Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2001-2002

Corso di Psicosomatica

Materiali per il corso a cura degli studenti:

“Il caso di Sophie” – tratto da “Teatri del corpo” di Joyce McDougall

a cura di Patrizia Boffito


Ultimo aggiornamento: lunedì 13 aprile 2015 17.26

Sintesi

Joyce McDougall introduce il racconto del caso di Sophie, una psichiatra ventiseienne, omosessuale, come un esempio di “…alcune delle conseguenze a lungo termine della mancanza precoce di internalizzazione dell’istanza materna rassicurante.” 

Per Sophie queste conseguenze erano rappresentate da un’insonnia persistente che si manifestava quando era sola, senza un’amante nel suo letto, oltre che dall’abuso di alcolici e da crisi di eczema.

La difficoltà ad addormentarsi risaliva fin dalla sua prima infanzia: Sophie riusciva a dormire soltanto quando la madre la cullava, mentre strillava e si graffiava se lasciata “sola” nella culla.

I problemi con l’alcool ebbero inizio durante l’adolescenza, come pure la prima crisi di eczema alla mano e al braccio destri, che si verificò dopo il primo rapporto sessuale con una donna, un’insegnante della sua scuola. 

Attraverso l’analisi, durata sei anni al ritmo di quattro sedute la settimana, emerse che Sophie trasferiva sulle sue amanti il ruolo della madre tanto desiderata e al tempo stesso tanto odiata dell’infanzia: i desideri incestuosi proibiti e la rabbia contro la madre, investita dal diniego, si rivelarono essere la causa scatenante gli attacchi di eczema; l’ipotesi trovò conferma nel fatto che quando Sophie riuscì a verbalizzare questi vissuti di rabbia e di terrore verso la madre, l’eczema lentamente svanì. 

L’autrice parla del rischio di predisposizione, da parte dell’adulto-in-divenire, alla creazione di “oggetti transitori”, che possono assumere l’aspetto di sostanze stupefacenti o di relazioni di dipendenza coatta, finalizzati a riempire il vuoto del mondo interno in cui manca la rappresentazione di un’istanza materna rassicurante. 

Per Sophie l’alcolismo rappresentava un tentativo di fuga da quei sentimenti di collera e di abbandono che non poteva né contenere né elaborare e le relazioni di iperdipendenza con le sue amanti erano un mezzo per identificarsi in quella madre che le strangolava la vita, ma dalla quale al tempo stesso esigeva un’attenzione costante.

Quest’ambivalenza aveva da sempre impedito a Sophie di costituire una relazione amorosa stabile; sembrava finalmente esserci riuscita con Béatrice, una ragazza più giovane, ma anche in questa relazione Sophie si sentiva iperdipendente e addirittura determinata al suicidio se, la paura di essere abbandonata fosse diventata insopportabile: l’abbandono da parte dell’amante avrebbe riattualizzato l’abbandono materno. 

Sophie interruppe l’analisi per seguire Béatrice, che però l’anno dopo la lasciò. Scrisse alla sua analista, ma non volle riprendere l’analisi perché non poteva permettere che le venisse “ispirata ancora una volta la speranza”: si uccise due mesi dopo, ma prima lasciò una lettera ai genitori dove spiegava le ragioni del suo gesto. Queste ragioni non furono capite. Non fu capito che Béatrice rappresentava per Sophie quella madre rassicurante e vitale che non era riuscita ad interiorizzare nell’infanzia, e perderla significava trovarsi sola con il vuoto del suo mondo interno. 

L’autrice nota, a conclusione del racconto, l’errore nelle date riportate sull’annuncio inviato dai genitori ai conoscenti: era come se Sophie fosse vissuta solo dal giorno della sua morte al giorno dei suoi funerali, non aveva mai avuto un’esistenza propria e “raggiunse una vera indipendenza ai loro occhi solo nel momento in cui si uccise”.

Commento 

Nella parte finale del racconto McDougall apre un inquietante interrogativo sul ruolo dei genitori di Sophie nel determinarne il tragico destino (“… un atto che non avevano in alcun modo previsto e sul quale non esercitavano alcun controllo?”pag. 94).

L’ipotesi che si prospetta è che i genitori di Sophie, amando la figlia come una parte di se stessi e negandone l’esistenza come persona distinta da loro, con bisogni e desideri propri, l’abbiano spinta, per difendersi dalla “minaccia di annichilimento psichico”, all’alcolismo ed all’omosessualità prima, ed al suicidio poi.

Sophie in analisi rivelava la convinzione che la madre volesse esercitare “un controllo fisico e mentale su di lei”. Ne è un chiaro esempio lo specchio appeso alla porta della stanza da letto materna per sorvegliarla in ogni momento in quella che doveva essere la sua stanza.

Sophie sentiva che il desiderio di sua madre “… non era tanto che prendessi il mio posto tra i vivi quanto che vivessi nella sua testa, morta.” 

Questa dinamica mi fa ripensare agli “Spoilt children” di cui parla Franco Borgogno nel suo testo “Psicoanalisi come percorso”, dove afferma che molti dei pazienti difficili hanno vissuto “…esperienze di annientamento psichico subdole, sottili e ardue da decodificare, e spesso non è stato loro concesso, o quasi, di esistere come persone individualizzate ma solo come appendici di qualcun altro contro la loro stessa volontà”(pag. 98).

Sempre in “Psicoanalisi come percorso”, nel capitolo dedicato al Contributo di Ferenczi alla psicoanalisi infantile, emerge come, anche secondo Ferenczi, possano essere dannose per la mente in formazione e crescita quelle forme di deprivazione, per eccesso o per difetto, determinate dagli atteggiamenti emotivi dei genitori. 

L’interrogativo posto da McDougall al termine del suo racconto potrebbe trovare risposta nelle parole di Borgogno che, riprendendo Ferenczi, la cui originalità e modernità di pensiero sta finalmente avendo un riconoscimento, parla di “operazioni di intrusione e di estrazione che segnano e danneggiano l’esperienza del bambino.”(pag. 163  “Psicoanalisi come percorso”).

torna all'inizio della pagina ...

© 2001 Silvio A. Merciai