ANDREA FERRERO

Bion e la Psicologia Individuale

I contributi di Bion alla Psicoanalisi sono stati da alcuni considerati eterodossi e non integrabili rispetto al pensiero di Freud. Confrontare le sue tesi con quelle di Adler, il primo dissidente storico della Società psicoanalitica, e con quelle dei suoi seguaci, talvolta un po' eterodosse anch'esse rispetto a quelle del fondatore della Psicologia Individuale, è risultato particolarmente stimolante.

L'essere eterodossi va d'altronde considerato direttamente attinente allo specifico analitico, dove non è tanto importante escogitare brillanti teorie quanto invece accostarsi all'esperienza altrui per ascoltarla un po', anche quando si ha il piacere o si è capaci di scoprire qualcosa di particolarmente interessante ed originale.

Il confrontare teorizzazioni eterodosse o lontane tra loro richiede però una cautela. Ritengo infatti importante riconoscere un nucleo teorico ed anche epistemologico chiaro ed esibito in ogni riflessione psicoanalitica, che permetta di riconoscere i contributi degli altri senza dogmatismi ma anche senza cadere nell'eclettismo.

In queste riflessioni mi accontenterò di citare alcuni temi bioniani che mi sono parsi particolarmente importanti, per suggerire come sono affrontati oggigiorno dalla Psicologia Individuale, senza pretese di abbozzare delle linee di psicologia dinamica comparata.

 

I) Scientificità ed artisticità in psicoanalisi

Sono state spesso sottolineate le componenti poetiche del linguaggio scientifico di Bion. Al contrario di Freud, che nel 1929 scriveva a Romain Rolland: "In quali mondi, per me estranei, Lei si muove! La mistica è per me qualcosa di precluso, come la musica", il senso scientifico in Bion si coniuga, per inclinazione e formazione personale, col senso mistico ed il senso estetico (musica, pittura, poesia). "Ricorro ai poeti", disse, "perché mi sembra che essi dicono qualcosa in un modo che è al di là dei miei poteri, e che pure è tale che io stesso sceglierei, se ne avessi la capacità". Adler (Menschenkenntnis, 1926), analogamente: "(Compito dell'analista è quello di) aver seguito l'uomo nelle sue gioie e nei suoi dolori: in modo analogo l'artista trasferisce nel ritratto che intende dipingere ciò che intimamente e veramente avverte".

 

Come affronta oggi la Psicologia Individuale le tematiche della scientificità e dell'artisticità in psicoanalisi, ed in particolare quelle delle verifiche oggettive rispetto all'esperienza del vissuto soggettivo creativo?

Si considera per prima cosa che la conoscenza scientifica, nell'ambito delle Scienze Umane Applicate, non può far riferimento ad un concetto di "vero" o "falso" in sé, secondo i criteri delle Scienze Naturali (Ferrero, Bogetto e Fassino, 1984). Analogamente, Bion sostiene che ogni pensiero che noi possiamo formulare è falso rispetto alla verità dei fatti che, per definizione, non può essere conosciuta.

Per contro, un orientamento esplicitamente soggettivo non può essere considerato più fecondo, in quanto un certo grado di oggettività va considerato come "consustanziale alla scienza" (Rovera, 1979) in relazione ai fenomeni che intende descrivere e normare.

Kuehn (1985) ha considerato come per Adler i processi evolutivi dell'individuo posseggono una componente di libertà in base a cui non c'è nessun "oggettivo" che non sia contemporaneamente "soggettivo". Nessuno dei due può essere norma ultima ma solo mediazione: analogamente Agazzi (1976), definendo lo statuto epistemologico della psicologia, recupera il criterio di oggettività come inter-soggettività.

L'analisi di Kuehn conduce a conclusioni analoghe a quelle prodotte in Italia da Rovera e coll. (1984). Essi, facendo riferimento all'ottica della "complessità" (Morin, 1977), collocano la teoria della Psicologia Individuale nell'ambito di un "modello di rete", per certi versi affine ad alcune recenti definizioni del "campo psicoanalitico" (Gaburri, 1997).

