Internet, una sfida

Last Update on lunedì aprile 13, 2015


Questo è il testo provvisorio di un mio tentativo di fissare alcuni punti dell'attuale dibattito circa il rapporto tra Internet e le discipline psicodinamiche.
Una revisione di questo lavoro è stata pubblicata sulla rivista Psiche, 1998, 1, pp. 161-166.


Internet, una sfida

Silvio Arrigo Merciai

 Premessa.

L’amore per la psicoanalisi e l’interesse per l’informatica hanno abitato per molti anni la mia mente. La prima si è incanalata nel training severo e formale dell’Istituzione, il secondo ha seguito le vie caotiche e ricorsive dell’autodidatta. Ho passato molti anni ad imparare dall’esperienza: di me stesso e di altri. Per anni mi sono chiesto se e in che modo questi due filoni potessero convergere o confluire. Ci ho provato con un corso – assai impegnativo – di Intelligenza Artificiale, per poi scoprire, quasi subito, che la cosa diventava così complessa da richiedere inevitabilmente un lavoro a tempo pieno e in un’istituzione straniera. Alla fine mi ero abituato a pensare che psicoanalisi ed informatica avevano in comune essenzialmente un punto: la solitudine dell’esperienza. Ero da solo con i miei pazienti come ero da solo davanti al mio computer. Sì, certo, potevo parlare di quello che mi accadeva con altri, magari più esperti di me: ed in effetti ho frequentato supervisori delle mie sedute con i pazienti e supervisori delle mie sessioni al computer. Ma poi, al dunque, mi ritrovavo di nuovo a fare i conti con il mio essere lì da solo.
Internet ha radicalmente cambiato questo stato di cose e si presenta oggi alla mia esperienza come una svolta insieme intrigante ed affascinante, inquietante e coinvolgente: mi offre delle risposte nel momento stesso in cui mi questiona con nuove domande. E’ questo che vorrei condividere con il lettore nelle prossime righe …

Che cos’è Internet.

Che cosa Internet sia sembra ormai ben noto a tutti, anche se mia impressione è che la divulgazione giornalistica e radiotelevisiva ne offrano spesso immagini deformate (del resto, sono immagini di parte, visto che la Rete si pone in prospettiva come il più formidabile concorrente degli attuali mezzi di informazione). Perciò, cercherò qui – brevemente – di fissare i punti fondamentali della questione, così come io li vedo.
Internet, dunque, è un mondo, continuamente mutevole ed evolutivo, costituito dalla interconnessione di strumenti informatici. Il vostro computer ed il mio computer, opportunamente connessi, possono dialogare e scambiare informazioni: al di là di qualsivoglia specificazione tecnica. La prima caratteristica rilevante, dunque, è che il protocollo Internet rappresenta la prima e per ora la sola possibilità umana di connessione indipendente dall’infrastruttura tecnologica usata: le macchine, qualunque ne sia la tipologia (computers, portatili, palmari: e tra breve telefoni cellulari, microprocessori incorporati nell’orologio, e simili), possono parlarsi e capirsi: senza bisogno di convertitori o traduttori.
Ma non sono i computers a comunicare: lo sono invece le persone che li usano, e che nei loro strumenti informatici trascrivono dati, notizie, testi, registrazioni vocali, filmati, fotografie, etc. Attraverso il vostro computer ed il mio possiamo guardare assieme o scambiarci impressioni su un testo o su un’immagine, parlarci, nel senso concreto del termine. Insomma, comunicare, nello stile e nelle forme con cui noi esseri umani da millenni lo facciamo.
Il vantaggio è che la connessione Internet è facile e a buon mercato. Bastano un qualunque computer, anche vecchiotto, un modem da poche centinaia di mila lire ed il normale filo del telefono. E dall’altra parte ci sono, secondo le stime correnti, più di 60 milioni di persone, di ogni continente o regione. A portata di mano …
Molte di queste persone hanno cominciato a costruire un nuovo mondo – che non è né migliore né peggiore di quello che conosciamo nella nostra vita quotidiana, e che quindi include generosità e meschinità, ricchezze e povertà, scienziati ladri studiosi imbroglioni creativi sfruttatori benefattori perversi etc., e soprattutto commercianti – di cui però chiunque può far parte, chiunque può costruire un pezzo. Senza limiti o discriminazioni di razza sesso età censo cultura etc. Il vostro computer e il mio, durante una connessione Internet, ne sono un pezzo, di questo mondo, e ve ne lasciano una traccia. Buona o cattiva, comunque un pezzetto, un frammento per quanto minuscolo che si iscrive in una storia complessiva.

