Le fonti del pensiero bioniano e la teorizzazione sui gruppi

(a cura di Elisabetta Atzori e Antonio Rendina)

"Paragono la vita umana a una Grande Casa con molte Dimore, due sole delle quali posso descrivere, perché le porte delle altre sono ancora chiuse per me. La prima Stanza in cui entriamo la chiamerò la Camera dell'infanzia, o dell'Incoscienza, dove restiamo finchè non cominciamo a pensare. Rimaniamo lì a lungo, e nonostante le porte della seconda Stanza siano aperte, e abbiano una apparenza invitante, non ci curiamo affatto di affrettarci; ma vi siamo impercettibilmente portati dal destarsi in noi del pensiero; appena entriamo in questa seconda Stanza che chiamerò la Stanza del Pensiero-Fanciullo, la luce e l'aria ci inebriano e non vediamo che delizie e meraviglie, e pensiamo di intrattenerci lì pur sempre felici".

John Keats

( da "Lettere sulla poesia")

Introduzione

Prima ancora di "incominciare a pensare", e di poter tentare di aprire le molte porte buie dell'opera di W.R.Bion é utile volgere un po' lo sguardo a quella "prima Stanza" di cui parla Keats, ed entrare con passo felpato nella "Camera dell'Infanzia".

Infatti, il percorso che qui ci accingiamo a intraprendere vuole ripercorrere le tappe più importanti ed essenziali del lavoro di Bion con i gruppi. Per fare questo pensiamo sia indispensabile andare alle origini, risalire il fiume della memoria e toccare lievemente "tutte le cose belle (che) lo commuovevano fino alle lacrime, sia che fosse poesia, musica, pittura, scultura, o che fosse il paesaggio di Norfolk, i suoi uccelli marini e le sue allodole" (Bion F., 1981) per poter approdare alle sue "esperienze nei gruppi".

Pertanto questa ricerca delle origini, per così dire, cercherà di delineare una fisionomia del "primo Bion", andando a ricercare le fonti del pensiero bioniano che poi lo hanno condotto alle teorizzazioni sui gruppi.

Negli anni '40 Wilfred R. Bion fece delle scoperte molto importanti nel campo della psicologia sociale dei gruppi, settore che in seguito abbandonò per dedicarsi ad un argomento a lui più caro: le ricerche psicoanalitiche sulla schizofrenia. Nonostante questo interesse sia durato solo alcuni anni, la creatività del suo approccio ha avuto notevoli effetti sugli sviluppi successivi in questo campo (1).

Le idee di Bion sulla psicologia dei gruppi sono esposte nelle 9 comunicazioni, da lui scritte tra il 1943 e il 1952 e raccolte infine in un unico volume Experiences in group and other papers nel 1961 dalle Tavistock Publications di Londra e tradotto in italiano nel 1971 da Sergio Muscetta per conto dell'editore Armando di Roma con il titolo semplificato di Esperienze nei gruppi.

Esperienze nei gruppi viene spesso considerato come un prodotto unitario e non come una raccolta di saggi, scritti in condizioni volta per volta assai diverse tra loro. Le esperienze di Bion con i processi di gruppo hanno avuto inizio in un contesto particolare: durante la seconda guerra mondiale egli si trovò a dover dirigere il reparto di riadattamento di un ospedale psichiatrico militare. Qui affrontò sia problemi di ristrutturazione del reparto che obiettivi più propriamente terapeutici; l'esperienza di terapia di gruppo continuò poi in altri contesti, e gli consentì di formulare alcune considerazioni circa la dinamica di gruppo.

E' perciò che, in tale prospettiva, partiremo dall'individuo ma tenendo sempre in mente il contesto in cui il singolo si muove, nei suoi rapporti duali e di gruppo, prendendo in prestito da Bion stesso il metodo della "visione binoculare" dell'individuo, dove "i fenomeni mentali presentano costantemente un doppio aspetto o una doppia faccia, ciascuna delle quali si manifesta nei due campi opposti, ed al tempo stesso collegati, delle relazioni individuali e delle relazioni di gruppo" (Corrao, 1971, pag. 9).

Tra la ricerca della verità e quella della conoscenza, Bion sembra andare a braccetto tra Edipo e la Sfinge, ponendo continuamente enigmi sull'uomo e sulla ricerca psicoanalitica, che non necessariamente portano a delle risposte, ma forse creano ad libitum ulteriori enigmi che altri, in futuro, forse potranno risolvere. E' certo che per Bion, prendendo a prestito una frase di M. Blanchot, "la risposta è l'infelicità della domanda", anzi per lui "la uccide".

Il primo Bion

Dipanare la matassa e seguire il filo che porta Bion ad occuparsi dei gruppi significa indubbiamente indagare le sue vicende personali, dove per vicende personali qui si vuole intendere sia l'aspetto concreto e realistico in cui si svolgono i primi esperimenti sui gruppi, durante le due guerre mondiali, sia l'aspetto legato all'immaginazione del mondo interno del bambino Wilfred così come viene formandosi all'interno di quel primo gruppo di appartenenza che è la sua famiglia d'origine. I due aspetti sono costantemente interdipendenti e interconnessi, dove il primo aspetto porta al secondo e quest'ultimo al primo, in un gioco di rimandi che accompagnerà tutta la vita di Bion.

