A cura di Cinzia Gerbaldo e Serena Giampaolo
L’articolo vuole evidenziare il paradosso epistemologico
in cui cade la psicoanalisi quando vuole indagare il rapporto mente-corpo con un
metodo che è solo psicologico, attraverso l’esposizione di un caso clinico
riportato dall’analista canadese P. Lefebvre, aderente alla scuola
psicosomatica francese di P. Marty.
“La
paziente, Laura, a 31 anni iniziò un’analisi durata 5 anni, più altri 6 di
brevi periodi analitici. Sposatasi a 19 anni, subito dopo la morte del padre,
Laura cominciò a soffrire di RCU (rettocolite ulcerosa) a 28 anni, dopo la
separazione dal marito ed essere tornata a vivere con la madre insieme ai suoi
due figli. Era molto insoddisfatta di sé, soffriva di crisi ricorrenti di
depressione e bulimia, aveva rapporti saltuari con diversi uomini.”
I
primi due anni di analisi: “la distanza”.
Laura ha negato il transfert per il timore che l’analista
le fosse troppo vicino e diventasse intrusivo, ha utilizzato prevalentemente i
meccanismi di difesa della scissione e della identificazione proiettiva,
quest’ultima (inconsciamente) allo scopo di comunicare i sentimenti di
rifiuto, abbandono, rabbia, provate nelle relazioni oggettuali primitive e
successive (il controtransfert dell’analista era di noia e collera).
Lefebvre ha diagnosticato una nevrosi di carattere: tale
definizione (derivante dalla teoria di Marty) indica una forma clinica di
disorganizzazione del livello mentale e di psicopatologia che si cristallizza in
una formazione caratteriale stabile nel tempo, fragile nel funzionamento e con
oggetti interni scarsamente interiorizzati. In occasione di eventi traumatici si
verifica una regressione che non riesce ad organizzarsi attorno a nessun punto
di fissazione ed esita in automatismi comportamentali o agiti di tipo perverso.
La teoria della Scuola di Parigi aggiunge che, cronicizzandosi la
disorganizzazione, le strutture della mentalizzazione (simbolismo, associazioni,
metafore, sogni, pensiero astratto,
tonalità emotiva del discorso) e della relazione scompaiono e si installa
quello che viene definito “pensiero operatorio”, caratteristico delle
personalità definite “psicosomatiche”.
Lefebvre ha utilizzato le associazioni cibo-merda e un sogno
di Laura in cui la donna si è sorpresa di avere delle feci in bocca ( a cui ha
associato le abitudini di fare “giochi con la lingua” e di masturbarsi,
immaginando un essere che la ami incondizionatamente) per sostanziare un nesso
causale (che Todarello e Porcelli considerano avventato) tra le modalità di
relazione oggettuali della paziente e la sua RCU: ne deriva l`ipotesi implicita
di potervi intervenire psicoanaliticamente
“Tutto
ciò che viene messo all’interno, era destinato ad essere fecalizzato,
trasformato rapidamente da orale ad anale, ossia dall’esperienza dello stomaco
a quella dell’intestino…secondo un fantasma sadico-anale di espulsione”.
La
seconda parte dell`analisi: “l’impasse narcisistica”.
A partire dal secondo anno, Laura ha cominciato ad avvertire
il bisogno dell’oggetto, rappresentato dall’analista nella situazione
transferale. Parallelamente la
capacità di simbolizzazione onirica della paziente è migliorata, come ci viene
segnalato dall’esposizione di un sogno della donna, in cui un cane divora
avidamente un topo e il barattolo di vetro in cui è contenuto, ferendosi le
budella. Il sogno e le modalità relazionali di Laura evidenziavano
un’incapacità di mantenere la giusta distanza dall’oggetto: viene
intensamente desiderato (“fame oggettuale”) ma poi non riesce ad essere
introiettato, perché ciò rappresenta una minaccia di disintegrazione. La
personalità della paziente ricorda quella del “paziente psicosomatico”
descritta da Marty.