Uno psicoanalista su Internet.

Lavorare al computer non mi trova più in condizione di solitudine: la mia macchina non è più stand alone, come dice l’informatico. Posso chiedere aiuto in qualunque momento, a costi assolutamente irrisori, e con l’aspettativa che molte persone mi offrano la loro assistenza. Un’aspettativa, questa, che si è costituita nel corso degli anni sulla base dell’effettiva esperienza: cioè dell’effettiva verifica che qualcuno, dall’altra parte del mio doppino telefonico, mi legge e si prende la briga di pensare e di cercare di aiutarmi. Un qualcuno – e qui è la novità – che probabilmente non incontrerò mai di persona: di cui verosimilmente ignorerò per sempre l’aspetto fisico, lo sguardo, il colore della pelle, la razza, la storia.
E’ cambiata, in pochi anni, la mia concezione dello spazio e del tempo: nel senso, però, che ora non so più bene che cosa voglia dire vicino o lontano, subito o tra molto tempo. Alla banale esperienza che potevo essere da solo in mezzo alla contiguità fisica di molte persone, ora ho aggiunto la complementare sensazione della possibilità di essere vicino a persone fisicamente distanti decine di migliaia di chilometri. Ma di un vicino che è insieme la percezione emotiva piena e gratificante di una sintonia e di una disponibilità, ma anche di una incorporeità – virtuale, come malamente la si suole definire – che rende tutto disperatamente mentale o mentalizzato. E così come sapevo che ‘presto’ in un’analisi si misura in mesi ed in anni, ora ho anche fatto esperienza del fatto che ‘dopo molto tempo’, su Internet, si misura, qualche volta, nell’arco di una manciata di secondi. E mi sembra di trovarmi così, a questo punto, con vecchi parametri di tempo e spazio, ormai desueti, e con nuove concezioni, a tratti sconnesse e mal integrabili …
Ma anche nel mio lavoro di analista, sono molto meno da solo. Se voglio sapere che cosa il mio amico-collega Mike di New York o Paulo Cesar di Sao Paulo o Marta di Milano pensano di una mia seduta, posso trascriverne un frammento e mandarglielo, via posta elettronica, magari sotto forma crittografata per ovvie ragioni di confidenzialità e sicurezza. Ne avrò – tale è stata la mia esperienza – una risposta ed un parere entro poche ore. Se voglio meglio capire il punto di vista di analisti e terapeuti di impostazione diversa dalla mia, posso iscrivermi ad una mailing list riservata per professionisti di formazione consimile alla mia e leggere le loro comunicazioni, integrandole, se lo desidero, con le mie osservazioni e commenti: pubblici o privati, secondo quello che desidero. Se sono alla ricerca di un libro, posso ordinarlo e comprarlo in Rete, consultando elenchi indicizzati che nessuna libreria concreta mi mette a disposizione. Se cerco delle informazioni, il mio unico problema sarà censire la miriade che ne troverò ed orientarmi in un ginepraio con parecchi rovi, ma anche molti fiori. Posso, in altre parole, alzarmi dalla poltrona analitica e sedermi davanti al monitor e continuare a pensare – con altri – senza uscire di casa, senza affrontare il limite della distanza e dell’eccessiva attesa.
Tutto questo mi arricchisce, certo, e mi offre infinite possibilità. Ma altrettanto, è evidente, mi cimenta con una nuova serie di questioni. Quali sono le intersezioni possibili – quali almeno quelle sane – tra quel mondo che sta al di là del monitor e quello che sta al di là della porta di casa: due facce della stessa realtà umana, ma che insieme si profilano e si presentano come due prospettive diverse e, al limite, parallele?

