, l'ostilità, la depressione e l'alessitimia, cioè la scarsa capacità di provare ed esprimere emozioni e la difficoltà nel descriverle agli altri, si è visto che solo quest'ultima condizione sembrava correlata all'ipertensione e poteva differenziare il gruppo in osservazione rispetto ai controlli. In realtà gli altri sintomi di disturbo psichico possono fluttuare con il tempo e le circostanze, mentre l'alessitimia è generalmente considerata una caratteristica stabile della personalità, spesso associata al sesso maschile, a basso livello culturale, basso livello socio-economico, debolmente associato all'avanzare dell'età. Vi sono anche teorie non solo socioculturali ma anche neurobiologiche, le quali suggeriscono che questa condizione può essere correlata all'interruzione della comunicazione limbica-neocorticale, o che possa risultare da un deficit nella comunicazione interemisferica o da una disfunzione dell'emisfero destro. Le teorie psicologiche invece suggeriscono che la crescita in un ambiente privo di stimoli emozionali, un rapporto materno incapace di far prendere coscienza delle emozioni, o un trauma psicologico importante nella storia passata possano essere determinanti per lo sviluppo di questa patologia. Più recentemente è stato suggerito che, indipendentemente dalle cause, l'alessitimia possa riflettere un deficit nel processo cognitivo e nella regolazione delle emozioni; per cui la scarsa capacità di prendere consapevolezza delle emozioni e di farvi fronte renderebbe gli individui alessitimici vulnerabili agli stress continui.

Conclusioni
In conclusione, sembra di poter dire che il rapporto tra ipertensione arteriosa e psiche passa attraverso l'intreccio di reazioni biologiche e comportamentali: oggi si tende sempre di più a ritenere che i pazienti ipertesi abbiano meccanismi biologici di adattamento in qualche maniera inefficaci, non orientati in senso vantaggioso e incapaci di modellarsi di fronte ai cambiamenti intrinseci od estrinseci dell'organismo. I sistemi percettivi e i meccanismi di scelta non sembrano capaci di rispondere a stimoli biologici e a stress psicologici continuamente, ma tendono a prolungare la fase di adattamento biologico-comportamentale e funzionale non intenzionalmente fino a raggiungere un nuovo equilibrio ma ad un livello superiore, che può essere a volte durevole ma a volte piuttosto precario
.

Quello della ricerca sull’ipertensione rimane, comunque, un campo aperto e ricco di prospettive da indagare. A tutt’oggi non esiste ancora una teoria univoca che dia una spiegazione del problema, ma diversi punti di vista più o meno vicini tra loro. Sicuramente la patologia ipertensiva offre numerosi spunti interessanti per l’indagine del rapporto mente-corpo e si spera che in un futuro (magari non troppo lontano) si arrivi ad elaborare modelli validi ed esaustivi sull’argomento.


 

Bibliografia

Siti internet consultati:

www.psychomedia.it

www.psychosomaticmedicine.org (per la ricerca di abstract e articoli)

www.clicmedicina.it

www.hypertension.it

www.opsonline.it

Libri consultati:

Todarello, Porcelli, Psicosomatica come paradosso, Torino, Bollati Boringhieri, 1992.

Cassidy, Stress e salute, Bologna, Il Mulino, 2002.