E' l'impasse stesso tra oggetto e soggetto a diventare fondante: il "vero" si definisce perigliosamente e storicamente nella rete del percorso storico dell'individuo, attraverso le relazioni delle varie componenti endopsichiche tra loro e l'interazione con l'ambiente (Ferrero, 1995). Come hanno annotato Heinz e Rowena Ansbacher (1956), "tutti gli aspetti della vita psichica, come per esempio le diverse pulsioni o la contrapposizione tra conscio ed inconscio, non rappresentano entità e quantità distinte, ma piuttosto sono aspetti di un unico sistema relazionale"

Maiullari e Parenti (1990) hanno sottolineato come, in termini psicologici, la trama in base a cui si organizza l'apertura o la chiusura delle relazioni individuali ad ogni livello è costituita dalla "competenza simbolica".

 

II) Il mondo simbolico

Bion ha scritto in Trasformazioni (1965): "Propongo che il lavoro dello psicoanalista debba essere considerato, in analogia a quello dell'artista e del matematico, come trasformazione di una realizzazione (la reale esperienza psicoanalitica) in una interpretazione o in una serie di interpretazioni".

E'stato suggerito (Bria, 1981) come la sua impostazione abbia analogia con il concetto di "immagine" per Wittgenstein che ha sostanzialmente il significato di schema o modello: "in quanto tale, ogni immagine è trasformazione del reale e in una relazione non necessariamente univoca con quest'ultimo".

In Psicologia Individuale il simbolismo dell'inconscio è piuttosto correlato al concetto di finzione (Accomazzo, Ferrero, Fulcheri e Recrosio, 1988). Ancora gli Ansbacher (1956) hanno sottolineato che "la finzione organica di pensare è portata avanti quasi sempre inconsciamente": mentre l'ipotesi fa riferimento continuamente alla realtà e "la forma di rappresentazione che in essa è contenuta ha la pretesa, o meglio la speranza, di rivestirsi di una sensazione (...), la finzione è mero strumento, una semplice perifrasi, un guscio vuoto che deve essere di nuovo spezzato".

Bion direbbe che il "linguaggio dell'effettività", che costituisce il preludio dell'azione e del cambiamento, contiene elementi insaturi ed un limite nel tempo e nello spazio.

Per la Psicologia Individuale è il mondo del "come se" (Vaihinger, 1911), ove ogni processo psicologico, derivando da un processo psicologico precedente ("causa finalis" o causalità figurativa secondo Jaspers, 1946), è aperto verso il futuro, verso il polo progettuale dell'individuo.

In questo senso l'inconscio corrisponde alla parte inconsapevole di una tensione verso una meta ideale. Le percezioni, le idee, gli affetti e i desideri che ritroviamo nelle finzioni sono il tramite per un approccio alla realtà in termini simbolici: "per quanto apparentemente ogni finzione possa apparire concreta, essa, tuttavia, deve essere sempre considerata come dotata di senso simbolico" (Adler, 1912).

E' inutile cercare allora una versione originale o più attendibile di altre delle finzioni; come accade ai miti (Goody, 1977), esse si riproducono nelle varianti o diverse dimensioni di una medesima storia: l'universo della ripetizione coincide con quello della variazione.

La molteplicità delle finzioni non è riconducibile ad un nucleo fisso, ma l'unitarietà sarebbe una conquista che coincide con la variazione creativa (Ferrero, 1988).

Le finzioni dell'inconscio si articolano in immagini simboliche mobili, che si proiettano cioè verso il passato e verso il futuro (Ferrero, 1995).

Bion sembra richiamare analoghe considerazioni quando parla di "memoria del futuro" e della riattualizzazione costante delle vestigia del passato.

In Psicologia Individuale, Schmidt (1985) e Rovera (1990) hanno sottolineato gli aspetti della "regressione creativa": ogni movimento regressivo può contenere un germe innovativo attraverso il re-incontro con ciò che manca, con l'inferiorità e con il deficit (Seidel, 1985).

 

III) Il legame sociale

Insita nell'impostazione adleriana è dunque la dialettizzazione anche nell'inconscio tra le istanze individuali e le dinamiche sociali. Il simbolo è letto in un'ottica storica e transculturale. Questo non cancella la rilevanza dell'istintualità, ma ne traccia un ruolo differente, tra temperamento e carattere, nella formazione della personalità: Adler (1908) preconizzò la psicologia del Sé in termini di "campo psicologico di ordine superiore che collega l'intreccio (Verschraenkung) pulsionale".