Il paziente psicosomatico cerca un rapporto identificatorio
con l’oggetto o in modo fusionale (oneness), oppure cercando un doppio di sè
(sameness). Ogni differenza dell’oggetto da sè non è tollerata: una modalità
relazionale di questo genere rappresenta una minaccia per i propri confini, per
la propria identità, quindi gli oggetti, che peraltro non si rivelano mai
soddisfacenti, devono essere espulsi, ritornando ad una situazione di vuoto ed
abbandono. Questa situazione viene definita “impasse narcisistica”, per
l’incapacità di mantenere una distanza ottimale tra sé e l’oggetto ed è
considerata un fattore di rischio aspecifico per la “vulnerabilità
somatica”.
Nello specifico caso di Laura, Lefebvre ipotizza che, l’azione dell’impasse narcisistica si esplichi in Laura attraverso il conflitto tra due opposti:
-il bisogno di incorporare l’oggetto che, a livello
della sintomatologia somatica, si esprime con la bulimia;
-la paura di distruggere e di essere distrutta dagli
oggetti incorporati che per questo motivo devono essere espulsi, meccanismo che,
somaticamente, si manifesta attraverso la diarrea emorragica della RCU.
L’impasse narcisistica è inoltre legata al
“fantasma del patto faustiano”, che consiste nella finzione irraggiungibile
che ci spinge fin dall’inizio dell’esistenza alla ricerca dell’oggetto
capace di amare in modo perfetto e incondizionato.
Ogni bambino sa che i chi si prende cura di lui non può
amarlo incondizionatamente ma che la sua sopravvivenza dipende da un patto: nel
caso del paziente psicosomatico, caregivers non sufficientemente empatici gli
hanno comunicato che per essere amato egli deve essere completamente
compiacente, deve sviluppare un Falso Sè e operare una scissione, perdendo il
contatto con il vero Sè e con il corpo. Di fronte ad una rinuncia così penosa
il bambino si sente in diritto di essere indefinitamente soddisfatto.
Terza
parte dell’analisi: la “guarigione”?
Nel quarto anno, Laura è riuscita a verbalizzare le sue
vere emozioni riguardo alla madre che “faceva pagare a caro prezzo ciò che
dava”, autoritaria e dipendente, che desiderava una relazione simbiotica con
la figlia in cambio del proprio amore: è emerso dunque il “fantasma del patto
faustiano”. La paziente ha cominciato a chiedersi se la RCU non sia stata un
modo per pagare per la rottura del legame simbiotico con la madre con il
matrimonio.
A livello psicologico la terapia analitica ha ottenuto buoni
risultati, ad esempio il riuscire a
piangere, ad associare, l’abbandono delle relazioni sessuali compulsive: Laura
è passata dalla posizione persecutoria ad una depressiva.
Lefebvre, sulla base delle comunicazioni della paziente, ha
asserito che il trattamento analitico ha influito anche sulla rettocolite: gli
episodi di diarrea sono diminuiti, poichè la rabbia della donna ha iniziato ad
esprimersi a livello psichico. Tuttavia un esame endoscopico ha rivelato la
presenza di polipi sulla parete intestinale e Laura ha subito una colostomia.
Commento
esplicativo: perché questo caso?
Lefebvre ha presentato questo caso allo scopo di dimostrare
la possibilità d’intervenire con il trattamento analitico su un disturbo
organico. Tale intervento può
essere interpretato secondo due prospettive.
TESI A: la psicoanalisi mira a ricostruire il senso mentale delle funzioni somatiche: il
paziente potrà modificare le modalità di relazioni d’oggetto patologiche e
con esse anche le modalità di rapportarsi alla rettocolite, intesa anch’essa
come oggetto.
Secondo i due autori dell’articolo è possibile affermare
che le relazioni oggettuali siano il versante mentalizzato delle funzioni
somatiche, rifacendosi al pensiero di Gaddini, che afferma che le fantasie
precoci sono fantasie del corpo (in quanto mentale e somatico non sono ancora
differenziati, non c’è ancora mentalizzazione): ad esempio l’introiezione
è la mentalizzazione dell’incorporazione fisica e la proiezione quella
dell’espulsione violenta delle feci.
