E' ancora possibile la metapsicologia?

Il contributo di Bion alla teorizzazione psicoanalitica

Francesco Conrotto

 

D. Mi può dare un'idea di che cosa si tratta?

R. Psicoanalisi, credo

W. R. Bion Memoria del futuro, il sogno

Con la pubblicazione nel 1960 della Struttura della teoria psicoanalitica Rapaport portava a compimento il progetto a cui aveva lavorato per oltre un decennio di presentare il modello concettuale della psicoanalisi come un sistema assiomatico - deduttivo perfettamente integrato nella scienza.

In realtà, da tempo, le più brillanti intelligenze della Psicologia dell'Io, a partire da Hartmann, erano impegnate in questa direzione. Questo sforzo era culminato nella organizzazione a New York da parte di Sidney Hook (1959) del famoso Convegno interdisciplinare su Psicoanalisi e metodo scientifico.

In verità il successo di Rapaport e degli Psicologi dell'Io era stato ottenuto al prezzo di alcune significative asserzioni, segnatamente, che la psicodinamica fosse in sostanza una neurodinamica e che l'oggetto della psicoanalisi fosse il comportamento umano. Questo implicava che la psicoanalisi fosse una psicologia generale fondata su un modello neurodinamico. Hartmann e Rapaport sostenevano questa tesi appoggiandosi sulla ipotesi, difesa peraltro anche da Merton Gill, che il Progetto fosse una psiconeurologia.

Questo impianto concettuale poteva mantenere la sua coerenza soltanto se si era disposti ad identificare la realtà psichica con il comportamento latente e le pulsioni con le motivazioni.

Questi slittamenti concettuali consentivano di affermare che la psicoanalisi può attingere ed essere applicata sia ai fenomeni clinici che a quelli di laboratorio e può quindi sedere a pieno titolo tra le scienze.

Naturalmente tutto questo incontrava non poche difficoltà a partire dallo scarso o nullo interesse di Freud per la validazione sperimentale extraclinica delle sue teorie, il che la diceva lunga sulle sue idee circa lo statuto epistemologico della disciplina.

In verità l'impianto concettuale di Rapaport cominciò ben presto ad essere criticato proprio nella cerchia dei ricercatori a lui più vicini. Iniziarono Holt (1965) con la proposta di aggiornare i concetti della metapsicologia collegandoli alle moderne neuroscienze e poi Rubinstein (1965) e Peterfreund (1971) con il tentativo di sostituire i modelli della metapsicologia freudiana con le più recenti acquisizioni in termini di cibernetica e di teoria dell'informazione ma fu soprattutto la pubblicazione postuma, ad opera di Merton Gill e Leo Goldeberg, della Teoria Psicoanalitica di G. S. Klein (1976) che assestò il più duro colpo all'edificio rapaportiano. Klein negava ogni valore scientifico e rilevanza teorica alla metapsicologia e identificava la significatività scientifica della psicoanalisi nella sola teoria clinica. Paradossalmente, proprio l'obbedienza al dettato rapaportiano di costruire un modello rigorosamente scientifico della psicoanalisi e l'adesione alla sua tesi che la spiegazione metapsicologica fosse in realtà una spiegazione neurodinamica, avevano indotto Klein a differenziare radicalmente la metapsicologia dalla teoria clinica e a liquidare la prima enfatizzando la seconda. Ridotta ad essere soltanto una teoria clinica la psicoanalisi si trovava, ora, a dover rivolgere la sua attenzione alla ricerca dei fattori, degli scopi e delle motivazioni del comportamento rimanendo sul terreno della psicologia sperimentalmente verificabile.

Questa energica cura dimagrante comportava una drastica riduzione dell'importanza della sessualità infantile che pure Freud, nella prefazione alla edizione del 1920 dei Tre saggi , ricordava essere, tra le scoperte della psicoanalisi, quella che continuava a suscitare le maggiori resistenze. Il punto è che quando ci si riferisce alle esperienze vissute, alle motivazioni, al etc., inevitabilmente si fa riferimento a qualcosa che è più attinente alla coscienza che all'inconscio. Quindi lo sforzo intrapreso da Hartmann di fare della psicoanalisi una psicologia scientifica perfettamente accettabile ed integrabile nella psicologia accademica più che indurre il comportamentismo ad assorbire i principi fondamentali della psicoanalisi aveva trasformato quest'ultima in un comportamentismo mascherato.