Partiremo dall'ultimo aspetto, quello dell'immaginario collettivo in cui il piccolo Wilfred era inserito. Se ogni famiglia può essere connotata per la sua valenza trigenerazionale, - e oggi è un dato scientifico riconosciuto dalla maggioranza degli studiosi della famiglia e non -, che dire di quella di Bion? In apertura al volume di W.R.Bion The long week-end (1982) appare lo stemma di famiglia dei Bion e raffigura un cigno con una scritta in latino "Nisi dominus frustra" ("Senza Dio tutto è inutile"). Ora, i rapporti di Bion con la poesia non sono un mistero per nessuno, tanto che lo stesso Bion aveva approntato un progetto non portato a termine purtroppo, di cui esiste solo un'introduzione, di un'antologia di poesia ad uso degli psicoanalisti ("Ricorro ai poeti" - egli diceva - "perché mi sembra che essi dicano qualcosa in un modo che è al di là dei miei poteri e che pure è tale che io stesso sceglierei, se ne avessi la capacità") (Bion W.R., 1982) ma che tali rapporti siano inscritti in maniera trigenerazionale, questo forse va approfondito ulteriormente.

Infatti perché la famiglia dei Bion avrebbe scelto il cigno come simbolo del proprio stemma? Probabilmente una risposta la si può rintracciare nel mito che vede questo uccello in rapporto ad Apollo. Per quanto riguarda Apollo è forse utile ricordare che "è anche il dio della musica e della poesia. In questa funzione è rappresentato con una lira in mano, e circondato dalle nove muse figlie di Giove e Mnemosine, o Memoria, una dei Titani... E' anche il dio della medicina" (Baldwin).

Per quel che riguarda il rapporto dei cigni col dio Apollo, leggiamo in Plutarco: "Apollo Pizio per amore della musica si diletta al canto dei cigni... E ad Apollo stesso noi crediamo che siano cari i corvi, i cigni...", e ancora in Callimaco:"I cigni erano sacri ad Apollo per la dolcezza del loro canto, e avevano assistito alla sua nascita nell'isola di Delo", oppure ancora in Saffo:"Essi guidavano il cocchio del dio nel suo viaggio annuale al paese degli Iperborei" (citati in Plutarco, 1983).

Questo per dire che i rapporti di Bion con la poesia e i rimandi di quest'ultima nella sua opera, sono antichi, e probabilmente hanno a che fare con i primissimi ricordi che Bion bambino ha avuto nel corso dei primi otto anni della sua vita. Leggiamo in Bion:"Per ognuno di noi, il mondo in cui siamo nati è popolato di individui (l'esempio più evidente sono i nostri genitori) che portano con sè una lunga storia. Noi iniziamo a metˆ della storia. Proprio nel momento in cui noi diventiamo partecipi alla nostra storia, essa è in una fase piuttosto abbondantemente avanzata. Mi sono impegnato a continuarla partendo da quel punto" (Bion, 1975).

Questo impegno a "continuare la storia" ci fa vedere un Bion immerso in una progettualità che sembra andare al di là di una volontà che lo investe come singolo individuo che ha una crescita ontogenetica, ma che abbraccia un orizzonte più vasto in senso storico e mitico. Infatti leggiamo in F.Corrao e C.Neri (1981, pag. 1) :"La considerazione delle vestigia del passato appare in Bion non archeologica, non memoriale, ma bensì storica: cioé basata sulla costante riattualizzazione del passato nel presente. Sia che si tratti di momenti e strutture classificabili in termini ontogenetici (biogenetici, embriogenetici, neurogenetici). Sia che si tratti di realizzazioni od eventi classificabili in termini antropologici, culturologici, o noologici".

Quindi non deve sorprendere che Bion abbia amato e in seguito anche scelto una folta schiera di poeti (Milton, Virgilio, Shakespeare, Shelley, Keats) quasi a rappresentare una sua "gruppalità interna", per ispirarsi e costruire il suo impianto teorico e scientifico.

Il poeta che ha maggiormente influenzato il Bion maturo è stato certamente J. Keats, quanto mai altro, il poeta dell'immaginazione e del mito, dal quale Bion ha attinto un concetto così profondo come quello della "Negative Capability". Con John Keats aveva in comune anche una professione che entrambi non eserciteranno mai: infatti Keats studia come chirurgo e farmacista al Guy's Hospital, per abilitarsi nel 1816, e poi abbandonarla definitivamente per la poesia. Come Keats, che nel 1819 scriveva i poemetti gotici The Eve of St. Agnes e The Eve of St. Mark, così Bion amava i mistici occidentali come S. Giovanni della Croce, che era anche poeta, cantore delle "notti" dell'anima e della sua ascesa verso l'unione mistica.