La relazione interpersonale su Internet.

Se il lettore ha una qualche personale esperienza di Internet o se, come mi piacerebbe, le poche righe fin qui sono state abbastanza evocative, una cosa dovrebbe essere a questo punto chiara e condivisa: che cioè Internet è essenzialmente un mondo di relazioni interpersonali, o un campo di esperibilità di possibili relazioni umane. Un mondo e un campo che differiscono da quelli a cui siamo abituati a pensare secondo la nostra esperienza, per così dire, tradizionale, per il fatto di non implicare e richiedere nessuna prossimità o contiguità geografica, nessuna specifica corporeità fisica: null’altro, insomma, che l’intenzionalità e l’investimento di un incontro o di una frequentazione.
Ma su un punto non c’è davvero nessuna differenza sostanziale … per lo meno per me che sono uno psicoanalista: sull’intensità, sulla gamma ampia ed estesa, sulla pregnanza delle sensazioni, dei sentimenti e degli affetti che sono – almeno potenzialmente – in gioco. Ho scoperto che posso amare e odiare il mio corrispondente via Internet tanto quanto posso amare e odiare il mio paziente; che posso analogamente desiderare o non di ritrovarlo ed incontrarlo, scoprire di non conoscerlo, cercare di parlare e di farmi ascoltare o annegare nell’incomprensione e nell’evitamento, essere utile o di danno, soffrire o gioire: e così via. Non credete a chi vi dice che la relazione via Internet è fredda, intellettualizzata e meccanica – da computer, insomma: non è vero. E chi lo dice, verosimilmente, non si è davvero mai arrischiato a sporgersi sulla tastiera ed a rischiare un rapporto. E forse lo fa con difficoltà anche nei campi più usuali della vita di tutti i giorni, dove è così facile nascondersi e mimetizzarsi …
Certo, il mio partner ‘reale’ lo vedo, lo ascolto, lo tocco, lo annuso, in certi casi ne posso persino gustare il sapore: e questo non avviene forse in gran parte anche su Internet? A parte il gusto, l’olfatto e il tatto, tutti gli altri sensi sono già rappresentati e sempre più lo sono nelle connessioni telematiche.
Il mio vecchio computer e la mia piccola telecamera da quattro soldi riescono già oggi – domani sarà uno scherzo, ne sono certo – a farmi vedere ed ascoltare la viva voce del mio interlocutore: c’è una presenza fisica che sta sempre più imponendosi, passando attraverso quel minuscolo doppino telefonico.
E qua divento davvero confuso. E’ forse il tatto, la possibilità di toccare e di contenere fisicamente, così determinante da tracciare la discriminante sicura tra i due tipi di relazione? Certo, ben sappiamo come il contatto fisico sia determinante nello sviluppo dell’esperienza umana e come ad esso si ritorni nei momenti nodali e più intensi dell’esperienza personale: l’abbraccio dell’amico, la sessualità del partner, il corpo-a-corpo dell’odio … Ma davvero il conforto della voce, poniamo, al telefono sono solo un pallido surrogato illusionale che rimanda ad un necessario qualcos’altro?
Potrei – potreste – facilmente rispondere di sì. Sarei terribilmente solo se qualcuno non vivesse con me, accanto a me, tutti i giorni. Ma …

Tra qualche minuto arriva il mio paziente delle 19.30. E’ una persona che vedo da quasi quattro anni, sulla quale ho intensamente investito. Vivo con molta partecipazione la sua complessa vicenda umana, le altalene di speranze e timori che la sua patologia costruisce giornalmente e che la seduta ospita, alla meno peggio. E’ una persona importante della mia vita, non solo professionale, dalla quale credo di avere anche molto imparato. Ma è, ovviamente, una persona che non ho mai toccato (non ci stringiamo neppure la mano al momento dell’arrivo o del congedo), che non ha per me, altrettanto ovviamente, nessun sapore gustativo e nessun odore (sono costituzionalmente iposmico, del resto). In che cosa la mia relazione con questa persona differisce sostanzialmente da quella che ho con il mio corrispondente di San Diego, di cui ben conosco ormai la voce e l’aspetto fisico e con cui mi incontro quasi tutte le settimane (ad una drammatica ora notturna, per via del fuso orario) per discutere di psicoanalisi ed Internet?