La deriva hartmaniana - rapaportiana ha determinato l'aumento dell'interesse per l'osservazione diretta del bambino (Lichtenberg, Emde, Stern) ma il bambino osservato ha smesso di essere il bambino pulsionale legato al principio di piacere per diventare un bambino sociale alla ricerca di interazioni e di scambi derivante, magari, dal modello etologico di Bowlby e in accordo con la concezione epigenetica di Erikson (1950).

La psicoanalisi diviene così piuttosto una psicologia delle motivazioni (Lichtenberg 1989) e, mentre da una parte si sviluppa il concetto e la teoria del Sè (Kohut 1971), dall'altra i referenti teorici dell'operare psicoanalitico potranno diventare magari il linguaggio dell'azione di Schafer (1976) influenzato, quest'ultimo, dalla filosofia analitica (Wittgenstein, Austin, Ryle) ma il suo ideale, la totalità integrata della persona, ribalta totalmente la posizione di Freud circa l'alienazione fondamentale del discorso umano e la irriducibile frattura tra conscio e inconscio (Barratt 1978).

Come si vede, come sempre, la questione cruciale è quella dello statuto scientifico ed epistemologico della disciplina e va dato atto a Lacan di averlo intuito sin dai primi anni trenta quando, attraverso una rilettura di Spinoza, fondava la scientificità della psicoanalisi su una connessione tra processi fisici e processi psichici intesa come rapporto di traduzione. Più tardi, prima di soccombere alla egemonia del significante, grazie alla lezione di Kojève e di Koiré, affrontò la questione del soggetto umano e del suo decentramento articolando la scoperta freudiana dell'inconscio con il pensiero di Hegel colto nella lettura di Heidegger e della fenomenologia di Husserl (Rudinesco 1993).

In quegli anni questo sfondo filosofico costituì la base di una psicoanalisi fondata sulla scissione del soggetto (M. Klein, Lacan) che si contrapponeva alla psicoanalisi dell'Io (A. Freud, Hartmann, Kris, Lewenstein).

Fin dagli anni trenta si delinearono, dunque, i due modelli teorico - filosofici che avrebbero dominato l'universo psicoanalitico per tutto il secolo. Da una parte quello fondato sulla concezione dell'Io come struttura adattivo - regolatrice che, sebbene derivasse dall'Es, tendeva progressivamente ad autonomizzarsi in accordo con la realtà. L'essenziale di questo modello si conserverà, esaltando anzi le sue caratteristiche di fondo, anche dopo la crisi antimetapsicologica iniziata da G. S. Klein, fino ai recenti sviluppi della psicologia delle motivazioni e al moderno interazionismo. Ad esso si contrappose la concezione dell'Io come imago derivata dai precipitati identificatori della relazione con l'altro senza alcuna autonomia strutturale dall'Es a cui anzi viene necessariamente ricondotto.

Sebbene sia doveroso riconoscere a Lacan il merito di aver posto per primo la questione in termini teorico - filosofici e di aver proposto una posizione radicalmente antipsicologista bisogna tuttavia ricordare che il problema era nell'aria dagli anni venti dovendosi, sin da allora, affrontare la questione del significato epistemologico e filosofico della teoria strutturale e della relazione tra l'Io e l'Es.

Certamente un modello fondato sulla centralità dell'Io come istanza adattivo regolatrice è coerente con l'aspirazione a creare una disciplina il cui statuto epistemologico sia quello di una scienza naturale ma rappresenta una semplificazione che poi diventa, in realtà, un fraintendimento del complesso e articolato pensiero di Freud (1).

Forse soltanto oggi è possibile vedere con chiarezza come, dalla fine degli anni venti agli anni quaranta, sebbene il dibattito ruotasse apparentemente intorno al modello di sviluppo psichico, alla tecnica psicoanalitica e alle differenti concezioni dell'Io, la questione di fondo riguardava lo statuto scientifico ed epistemologico della psicoanalisi.