Sembra esistere una sorta di identificazione-mimesi profonda con la figura di Keats, attratto forse dai temi della poesia di quest'ultimo, che amplificano il mondo interno di Bion, quando il poeta "si interroga sulla formazione dell'anima e sugli schemi di redenzione zoroastriani, cristiani e indù" (Keats, 1819). Keats allora sembra rappresentare la culla dove è contenuta tutta intera la sua "memoria" e tutto il suo "desiderio", si potrebbe quasi dire che rappresentano i suoi "basic assumptions", gli assunti di base originari.

Prima separazione e "catastrofe"

A otto anni il piccolo Wilfred è costretto ad abbandonare l'Eden, la sua città natale Mathura, regno di Krishna, in cui ha appreso indubbiamente la sua capacità di rêverie. Quella capacità che G. Bachelard (1972, pag. 73) definisce come "La situazione in cui l'Io, dimentico della sua storia contingente, lascia errare il proprio spirito e gode in tal modo di una libertà simile a quella del sonno, in rapporto al quale la rêverie indica tuttavia un fenomeno della veglia e non del sonno".

Il piccolo bambino si vede privato del nutrimento vitale a lui necessario, e in questo senso si può dire che in questa "perdita di seno" il Bion di otto anni subisce una delle sue prime "catastrofi", la separazione dalla culla naturale che lo vide nascere: l'India per l'Inghilterra (Blèandonu, 1993). E' qui che si situa il primo aprirsi del piccolo al mondo, questa cacciata dall'Eden, gli permetterˆ di accedere alla conoscenza ("Nessun seno, quindi un pensiero", dirà più tardi Bion) (1962a).

L. Ancona a tale proposito così riflette: "(Per Bion) la conoscenza è intrisa di sofferenza; inizia da esperienze emotive, in relazione con l'assenza dell'oggetto e si costruisce faticosamente in un apprendimento che corre continuamente sull'orlo della "catastrofe": apprendere significa infatti mutare e ogni cangiamento introduce una crisi, sia perchè determina una sovversione dell'ordine delle cose sia perchè appare in forma brusca e violenta" (Ancona, 1981, pag. 80).

A questo punto ci sembra importante utilizzare le dichiarazioni riportate da R. Gaddini (1981) a proposito del termine "catastrofe". Essa ci dice intanto che Bion non ha mai parlato di catastrofe, ma di "cambiamento catastrofico" e in particolare in Attenzione e Interpretazione, in Apprendere dall'Esperienza e soprattutto in Trasformazioni. Proseguendo nel suo discorso, R. Gaddini cita Oliver Lyth che le faceva notare come la parola "catastrophy" riteneva in inglese, in passato, un significato evolutivo, di cambiamento (di una cosa in un'altra, di uno stato in un altro): dopodichè, la situazione non sarˆ mai più come prima. Di diverso avviso sembra essere la Tustin, sempre citata da R.Gaddini, che usa il termine "catastrofe" nel senso di "disastro", di trauma che preveniva o distorceva la crescita psicologica. In definitiva il realizzare, da parte del bambino, che quella parte della madre che egli aveva ritenuto essere parte del proprio corpo, non era in verità tale, è un trauma, il trauma per eccellenza.

Quanto dovette essere dolorosa la separazione dalla Madre-Eden, questo vero e proprio sradicamento, questo essere espropriato della sua rverie, dei suoi sogni ancora troppo vivi, lo possiamo capire in un passo dello stesso Bion, in cui ci rivela tutta la sua paura ad affrontare e a "reggere" la presenza di un gruppo, quello della "Public School", dove fu quasi scaraventato, dal sole dell'India alle nebbie dell'Inghilterra. Leggiamo in La lunga attesa (1982): "...Nessuno conosceva quella tremenda paura; nessuno poteva sapere che cosa volesse dire, nessuno poteva sapere che esperienze spaventose fossero state quella prima notte alla Scuola preparatoria... Oh, no, basta! Esattamente: basta. Mai più; no, mai, mai più".

Con molta probabilità il piccolo Bion attraverso questa "tremenda" separazione non aveva perduto solo il suo Eden mitico, ma anche l'onnipotenza legata al suo sentirsi "individuo eccezionale" (2).

Il sistema protomentale

L’esperienza della perdita dell'onnipotenza è fondamentale per comprendere quale importanza abbia avuto per le future teorizzazioni sui gruppi di Bion. Basti citare a tale proposito solo un passo tratto da Attenzione e Interpretazione (1970): "Il riconoscimento da parte dell'individuo dell'abisso esistente tra la propria visione di sé onnipotente e la propria visione di sé come comune essere mortale va realizzato sia come un risultato di un compito svolto dal gruppo, sia nell'analisi individuale".