La sfida di Internet.

C’è molto bisogno di psicoanalisti e di psicoanalisi per inquadrare ed evolvere le potenzialità di Internet. Abbiamo, io credo, almeno una qualche specifica propensità ad ascoltare la novità di un’esperienza, qualche attitudine ad accostarci – senza memoria e desiderio – alla tempesta emotiva ed alla turbolenza affettiva tipica dell’incontro interpersonale e, forse, qualcosa da dire, che è specifico della nostra formazione, su tutto questo. Si muovono e si intrecciano su Internet dimensioni interpersonali individuali e gruppali che spesso possono sembrare davvero pensieri in cerca di un pensatore: perché non dovrebbe essere lo psicoanalista l’interlocutore idoneo, o almeno uno degli interlocutori possibili, di questa ricchezza dinamica di vita? Se accettiamo di confrontarci con qualcosa che è insieme sempre la stessa storia e sempre una nuova storia, con qualcosa che cimenta insieme sia la nostra saggezza sia la nostra ignoranza: c’è un ambito importante in cui siamo convocati. E mi sembra grave che si stia rispondendo con tanto ritardo – in Italia e nel mondo – a queste istanze.
Ma anche c’è bisogno di molto ripensamento, su noi stessi e sulla nostra professionalità, per essere psicoanalisti nell’era di Internet. Perché, spero di averlo fatto intravvedere, molte cose sono cambiate ed irreversibilmente e ci richiedono – come persone prima ancora che come operatori – di riflettere e di analizzarci. Torna in primo piano, mi pare evidente, il vecchio irrisolto problema del rapporto tra il corpo e la mente. Ma entra anche in crisi una certa visione tradizionale della mentalizzazione del corpo, che in psicoanalisi è sempre stata dominante e centrale.
Si aprono domande su che cosa sia davvero comunicare ed incontrarsi, tra esseri umani e dentro una stanza – reale? O virtuale? – di analisi. La stessa modalità tecnica del nostro lavoro si interroga incerta sulle sue prospettive: si può fare con profitto un seminario in rete? E una supervisione? E una terapia? …
Sto correndo troppo con la fantasia, forse state pensando. Forse è vero …
Ma ci sono, intorno a noi ed in mondi confinanti da vicino con il nostro esperienze in corso: seminari, supervisioni e terapie sono già in atto (e del resto non esistono consolidati modi di utilizzo del telefono, per esempio, a scuotere la nostra ragionevole certezza che un setting implichi di necessità una contiguità geografica, un rituale ripetuto di incontri fisici in cui qualcuno entra, sta e poi esce da una stanza – perché qualcosa di reale e valido possa davvero accadere?).
E’ vero, posso chiedere ai miei corrispondenti che cosa pensano di una mia seduta analitica: ma lo faccio pochissimo ed intorno a me gli psicoanalisti lo fanno pochissimo. Questo che cosa vuol dire?
Posso acquistare libri, consultare bibliografie, iscrivermi e scambiare su liste postali specializzate. Ma lo faccio poco ed anche gli altri lo fanno poco.
Potrei entrare davvero in dibattiti interdisciplinari con quei neurofisiologi o psicolinguisti o sociologi etc. con cui il mio ambito disciplinare confina, per realizzare quegli scambi che in tante occasioni auspico e si auspicano. Ma avviene pochissimo: per me e per gli altri.
Forse tutta questa storia di Internet mi rimette semplicemente davanti alle mie bugie, alle mie mistificazioni: alle piccole cosmesi quotidiane con cui il pensiero e la parola mi aiutano a sopportare le angustie della mia mente e del mio vivere quotidiano: la percezione di una costruzione che ha nelle sue fondamenta la stessa fragile labilità di ogni umana costruzione.
O forse, più semplicemente, questa storia, come al solito, riporta laddove era partita. Alla inevitabile ed ineludibile condizione della nostra umana solitudine. Con o senza computers ….

© 1999, Silvio A. Merciai

Arcobaleno

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