TESI B: la psicoanalisi trova la causalità dei disturbi
somatici nel simbolismo inconscio. La rettocolite è concepita come il risultato
di un conflitto da cui la paziente si difende costruendo un oggetto-malattia da
preservare al fine di dirottare su di esso la rabbia e la domanda di terapia,
lasciando inalterato il suo mondo di relazioni oggettuali patologiche di cui la
RCU stessa è simbolo e contenitore.
Punti
critici
1)
ESISTE LA CAUSALITÀ LINEARE TRA PSICHICO E SOMATICO?
Todarello e
Porcelli sottolineano che il nesso causale tra le modalità di relazioni
oggettuali e la rettocolite introdotto dall’analista canadese è improprio, in
quanto non verificabile nel setting analitico in cui ha operato. Le osservazioni
cliniche sul caso indicano unicamente che Laura riproduce nelle sue
manifestazioni comportamentali e relazionali il rapporto interiorizzato della
relazione oggettuale primaria con la madre e che le sue funzioni somatiche seguono lo stesso andamento
delle sue relazioni oggettuali.
Possiamo dire
di trovarci in presenza di un parallelismo ma non abbiamo elementi verificabili
per attribuire al funzionamento del primo un ruolo nell’eziopatogenesi della
rettocolite di Laura.
Lefebvre nel trattamento ha aderito implicitamente ad
un’ipotesi secondo la quale la psicoanalisi consente di rintracciare le cause
dei fenomeni biologici all’interno del simbolismo dei fantasmi inconsci, ad un
modello di conversione isterica esteso al SNA e agli organi interni, assumendo
che essi abbiano una funzione di simbolizzazione sessuale e conflittuale, come
ipotizzavano ad esempio Groddeck, Deutsch, un tempo. Secondo Todarello e
Porcelli il modello della “conversione estesa” è applicabile a sintomi
funzionali, come la diarrea ma non alla RCU, che presenta alterazioni organiche
documentabili endoscopicamente e istologicamente, solo perchè a tutt’ora la
sua eziopatogenesi è sconosciuta. Possiamo solo affermare che la diarrea
riproduce il senso mentale della funzione escretoria perturbata, mentre il sintomo organico di per sè
è muto, proviene dal biologico.
2)
IL PAZIENTE PSICOSOMATICO È UNA SOTTOCLASSE DELL’ORGANIZZAZIONE
BORDERLINE?
Il lavoro
analitico di Lefebvre è stato guidato dall’ipotesi iniziale di una “nevrosi
di carattere”, che ha come punto nodale la situazione di impasse narcisistica,
riscontrabile nella categoria borderline (personalità schizoidi per i
kleiniani, sindromi marginali o personalità stato al limite per Kernberg,
disturbi narcisistici di personalità per i kohutiani) e nella “personalità
psicosomatica”(Sami-Ali, Ammon, Ruesh). Da queste considerazioni sorge una
domanda: esiste una personalità “psicosomatica” o siamo di fronte ad una
sottocategoria dell’organizzazione borderline di personalità?
Nel caso di Laura come paziente borderline, l’intervento ha avuto
successo, integrando la parti scisse del suo mondo oggettuale. Ma
3)
L’INTEGRAZIONE PSICHE-SOMA È AVVENUTA?
La donna non era solo una “borderline” , in quanto
paziente psicosomatica l’intervento analitico avrebbe dovuto raggiungere
l’integrazione psiche-soma. Invece, a fronte di una psiche “risanata”, di
una diminuzione dei sintomi funzionali (la diarrea emorragica), resta un corpo
aggredito dal cancro intestinale.
4)
IL SOMATICO HA UNA PROPRIA AUTONOMIA DI FUNZIONAMENTO?
Se la risposta è “sì”, il disturbo psicosomatico è un
oggetto eterogeneo rispetto all’oggetto psichico trattato dalla psicoanalisi,
che si rivela inadeguata a questo campo. (Questa è l’IPOTESI
“MASSIMA”).
Se la risposta è “no”, i nuovi paradigmi psicoanalitici
possono fungere da ponti metodologici per lo studio dell’oggetto
psicosomatico.
(Questa è l’ipotesi “MINIMA”).