L'abisso nel quale sembra poter sprofondare il piccolo Wilfred è simile anche alla mancanza di contenimento, e relativamente alle prime fasi di sviluppo dei bambini è "in rapporto con la funzione nutritiva della madre", che ricorda la "holding situation" di Winnicott, nonché il contenere le evacuazioni (del bambino) che altrimenti traboccherebbero. E tutto questo ha ancora molto a che vedere con la rêverie quando Bion afferma: "Rêverie è un termine applicabile a contenuti di ogni genere o quasi, ma è mia intenzione riservarlo solo a quelli impregnati di amore e di odio: in questo senso ristretto "rêverie" sta a designare lo stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli "oggetti" provenienti dall'oggetto amato, quello stato cioè capace di recepire le identificazioni proiettive del bambino, indipendentemente dal fatto se costui le avverta come buone o come cattive. In conclusione la rêverie è uno dei fattori della funzione alfa della madre" (Bion, 1962b).

A questo punto si affaccia alla nostra mente un'ipotesi, e cioé che Bion, a un certo punto "cruciale" della sua evoluzione come individuo e successivamente come psicoanalista, abbia trovato e cercato nel gruppo, quel "contenimento", quella funzione alfa che probabilmente la madre reale non gli ha potuto fornire. Il gruppo, si potrebbe pensare, è stato per Bion quello che per il bambino piccolo è la madre; il gruppo è un sostituto materno, un "sistema protomentale" a cui potersi aggrappare.

Naturalmente qui non si vuole affermare che "il gruppo" sia un "sintomo" sostitutivo della madre tout-court, ma semplicemente si vuole mettere in evidenza come si tratti più di un "processo evolutivo" avente le sue origini in ciò che Bion (1961) definisce "ansie primitive di relazione con oggetti parziali" che sarebbero "le fonti principali di ogni comportamento di gruppo".

In questo contesto è bene specificare che il "sistema protomentale" fa riferimento agli assunti di base, che deriverebbero pertanto, secondo Bion, da una matrice comune appunto "protomentale". Laplanche e Pontalis (1967) si chiedono in che cosa consista la sostituzione (l'"Ersatz") e ne descrivono due accezioni, una "nel quadro della teoria economica della libido, come sostituzione di un soddisfacimento, legato a una riduzione delle tensioni, mediante un altro soddisfacimento. Ma questa sostituzione", proseguono gli autori, "non può essere compresa in chiave puramente quantitativa; la psicoanalisi infatti mostra che esistono legami associativi tra il sintomo e ciò a cui si sostituisce: Ersatz assume allora il senso di sostituzione simbolica, di risultato dello spostamento e della condensazione...".

La scoperta del "livello protomentale" porta Bion a considerare gli stati emotivi come precedenti gli assunti di base e seguono "alcuni fenomeni protomentali dei quali è l'espressione", considerando il sistema protomentale come un contenitore. Afferma Bion (1961): "Io rappresento dunque il sistema protomentale come qualcosa in cui il fisico e lo psicologico o mentale si trovano in uno stato indifferenziato. E' da questa matrice che nascono i fenomeni che in un primo momento appaiono (a livello psicologico e alla luce di un'indagine psicologica) come sentimenti distinti, correlati tra loro solo tenuamente. E' da quella matrice che hanno origine gli stati emotivi propri di un assunto di base che rafforzano, pervadono e, in alcune occasioni, dominano la vita mentale del gruppo. Dato che si tratta di un livello in cui il fisico e il mentale sono indifferenziati, si capisce perché, quando da questo prende origine un sentimento di angoscia, esso può manifestarsi tanto in forma fisica che in forma psicologica".

Oltretutto, suggerisce Bion (1961), "esistono dei prototipi dei tre assunti di base" nel sistema protomentale, "ognuno dei quali esiste in funzione dell'appartenenza dell'individuo al gruppo e si presenta come un tutto unico in cui nessuna parte può essere separata dal resto".

Quindi, ci dice Bion esistono degli assunti di base che restano inattivi mentre altri sono operanti. Questo vuol dire che gli assunti di base inattivi restano ancorati al sistema protomentale, e "se il gruppo razionale è permeato dagli stati emotivi associati all'assunto di base di dipendenza, gli assunti di base attacco-fuga e accoppiamento non possono superare i limiti della fase protomentale" (Bion, 1961).

Per fare un lavoro di sintesi e comprendere meglio il "processo evolutivo" possiamo vedere come esistono:

- una Matrice Protomentale, generatrice dei fenomeni protomentali;

- i Fenomeni Protomentali, di cui gli stati emotivi sono l'espressione;

- gli Stati Emotivi Liberi, non legati tra loro, ma "solo tenuamente correlati".

Dobbiamo aggiungere che i fenomeni protomentali sono osservabili psicologicamente sotto forma di "sentimenti distinti" di paura, di sicurezza, di depressione, di sessualità...

L'introduzione del concetto di "sistema protomentale" pone anche una svolta nel considerare il "conflitto", e dove prima prevaleva una dimensione interpsichica, in cui il conflitto era tra la "mentalità individuale" e la "mentalità di gruppo", ora prevale o è affiancata dalla dimensione intra-psichica. Ma naturalmente il dissidio tra "l'individualità" e la "gruppalità" rimane (3), e infatti afferma Bion (1961): "secondo me non si può capire la sfera degli avvenimenti protomentali riferendosi all'individuo soltanto ed è invece negli individui riuniti in gruppo che si trova il terreno adatto a capire la dinamica dei fenomeni protomentali. Lo stadio protomentale dell'individuo è solo una parte del sistema protomentale, perchè i fenomeni protomentali sono funzione del gruppo e perciò devono essere studiati in questa sede".