Melanie Klein e il suo gruppo, come non mancò di notare Lacan, avevano una concezione dell'Io piuttosto vicina alla sua. Infatti, sebbene ritenessero che l'Io era presente fin dalla nascita, pensavano che esso si strutturasse attraverso una serie di momenti identificatori in contrasto tra loro secondo le modalità della proiezione e della introiezione (identificazione proiettiva ed introiettiva).

La scarsa o nulla propensione della Klein per la speculazione pura che ha caratterizzato un po' l'insieme della psicoanalisi britannica, nonostante la presenza di alcune singole intelligenze particolarmente versate nelle questioni filosofiche come Money - Kyrle, non ha aiutato a che ci si rendesse pienamente conto delle implicazioni epistemologico - filosofiche delle rispettive teorie e quindi a comprendere la natura della posta in gioco nella contrapposizioni tra lei e A. Freud. Ciò che è mancato, a mio avviso, è stata la comprensione della natura epistemica del freudismo e quindi del significato della costruzione metapsicologica. Prova ne sia che Meltzer (1978), peraltro uno degli autori più sensibili alle questioni teoriche, nel presentare l'evoluzione del pensiero di Freud parlerà di scissione tra clinica e teoria e di evoluzione dal determinismo neurofisiologico alla prospettiva fenomenologica mancando, a mio avviso, clamorosamente, di cogliere l'idiosincrasia freudiana. Questo gli farà ritenere che Bion nel corso della sua opera si sia progressivamente liberato della metapsicologia freudiana fino a costruire un sistema di notazione e di comprensione dei fenomeni che avvengono nella stanza di analisi libero da una supposta zavorra scientista.

Personalmente ritengo che l'intera opera di Bion, e ciò diventa più chiaramente visibile a partire da Apprendere dall'esperienza (1962), attraversata come è dalla tensione e dalla costante attenzione a cogliere e ad esprimere l'inconscio, abbia un valore intrinsecamente metapsicologico. Certo il termine pensiero a cui egli spesso ricorre può apparire troppo generico per descrivere lo sforzo di rappresentare la realtà psichica nel linguaggio del processo secondario ma i concetti di elemento b e di elemento e di funzione a, in quanto rappresentazioni di processi psichici mediante modelli derivati dalle scienze, hanno lo stesso valore euristico e lo stesso statuto epistemologico dei concetti espressi nel settimo capitolo della Interpretazione dei sogni (1900). Il modello quasi matematico presentato negli Elementi della psicoanalisi (1963) è analogo al modello quasi neurofisiologico del Progetto (1895). Infatti il modello usato per costruire la "griglia", sebbene derivi dalla Tavola degli Elementi di Mendeleyeff, se ne distingue perchè quest'ultima serve a effettuare comparazioni tra pesi atomici e valenze mentre il primo è un sistema che serve a trasformare i pensieri.

Concordo con Meltzer (1978) quando afferma che Bion non si occupa nè delle teorie psicoanalitiche della personalità nè delle teorie della osservazione psicoanalitica delle personalità, infatti la crescita (Growth) di cui parla è quella delle capacità di formulazione mentale. A questo riguardo è bene chiarire il significato del termine genesi applicato all'asse verticale della griglia e i suoi rapporti con l'asse orizzontale a cui è attribuita la funzione uso. Il termine genesi sembra rimandare al criterio evolutivo (sviluppo psichico, crescita della mente, etc.) mentre il termine uso rimanda alla costruzione metapsicologica. Tuttavia nella griglia la teoria evolutiva non avrebbe senso se non come punto di vista genetico cioè come referente genetico per la costruzione metapsicologica. Le teorie psicoanalitiche delle sviluppo devono essere ritenute in questo contesto soltanto un modello di base, uno sfondo rappresentazionale dal quale costruire la rappresentazione dell'attività mentale detta psicoanalitica, ovvero la messa in forma dell'esperienza psichica nella situazione analitica. Pertanto sia l'asse verticale che quello orizzontale sono, in realtà, attinenti alla costruzione della rappresentazione metapsicologica, vale a dire al tentativo della mente di rappresentarsi le trasformazioni che in essa intervengono sotto la pressione della sua relazione con un'altra mente. Adottando il linguaggio di Bion direi che la rappresentazione delle proprie trasformazioni ha una funzione principalmente autocontenitiva, è una sorta di auto - reverie.

