A cura di Marco Donatiello
Tutta la vita organizzativa è
percorsa da “ansietà”, inerenti sia la dimensione operativa (azioni e
decisioni che dovrebbero consentire di raggiungere gli obiettivi prefissati),
sia la dimensione relazionale (intreccio di sentimenti ed emozioni che
scaturiscono dalla collaborazione e dal confronto tra gli individui, dal loro
lavorare assieme in vista degli stessi obiettivi).
La stessa concezione di lavoro
presuppone ansietà: l’idea stessa di lavoro come produzione di beni o servizi
che possono essere considerati utili sembra infatti essere soppiantata
dall’idea del lavoro come costante preoccupazione per la sopravvivenza
dell’organizzazione stessa; la vera finalità del comportamento organizzativo
non è quella di “sopravvivere per lavorare”, ma quella di “lavorare per
sopravvivere”.
L’ansietà insita nelle
organizzazioni è legata ai temi della vulnerabilità, della provvisorietà; il
senso di incertezza che può accompagnare lo svolgimento dei compiti di lavoro
non sfugge quasi mai alla
“compagnia” dell’ansia. Le fonti di ansia sono principalmente tre:
1) Le frontiere organizzative:
le frontiere dell’organizzazione hanno la funzione primaria di proteggere
l’attività operativa dalle influenze esercitate dall’ambiente esterno,
quando le frontiere sono mal disegnate o mal gestite possono creare stress o
ansietà, in quanto viene a mancare la necessaria barriera protettiva
all’incertezza e alla turbolenza esterna.
2)
L’esercizio del potere: la dimensione del potere rappresenta un crocevia nodale particolarmente
insidioso, in quanto l’esecuzione di ogni tipo di lavoro, dal più scontato a
quello più complesso, apre in ogni occasione pericolosi interrogativi in tema
di potere, anche il più banale: chiedere o rifiutare un consiglio, tentare o
lasciarsi convincere, concedere tempo o prendersi tempo per riflettere, rendersi
disponibile… Gli individui, secondo Hirschhorn, temono l’esercizio di
autorità quando non hanno “…un’immagine di sé sufficientemente buona,
cioè quando si sentono fondamentalmente cattivi…”
3) La
dinamica di ruolo: l’incertezza sulla presa di ruolo può indurre ad esempio a
sottovalutarsi e a non ritenersi all’altezza dei compiti affidati, sostenendo
in tal senso le istanze superegoiche di autoaccusa e di punizione che, non
potendo proporsi come impulso positivo verso l’azione , vengono proiettate
verso l’esterno attribuendo ad altri il ruolo di persecutori.
Si hanno in questi casi l’attivazione di un
processo di progressivo disimpegno dal proprio ruolo nell’organizzazione , gli
individui si allontanano dalla realtà lavorativa e si creano un mondo
alternativo in cui gli eventi possono essere affrontati con modalità difensive
quali la fantasia di onnipotenza, la dipendenza o la negazione.
Inoltre ci possono essere altre cause importanti a
generare lo stress: lo sviluppo di carriera, le relazioni di lavoro (relazioni
con i vertici, con i dipendenti, ma anche con i colleghi)…
Se l’ansietà al lavoro è troppo grande, troppo
difficile da controllare e da rielaborare, gli individui la fuggiranno, cioè
tenderanno ad abbandonare il loro ruolo nell’organizzazione. Il ruolo è,
infatti, l’elemento che dà forma alla visione oggettiva della realtà di
lavoro, per cui se gli individui non
possono tollerare la situazione di lavoro avranno bisogno di fuggire dal ruolo
per fuggire dalla realtà. Bisogna notare che fuggire dal ruolo significa
violare i legami e i confini sociali ed interpersonali, cioè proprio quelle
condizioni di costrittività e di rischio che spesso sono percepite come
all’origine dell’ansia: l’obiettivo è quello di
costruire un mondo fantastico nel quale i legami
sono distorti modellati a
proprio piacimento.
Una situazione di stress o di ansia psicosociale, se
ripetuta e prolungata nel tempo, aumenta il logoramento individuale e produce
danni funzionale strutturali: l’affrontare un problema complesso (ad esempio
il tentativo di adattarsi ad una situazione psicosociale poco gradita o ostica)
comporta l’attivazione di meccanismi di risposta identica a quelli dello
stress che si manifestano di fronte ad una situazione fisica estremamente
nociva.
La reazione allo stress dipende dal modo in cui il soggetto interpreta e valuta il significato di un evento pericoloso e potenzialmente dannoso, che è basato sulle esperienze personali dell’individuo, su tratti specifico di personalità, valori, circostanze di vita, abilità, intelligenza, addestramento e cultura.
Il modello dello stress lavorativo
secondo Cooper (clicca l'immagine per vederla ingrandita)
Bibliografia minima
Quaglino,G.P., "Psicodinamica della vita organizzativa" (1996) Raffaello Cortina Editore.
Kets de Vries, M.F.R. "L'organizzazione irrazionale" (1999) Raffaello Cortina Editore.
Kets de Vries, M.F.R. "La mistica della leadership". In Quaglino G.P. "Leadership.Nuovi profili per nuovi scenari organizzativi" (1999) Raffaello Cortina Editore.