Conclusione

Prendendo in considerazione diversi punti di vista (psicoanalitico, storico, epistemologico, religioso), negli ultimi capitoli di Attenzione e interpretazione, Bion traccia una vasta allegoria dello sviluppo dell'uomo e del gruppo sociale. Per l'autore la crescita del gruppo è strettamente legata all'acquisizione della capacità di pensiero ed al suo contenimento. Pur non fornendo una descrizione dettagliata di tale sviluppo, nel disegno complessivo tratteggiato da Bion, sembra possibile individuare tre stadi evolutivi: "stadio primitivo o della psicologia omerica", "stadio della discriminazione", "stadio dell'essere all'unisono con O o del ritorno all'Eroe" (Neri, 1994) (4).

In questa condizione il gruppo che "sperimenta" il protomentale, si trova in una fase di "stadio primitivo", in cui non è ancora definita la strada verso la discriminazione. Lo "stadio primitivo" del gruppo è definito da Bion (1970) come "uno stadio dello sviluppo mentale in cui la distinzione tra i membri, l'analista e l'attesa messianica è mal definita e in cui nella psiche individuale la differenziazione tra Io e Super-io, tra Io e Ideale dell'Io è scarsamente riconosciuta".

Solo in un secondo momento i membri del gruppo si individualizzano e attraverso "le prime forme di sofferenza mentale... non sono più considerabili come parti e controparti di un unico "gruppo-evento" (D. Meltzer, 1980).

Ed è esattamente in questo momento, come affermano C. Neri (1975) e F. Fornari (1981) "che gli assunti di base, presenti nell'individuo come corrispettivi della sua qualità animale-sociale, si possono manifestare sotto forma di aggregazione difensiva del gruppo che attivamente resiste al cambiamento".

Oltretutto qui ci troviamo di fronte a due concetti basilari delle teorizzazioni di Bion (sui gruppi): da una parte abbiamo (K) e dall'altra (O) (5). Ovvero gli assunti di base acquistano senso se li vediamo sia come effetto del "pensiero che conosce" (K) quanto un effetto dell'evolversi della realtà stessa del gruppo (evoluzione in O). Tale stato di cose può portare verso un azzeramento delle capacità di pensiero e di giudizio, oppure verso un "contenimento ed una elaborazione", oppure ancora "che i membri del gruppo reagiscano all'avvicinarsi al campo di O con il rafforzarsi, distaccarsi ed andare incontro ad un accrescimento canceroso delle quote "surrenaliche-attacco-fuga", "gonadiche-accoppiamento", "prolattiniche-dipendenza" del sistema protomentale del gruppo" (Bion, 1961).

Ancora una volta Bion ci suggerisce che malgrado l'esperienza del protomentale passi comunque attraverso un corpo fisico dell'individuo, in quello spazio tra il mentale e lo psicologico, è solo attraverso il gruppo che è possibile evidenziare e individuare fenomeni che altrimenti passerebbero inosservati. Come fa giustamente osservare F. Marcoli (1988) "Bion si pone senza esitazioni sulla via di concepire l'individuo come attivo portatore di una sorta di gruppo mentale interno (alimentato dai "fenomeni protomentali") che, nella sua forma più elementare si manifesta per mezzo del linguaggio universale, circolare e pre-simbolico degli assunti di base...".

Un'ultima considerazione va fatta a proposito degli assunti di base in rapporto al "livello protomentale": infatti tale livello è anche il "luogo in cui vengono ad essere temporaneamente relegati i due assunti di base che transitoriamente sono inoperanti, mentre è attivo, associato al "gruppo di lavoro" il terzo di essi" (Marcoli, 1988).

Così appare evidente che Bion sembri sottolineare l'esistenza di due differenti livelli mentali, di cui uno "manifesto" e l'altro "latente": un livello mentale "manifesto" combinato con un assunto di base e un secondo livello mentale "latente" caratterizzato dal sistema protomentale che contiene a sua volta i due restanti assunti di base. Così, ultimando il nostro discorso, si esprime Bion (1961): "Ho proposto il concetto di sistema proto-mentale nel tentativo di spiegare la solidità con cui sembrano saldati tra di loro gli stati emotivi di un assunto di base e nel contempo per disporre di un concetto che spieghi dove si trovano gli assunti di base inoperanti, che senza dubbio vengono sentiti come potenzialmente attivi e debbono quindi essere localizzati "da qualche parte" .