Bion, nel tentativo di descrivere un apparato per pensare i pensieri, ha costruito un apparato ipotetico capace di generare pensieri atti ad esprimere le esperienze emotivo-cognitive (contenitrici di significato) che si determinano nella stanza di analisi.

In questo la sua opera è analoga a quella di Freud che, partendo dall'intento di descrivere le modalità del lavoro onirico, è giunto a costruire la rappresentazione di un modello ipotetico di apparato psichico quale messa in forma della tensione tra processo primario e processo secondario.

Naturalmente non dobbiamo nasconderci l'esistenza di diversità culturali e di linguaggio che determinano delle concettualizzazioni, tra loro, difficilmente comparabili e confrontabili. Valga per tutte la questione se la rappresentazione metapsicologica intesa come spiegazione (Assoun 1993) debba essere ricondotta ad una trasformazione in K oppure, giacchè in quest'ultimo concetto vi è un riferimento a componenti intellettualistiche e razionalizzatrici di natura difensiva, se sia da intendere la spiegazione metapsicologica come una trasformazione in O (essere all'unisono). Ma in questo caso si sente un'aura di misticismo che sembra poco compatibile con il concetto di verità analitica così come è stata concepita da Freud (1937).

Forse, a questo riguardo, ci può essere d'aiuto far riferimento al segno F (Attenzione ed interpretazione 1970) inteso come coalescenza di diavolo, fede e autoaccecamento freudiano (Meltzer 1978).

Esso rappresenta quella capacità negativa, il raggio di buio di Keats, che è l'essenza, il catalizzatore della operazione metapsicologica. L'oscurità delle formulazioni bioniane rispetto a questo segno, che si collega alla necessità da lui affermata di inibire lo sviluppo della memoria e del desiderio, può forse essere in parte rischiarata dalla consapevolezza che ora abbiamo acquisita circa l'importanza e l'ubiquitarietà del lavoro del negativo (Green 1993) nella genesi del pensiero creativo. In ogni caso questo è un aspetto del processo del pensiero che rimanda alla cucina della strega di faustiana memoria, alla strega metapsicologia, al Phantasieren freudiano. Si potrebbe, dunque, supporre che il progressivo abbandono del vertice matematico a favore di quello mistico che si realizza in Attenzione ed interpretazione derivi dalla necessità di far fronte alla violenza dell'affetto e di introdurre un vertice capace di esprimere quest'ultima dimensione oltre a quella del significato. Il mistico, come la strega, è forse il vertice più adatto ad una piena messa in forma dell'esperienza emotiva, operazione, questa, metapsicologica per eccellenza. Non bisogna tuttavia dimenticare che sebbene, nei suoi scritti più tardi, Bion sembri slittare eccessivamente verso il misticismo pure non ha mai smesso di sostenere l'inconoscibilità dell'inconscio (O resta inconoscibile) e che il processo di conoscenza comporta una deformazione della verità. Infatti sebbene il mistico possa conoscere la verità non può comunicarla senza falsificarla almeno parzialmente.

Tutta la parte finale della sua opera è attraversata dal problema del rapporto tra la verità e la sua pubblicazione cioè tra pensiero e linguaggio. Da Attenzione e interpretazione alla Trilogia fantastica è un ininterrotto sforzo di comunicare, attraverso la parola e la scrittura, l'intensità e la drammaticità dell'esperienza psichica. Infatti, quantunque non possiamo negare la presenza nell'ultimo Bion di segni di una certa deriva verso la metafisica pure dobbiamo riconoscere che anche il suo ricorso all'iperbole sull'esempio di San Giovanni della Croce (Salita al Carmelo) (Trasformazioni 1965), (Bleandonu 1990) è mosso dal tentativo di rendere comunicabile la realtà dell'esperienza psichica. Inoltre egli non si è assestato stabilmente nella metafisica e il suo interesse per il linguaggio, mediato originariamente da Wittgenstein e dalla filosofia analitica, lo ha spinto fino alla fine della vita a battere tutte le strade - attraverso il ricorso a poeti e narratori (Shakespeare, Keats, Erza Pound, Lewis Carrol e Joyce di Finnegan Wake) - per rendere dicibile la verità ultima cioè la realtà psichica.