Note

(1) Il pensiero di Bion sui gruppi ha portato: 1) allo sviluppo di una tradizione di terapia di gruppo, nota come "stile Tavistock"; 2) alla creazione di una forma di pratica psichiatrica nota come "comunità terapeutica"; 3) alla formazione dell'Istituto Tavistock, che svolge attività di ricerca nel campo dello sviluppo delle organizzazioni; 4) all'introduzione di un metodo nuovo, tuttora in uso, di selezione degli ufficiali nelle forze armate; 5) alla comprensione della psicologia sociale dei gruppi allargati; 6) allo sviluppo di metodi di insegnamento nei gruppi (Hinshelwood, 1989).

(2) L'idea di individuo eccezionale è di fatto un modo con cui Bion rappresenta l'analista ed il suo operare nel setting sia duale che di gruppo (Corrao e Neri, 1981). In Esperienze nei gruppi (1961) Bion evidenzia due diversi stati mentali di gruppo (la cui esistenza parallela porta a dei conflitti), ed in relazione a ciascuno di essi pone due figure di individuo eccezionale: il "leader del gruppo in assunto di base" e il "leader del gruppo di lavoro" (Calderone, 1994). "Se il primo è determinato in base all'intensità dei processi patologici del gruppo ed alla necessità della loro manifestazione (esso è impersonato dall'individuo più malato del gruppo); il secondo è invece determinato dai processi cognitivi del gruppo e dalla tendenza alla loro realizzazione" (Corrao e Neri, 1981, pag. 3). Quindi se facciamo riferimento al gruppo analitico, i partecipanti saranno divisi in due distinti assetti mentali: di assunto di base (posizione regressiva) e di gruppo di lavoro (posizione cooperativa-critica). L'analista dovrà riuscire a contenere la presenza dei due stati mentali: il leader del gruppo analitico si troverà nella condizione di dover essere riconosciuto conduttore del gruppo, evitando nello stesso tempo di diventare il leader dell'assunto di base dominante (Neri e Nicolosi, 1983). In Attenzione e interpretazione (1970) viene introdotta la figura di "analista-mistico" che permette di superare la rigida contrapposizione tra leader del gruppo in assunto di base e leader del gruppo di lavoro. Infatti, se da una parte il mistico ricopre un ruolo simile a quello del leader del gruppo di lavoro, poichè come questo è in rapporto col gruppo e ricerca la verità, d'altra parte egli si pone all'unisono ed accoglie in sè, trasformandole, le istanze emotive primitive proprie dell'assunto di base. "Facendo uso del modello contenitore-contenuto, Bion può mostrare come lo psicoanalista, a differenza del medico, non sia solo spettatore (seppur partecipe), ma invece è (e diviene) quelle stesse forze primordiali che sono proprie del paziente psicotico, del genio, del gruppo in assunto di base" (Corrao e Neri, 1981, pag. 3). E' infine nei Seminari romani (1978) che si delinea l'ultimo aspetto della funzione analitica efficace. La concezione dell'analista come "artista" ed in particolar modo come "artista-interno" si configura in quella di un individuo capace di accogliere le istanze del gruppo, di elaborarle e riproporle in una "comunicazione efficace". Si assiste quindi ad un superamento di quella che era la funzione analitica del mistico di accogliere la verità: l'artista realizza la sua funzione analitica attraverso una trasformazione ed una comunicazione efficace, cioé creativa, della verità (Calderone, 1994). L'aspetto artistico della funzione analitica appare strettamente legato al processo creativo. L'"atto creativo" (porsi all'unisono con O) deve essere preceduto da una contrazione di ciò che è essenziale e dall'eliminazione di ciò che è contingente: è necessario "denudare la nostra mente di memoria e desiderio in modo da ridurre al minimo il rumore fatto dal nostro apprendimento, dal nostro training, dalla nostra esperienza passata" (Bion, 1978, pag. 54). Mentre il mistico si oppone alla tradizione, l'artista si confronta con essa, la riassume e la comunica efficacemente. Dalla ridefinizione di individuo eccezionale nei termini di artista interno nasce una nuova elaborazione del concetto di "verità" accostata molto di più ai "pensieri selvaggi" che al sapere. Riferendoci alle parole di Bion "questi pensieri senza pensatore, pensieri vagabondi, sono anche potenzialmente pensieri selvaggi. E a nessuno piace dare una casa al pensiero selvaggio per poi sentirsi dire da qualcuno che quel pensiero era suo. A noi tutti piace che i nostri pensieri siano addomesticati....pensieri razionali" (Bion, 1978, pag. 61). Il leader, il mistico e l'artista esplicano tre funzioni diverse (non antitetiche) rispetto alla Verità: "l'analista non deve essere soltanto in grado di promuovere la ricerca della verità (il leader) ed essere all'unisono con essa (il mistico), ma deve poterla comunicare efficacemente (l'artista)" (Corrao e Neri, 1981, pag. 3).

(3) Bion, come già Freud, esclude un istinto di gruppo o una psicologia di gruppo separata dalla psicologia individuale. L'autore sostiene che nessun individuo, per quanto isolato, possa essere marginale rispetto a un gruppo, o mancare di manifestazioni attive di psicologia di gruppo; infatti egli afferma che l'uomo è un animale gregario, ed in quanto tale "non può fare a meno di esser membro di un gruppo anche quando la sua appartenenza al gruppo consiste nel comportarsi in modo da far credere che egli non appartiene a nessun gruppo" (Bion, 1961, p. 141). Secondo Bion l'individuo in un gruppo torna ad usare, a causa di una forte regressione, dei meccanismi mentali primitivi attraverso i quali perde la propria individualità e accetta di far parte del gruppo. Perchè si possa parlare di gruppo gli individui che lo compongono devono sperimentare questa regressione, che si concretizza nella consapevolezza che il gruppo esista come qualcosa di diverso da un semplice aggregato di individui. A questo punto arriviamo alla definizione di "gruppo", che per Bion rappresenta "un insieme di persone che si trovino tutte allo stesso grado di regressione" (Bion, 1961, pag. 152). Quando un gruppo di persone si riunisce per realizzare un compito si sviluppano due distinte tendenze: da una parte si è diretti a realizzare il compito, dall'altra ci si oppone ad esso. Il lavoro è quindi ostacolato da un'attività più regressiva e primaria. La vita mentale del gruppo è sempre assai complessa: da una parte essa è sicuramente collegata alla realtà (infatti ogni gruppo di persone si riunisce per "fare qualcosa", e questo rappresenta l'aspetto del funzionamento mentale del gruppo che riguarda l'obiettivo cosciente, indicato da Bion con il termine "gruppo di lavoro"), dall'altra parte all'interno del gruppo compaiono delle tendenze emotive molto forti, che possono favorire o ostacolare gli individui nel raggiungimento dell'obiettivo. Essi sembrano comportarsi come se avessero degli "assunti di base" in comune (Grinberg, Sor, Tabak de Bianchedi, 1991).

(4) Lo "stadio primitivo" rappresenta il livello originario dell'esperienza collettiva. Nella mente del gruppo è presente l'attesa messianica di una scoperta o di un mutamento che si mostra come una sensazione diffusa di effervescenza. Internamente al gruppo non è ancora del tutto stabilita la distinzione tra i membri e colui che successivamente sarà riconosciuto come messia. Di conseguenza nella psiche individuale è scarsamente differenziato l'Io dall'Ideale dell'Io. Sembra quasi che nel gruppo regni l'uguaglianza mentre in realtà manca la capacità di discriminazione: "nel primo stadio non vi è confronto reale tra il dio e l'uomo, perché una tale distinzione non esiste realmente" (Bion, 1970, pag. 105). Tale stadio è anche definito della psicologia omerica proprio perché il messia, come gli dei dell'Iliade e dell'Odissea, condivide le passioni umane (invidia, rancore...), ed i membri del gruppo si comportano come se fossero dotati di qualità proprie degli semidei. Dallo stadio primitivo si evolve verso lo "stadio della discriminazione" grazie a due ordini di fenomeni: l'aumento delle aspettative e l'inizio della discriminazione. Le aspettative dei membri si intensificano e l'attesa messianica si canalizza nella figura del messia. Il processo di separazione e discriminazione è dovuto sia al maturare delle capacità individuali che all'azione dell'Istituzione. La rottura della condizione di indifferenziazione fusionale che caratterizza la transizione dal primo al secondo stadio porta l'individuo ad una condizione di pericolo di disintegrazione o di collasso della personalità. Una risposta a questa condizione di pericolo è data dall'emergere di onnipotenza e onniscenza. Tali qualità possono essere investite dall'individuo su un'entità esterna ad esso (es. il gruppo, il messia), quest'ultima avrà la funzione di difendere l'individuo dall'ansia di destrutturazione e di fargli accettare la sua vulnerabilità. Nell'impossibilità di tale investimento, l'individuo si auto-attribuisce onniscenza e onnipotenza intralciando in questo modo lo sviluppo di reali capacità conoscitive e della creatività. L'Istituzione ricopre alcune funzioni fondamentali nel processo di separazione e discriminazione: oltre che stabilire una distinzione tra messia e uomini comuni, contiene le spinte frammentanti che seguono il processo evolutivo, mantiene la continuità del gruppo vegliando sulla tradizione, ed infine raccoglie le nuove idee per renderle accessibili agli uomini comuni. Nel terzo livello ("stadio dell'essere all'unisono con O o del ritorno all'Eroe") "l'individuo, o almeno un particolare individuo, il mistico, ha bisogno di riasserire un'esperienza diretta di dio della quale egli è stato ed è depauperato dal gruppo istituzionalizzato" (Bion, 1970, pag. 105). Si verifica quindi una sorta di inversione di tendenza, e in questo caso porsi all'unisono con la divinità ha per il mistico il fine di espandere la realtà. Il suo impatto evolutivo e distruttivo è comunque simile a quello di un nuovo ciclo con i rispettivi stadi.