La lettura di Cogitations (1992) ci da la misura di questo travaglio che la struttura formalmente più compiuta degli altri suoi scritti del periodo epistemologico (Bleandonu 1990) sembra in parte nascondere. In ogni caso io credo che la portata e anche i limiti dell'opera di Bion non possano essere intesi a pieno se non viene contestualmente compreso il significato epistemico della prassi teorico - clinica inaugurata da Freud.

Questa si fonda sul fatto che la costruzione psicoanalitica deve farsi imporre la legge del suo oggetto cioè dell'inconscio. Pertanto la psicoanalisi, proprio nel momento in cui adotta rigorosamente la visione del mondo della scienza, è costretta a rifiutarla e a dichiararne l'illeggittimità rispetto al suo oggetto. Riprendendo la suggestiva immagine di Dorey (1991) si può dire che con la scoperta dell'inconscio, giacchè questo "dice il vero sul vero" (Lacan), si dovrebbe affermare che l'inconscio è la scienza ma, al contempo, paradossalmente, l'inconscia odia la scienza. Fuor di metafora questo significa che il riconoscimento dell'inconscio rende impossibile immaginare che esso non sia determinante nel processo stesso della conoscenza dello psichico ma questo implica che il modello della conoscenza scientifica, come si è storicamente determinato, è incompetente a formulare qualsivoglia proposizione significativa sull'inconscio. Così, di fatto, la psicoanalisi affermando che il soggetto della verità (l'inconscio) è irriducibile al sapere (la conoscenza scientifica) introduce

un terzo vertice tra scienza e metafisica: il vertice metapsicologico.

La rappresentazione metapsicologica è quindi legata alle condizioni di possibilità della soggettività, ovvero all'inconscio sia dell'analizzando che dell'analista che la costruisce, a partire da Freud fino a ciascuno di noi. Infatti in psicoanalisi, a differenza di tutte le altre discipline, la relazione clinica - teoria è assolutamente idiosincrasica.Nella clinica l'esempio, in quanto determinato dall'inconscio, non è nè casuale nè anodino e non illustra un concetto generale ma, come ebbe a dire Freud, l'esempio è la cosa stessa (Freud 1991) (2). Rispetto a ciò che è l'esempio nella clinica, la rappresentazione metapsicologica si pone come l'inverso pensato dell'esperienza clinica, ovvero, come ciò che rende pensabile quest'ultima (Assoun 1993).

Dunque, l'operazione metapsicologica si distingue da quella ermeneutica perchè in essa, come nella clinica, la scelta della "finzione concettuale" non è arbitraria ma determinata da una relazione significativa con il materiale empirico. Essa quindi si distingue e si oppone al finzionalismo del "come se" stile Vaihinger in quanto la "finzione" metapsicologica, scaturendo dall'inconscio, è più "vera" della natura stessa.

La costruzione metapsicologica rappresenta quindi una nuova forma di razionalità e di scientificità e si differenzia dal pensiero filosofico puro che, in virtù di un processo di astrazione, si colora di un'aurea di dissociazione che lo avvicina alla schizofrenia (Assoun 1976).

Il problema della metapsicologia è dunque quello della conoscenza - comunicazione - pubblicazione dell'inconscio cioè della sua messa in forma.

Sia per Freud che per Bion è obbligatorio fare metapsicologia.

Per il primo è essenzialmente il sessuale inconscio che si impone obbligando il discorso ad enunciarlo. Per il secondo è il pensiero (inconscio) che si mette alla ricerca di un pensatore costringendolo ad accoglierlo e ad esprimerlo.

Per costruire la rappresentazione metapsicologica la psicoanalisi non può identificarsi con altre scienze nè ridursi ad esse. Se lo facesse smarrirebbe il suo oggetto. Essa deve fare da sè come scrive Freud a Jung nella lettera del 30.11.1911 (Freud 1990).

Questo punto illustra la natura del rapporto della psicoanalisi con le altre discipline. Se Bion fa ricorso alla matematica, alla mistica, alla poesia, al romanzo fantastico e Freud alla neurofisiologia, alla biologia, al mito antropologico e al romanzo storico lo scopo rimane sempre quello di mettere in forma l'esperienza analitica. Questo metodo non ha nulla a che vedere con il tentativo di farne una psicologia generale o una scienza naturale come ha tentato di fare la Psicologia dell'Io e prima ancora Fenichel (1946) che nella sua ortodossia formale la trasforma in un mentalismo a connotazione biologica. All'opposto Habermas, Hyppolite e Ricoeur ne hanno rifiutato ogni appartenenza alle scienze naturali e quest'ultimo ha tentato di fondarla epistemologicamente sulla fenomenologia husserliana (Ricoeur 1965) ma, in realtà, la qualificazione di scienza speciale (Spezialwissenschaft) che le attribuisce Freud ha piuttosto una derivazione machiana nel senso che definisce la irriducibilità del suo oggetto (Assoun 1981).

La psicoanalisi infatti, pur riprendendo il linguaggio delle scienze naturali, ne sovverte l'oggetto. In essa le parole non corrispondono all'oggetto a cui apparentemente si riferiscono ma esprimono l'inconscio con una terminologia che appartiene ad altre discipline. Essa quindi esprime un fatto psichico senza essere una psicologia ma trascendendola nella metapsicologia. Quest'ultima è dunque il lavoro della immaginazione scientifica che crea un nesso tra razionalità e immaginazione. La sua specificità è il fantasticare scientifico che è il lavoro che intercorre tra il processo primario e il processo secondario e che genera i processi terziari (Green 1972).

La prassi epistemica di Freud che è derivata da una sintesi originale di Naturphilosophie di stampo goethiano e di materialismo positivista, in Bion, si è trasformata grazie all'incontro con la combinatoria algebrica e la tradizione mistica.

Per concludere questa breve esposizione della peculiarità dell'operazione metapsicologica in Bion e definirne le invarianze e le differenze rispetto a quella di Freud comparerò brevemente Sintesi delle nevrosi di traslazione (1985) e Memoria del futuro (1991) di cui prenderò in considerazione soltanto la prima parte: Il sogno.

Ho scelto deliberatamente questi due testi estremi in quanto ad audacia intellettuale, ad ardimento speculativo e ad invenzione creativa perchè queste loro caratteristiche fungono da ingranditori che permettono di evidenziare al meglio i tratti peculiari della costruzione metapsicologica nei rispettivi autori.

La Sintesi alla fine non fu ritenuta matura per la pubblicazione e Memoria del futuro ha visto la luce come estremo ed ultimo sforzo di Bion di esprimere la realtà dell'esperienza psichica.

Sintesi delle nevrosi di traslazione si colloca al centro del dibattito teorico con Ferenczi. Essa è preceduta e seguita da due importanti scritti di quest'ultimo: Fasi evolutive del senso di realtà (1913) e Talassa (1924) ed è il cuore di una grande speculazione metabiologico - metapsicologica.

L'elemento epistemologicamente centrale di tutta la sua elaborazione è il concetto di fantasia filogenetica. A partire da questa è possibile comprendere il metodo freudiano di costruzione delle teorie. Questo è dato dal fatto che, sebbene egli fosse timoroso di scivolare nella filosofia, pure, non poteva sottrarsi alle speculazioni su certe fantasie che gli si imponevano come ospiti non invitati. Si tratta di rappresentazioni che corrono, costantemente, sul filo tra metapsicologia e mito, di operazioni pericolose nelle quali si susseguono in rapida successione audaci fantasie e critica spietata.