(5) Il funzionamento del gruppo viene ora indagato alla luce del concetto di "evoluzione in O". Alle "trasformazioni da O a K", Bion aggiunge l'evoluzione in O (o "trasformazioni da K a O"). Mentre le trasformazioni in K implicano uno sviluppo della conoscenza di ciò che è già effettivo, evoluto e differenziato, le trasformazioni in O sono modalità di funzionamento mentale connesse ad esperienze di fatti sconosciuti e che in parte ancora devono accadere, quindi non rappresentabili né comunicabili immediatamente, ma dotati di una grossa carica emotiva e di un notevole potenziale di verità (Fadda, 1994). Con l'introduzione del concetto di evoluzione in O Bion vuole anche indicare che il vero cambiamento non si esaurisce nella conoscenza ma implica uno sviluppo più complessivo.

Bibliografia

Ancona L. (1981), La relazione di campo tra W.R. Bion e Freud, in P. Bion Talamo, C. Neri (a cura di), Rivista di Psicoanalisi-Numero Monografico dedicato a Wilfred R. Bion, Il Pensiero Scientifico, Roma.

Bachelard G. (1972), La poetica della reverie, Bari, Dedalo.

Bion W.R. (1982) "La lunga attesa. Autobiografia 1897-1919", Astrolabio, Roma.

Bion F. (1981), in: Memorial Meeting for Dr. Wilfred Bion. Held by the British Psycho-Analytical Society on 20 February 1980. Int. Rev. Psycho-Anal., 8, 3: 1-14.

Bion W.R. (ed. or. 1961); trad. it. Esperienze nei gruppi, Armando, Roma 1971.

Bion W.R. (1962a), A Theory of Thinking, Int. Journal Psycho-Anal., 43, 5: 306-310.

Bion W.R. (ed. or. 1962b), trad. it. Apprendere dall'esperienza, Armando, Roma, 1972.

Bion W.R. (ed. or. 1970), trad. it. Attenzione e interpretazione, Armando, Roma, 1973.

Bion W.R. (1975), A memoir of the future, book one: The dream, Imago Editora, Rio de Janeiro.

Bion W.R. (1978), Seminari italiani, Borla, Roma.

Bléandonu G. (1993), Wilfred R. Bion. La vita e l’opera. 1897-1979, Borla, Roma.

Calderone A. (1994), L'evoluzione dell'idea di individuo eccezionale, in C. Neri, A. Correale, P. Fadda (a cura di), Letture Bioniane, Borla, Roma.

Corrao F. (1971), Introduzione al volume di W. R. Bion Esperienze nei gruppi, Armando, Roma.

Corrao F., Neri C. (1981), Introduzione, in P. Bion Talamo, C. Neri (a cura di), Rivista di Psicoanalisi-Numero Monografico dedicato a Wilfred R. Bion, Il Pensiero Scientifico, Roma.

Fadda P. (1994), Evoluzione in O e turbolenza psicologica, in C. Neri, A. Correale, P. Fadda (a cura di), Letture Bioniane, Borla, Roma.

Fornari F. (1981), Da Freud a Bion, Riv. Psichoanal., XXVII, 3-4.

Gaddini R. (1981), Il cambiamento catastrofico di W.R. Bion e il breackdown di D. Winnicott, Riv. di Psicoanal., XXVII, 3-4, pp. 599-609.

Grimberg L., Sor D., Tabak de Bianchedi E. (1991), Introduzione al pensiero di Bion, Cortina Editore, Milano.

Hinshelwood R.D. (ed. or. 1989); trad. it. Dizionario di psicoanalisi Kleiniana, Cortina Editore, Milano, 1990.

Keats J., Lettera diario a George e Georgiana, 14 febbraio-3 maggio 1819, II, pp. 317-369.

Laplanche J., Pontalis J.B. (ed. or. 1967), trad. it. Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza, Bari, 1981.

Marcoli F. (1988), Wilfred R. Bion e le "Esperienze nei gruppi", Armando, Roma.

Meltzer D. (1980), "Apparato protomentale e fenomeni soma-psicotici", (dattiloscritto), cit. in C. Neri, "Note sugli assunti di base in W.R. Bion", in "N. monografico dedicato a W.R. Bion", op. cit.

Neri C. (1975), Ipotesi bioniane sui piccoli gruppi, in Quadrangolo, Vol. I, N. 1.

Neri C., Nicolosi S. (1983), Lo psicoanalista tra assunti di base e gruppo di lavoro, in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, vol. VII, 13.

Neri C. (1994), L'impatto del pensiero sull'individuo e sul gruppo, in C. Neri, A. Correale, P. Fadda (a cura di), Letture Bioniane, Borla, Roma.

Plutarco, in Dialoghi delfici, Adelphi, 1983: Plutarco "L'E di Delfi", C.5; "Gli oracoli della Pizia", C.12, 400 A; . Callimaco, "Inno a Delo", 249; Saffo, fr. 208 Lobel-Page.


If you would like to get into touch with the Author of this paper to send comments or observations on it, please write to:
Se desidera entrare in contatto con l'Autore di questo lavoro per inviare commenti od osservazioni, scriva per favore a:

Elisabetta Atzori


©1997 - Copyright by Elisabetta Atzori and Antonio Rendina