Anche Bion fa ricorso ad un mito genetico a proposito del cimitero della città di Ur. D'altro canto le fantasie scientifiche sono più vicine ai miti che alle teorie scientifiche e Bion considera il mito una delle dimensioni in cui si espande la psicoanalisi.

Memoria del futuro appare un romanzo fantastico sull'origine del pensiero. Quì la fantasia genetica è quella della genesi del pensiero. Entrambi gli scritti appaiono una sorta di sogno teorico. In questo senso Freud e Bion abitano la psicoanalisi come Heidegger propone di abitare la poesia (Lacoste 1987).

La psicoanalisi che è nata dall'incontro tra l'enigma della follia isterica e le risposte che è riuscito a dargli un nevrotico, con Bion, si spinge ad esplorare le regioni estreme della schizofrenia perchè, per motivi personali, egli ha sentito di doversi addentrare in aree pericolosamente vicine alla dissociazione.

Se la metapsicologia freudiana espressa nella Sintesi rappresenta l'infanzia psichica dell'umanità quella che si manifesta nella Trilogia è l'infanzia del pensiero.

In Bion il passagio dalla fantasia al fatto scientifico è più diretto che non in Freud e la critica spietata della realtà non viene menzionata. Questo rende la sua opera più vulnerabile e a rischio di scivolare nel misticismo metafisico ma ciò accade perchè si spinge in territori più estremi di quanto non faccia Freud. Infatti, per far parlare la psicosi, la matematica, che in Bion sostituisce la biologia di Freud, deve andare oltre il riferimento euclideo e diventare irrazionale. La topica di Bion è lo spazio della geometria irrazionale, non - euclidea.

Il primo volume della Trilogia appare come la narrazione della decostruzione di una nevrosi che innesca un cambiamento catastrofico.

I primi venti capitoli descrivono la decostruzione dell'organizzazione nevrotica con la slatentizzazione della psicosi sottostante e la frammentazione della psiche. I successivi ventiquattro rappresentano il processo di costruzione di un nuovo pensiero. Ma per costruire il pensiero è necessario far ricorso ai vertici religioso, artistico e scientifico in quanto elementi protomentali. Il lavoro di costruzione abbisogna poi della capacità negativa per creare personaggi immaginari.

Non tocca a me decretare il successo o il fallimento dello sforzo di Bion ma, quand'anche avesse fallito, la sua opera rimane come la grandiosa rappresentazione della impossibilità di pensare l'impensabile.

(1) E' pensabile che questa semplificazione sia stata favorita all'inizio da A. Freud e questo può essere compreso se teniamo conto della enorme responsabilità che le si era caricata sulle spalle quando, a causa delle cattive condizioni del padre, ella ancor giovane e relativamente ancora poco esperta analista, dovette assumerne le veci nella direzione del movimento psicoanalitico. Timorosa, forse, di adottare una concezione troppo radicale dell'inconscio che pure era coerente con le formulazioni della seconda topica, dipendente emotivamente dal padre e certamente non all'altezza della sua statura intellettuale cercò appoggio, sia nel campo della teoria clinica - vedi la polemica con la Klein - che in quello della fondazione teorica e diede la sua adesione ad una concezione della psicoanalisi meno radicale e scientificamente meno rivoluzionaria quale è stata la Psicologia dell'Io (Grosskurth 1986).

In verità non è difficile vedere in alcune delle tendenze attuali della psicoanalisi le preoccupazioni che furono di A. Freud. L'inadeguato riconoscimento della radicale centralità dell'inconscio e della ineludibilità dell'analisi del transfert nel trattamento dei bambini e degli adolescenti sembrano riecheggiare negli attuali discorsi sull'importanza della realtà, sia nella relazione analitica che rispetto alla persona dell'analista, a tutto discapito della fantasia inconscia. Sono forse queste le tarde conseguenze di quello che Alix Strachey definì "il lato sentimentale di A. Freud".

  1. Freud annotò questo commento in margine alle associazioni dell'Uomo dei Topi che per descrivere l'angoscia che lo pervadeva quando immaginava di guardare delle ragazze nude, spontaneamente, disse "per esempio come se morisse mio padre" rivelando così esattamente il suo desiderio inconscio.

 

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