Questi diversi contorni da considerare circa la pulsionalità furono sostanzialmente all'origine dello scisma adleriano che dopo pochi anni seguì.

Anche Bion (Elements of psychoanalysis, 1963), riconsiderando l'Edipo, sembra successivamente integrare la riflessione interrotta da Freud: "E' possibile", scrive, "riesaminando il mito, scorgere in esso elementi che non furono messi in rilievo dalle prime indagini perché erano tenuti troppo in ombra dalla componente sessuale del dramma": già precedentemente (On arrogance, 1957) Bion aveva ravvisato alcuni di questi elementi nella curiosità, nella stupidità e nella superbia, analoghi a quelli evidenziati da Adler quando teorizzò la volontà di potenza come istanza fondamentale dell'uomo. Bion si riferisce ad essi come derivati della pulsione di morte: è aperto tuttora il dibattito su come debba essere concepita l'aggressività in psicoanalisi.

Secondo la Psicologia Individuale si riconosce anche una componente biofila, autoprotettiva e autorealizzativa (Rovera, 1992) della volontà di potenza che, a livello intrapsichico, presiede alla necessità di distinguere e discernere i bisogni individuali e collettivi (Ferrero, 1995).

Tuttavia, a partire dalla sua rilettura dell'Edipo, l'aspetto dell'opera di Bion che possiede forse l'interesse più rilevante per gli adleriani è l'ipotesi dell'esistenza di legami di natura non libidica tra l'individuo e il gruppo, di una "valenza" sociale dell'individuo che riecheggia, in termini psicologici ed esistenziali, il concetto adleriano di sentimento sociale.

Viene ipotizzata un'attitudine innata attraverso cui un individuo diviene sensibile alla realtà, che è fondamentalmente una situazione relazionale e sociale. In chiave intrapsichica, il sentimento sociale corrisponde all'istanza che aggrega le varie componenti del Sè e dello stile di vita (Fassino, 1988).

Particolarmente importanti sono, come è ampiamente noto, i lavori di Bion sul funzionamento e le dinamiche dei gruppi, che sono ormai all'attenzione comune di tutte le scuole di psicologia del profondo. Conseguentemente, le considerazioni sugli "assunti di base" e sulla gruppalità interna (che ha avuto sviluppi ed accenti diversi anche all'interno della gruppoanalisi, da Foulkes in poi, ed anche in Psicologia Individuale) sono oggi oggetto di attento studio da parte di alcune scuole adleriane in Italia e in Germania.

 

IV) Psichiatria psicodinamica e metodologia clinica

L'ultimo stimolo derivato dall'opera di Bion che intendo proporre riguarda un suo particolare approccio alla clinica psichiatrica in termini psicodinamici, a partire dagli importanti contributi su alcuni meccanismi che agiscono nella psicosi schizofrenica.

Anche gli studi sull'identificazione proiettiva, sugli oggetti bizzarri, sulle dinamiche contenitore-contenuto, sulla reverie e sull'attacco al legame sono da considerare, come le riflessioni sui gruppi, patrimonio consolidato della Psichiatria psicodinamica.

Qui intendo però sottolineare di più un aspetto che riguarda l'atteggiamento anamnestico.

Bion (1969) scrive che "la memoria è sempre equivoca come registro dei fatti, perché subisce distorsioni a causa dell'influenza di forze inconsce".

Adler definì come "appercezione tendenziosa" questo stesso fenomeno. Per la Psicologia Individuale la psicopatologia non sarebbe il risultato tout-court di un arresto delle tappe evolutive delle pulsioni, o di un ritorno, né sarebbe ordinabile in scale idealizzate di rapporti oggettuali e di apprendimenti psico-comportamentali, che costituiscono solo una parte, come le vicende istintuali, dello sviluppo delle attitudini psichiche. Non contano, inoltre, solo le vicende del passato ma anche le angosce di fronte alle possibilità future dell'esistenza.

Un determinato quadro clinico non è solo connesso, dunque, all'esistenza di traumi psichici nella storia dell'individuo ma alle modalità secondo cui la registrazione degli eventi si è perpetuata all'interno dell'individuo, senza che egli riesca a compensarne in modo adeguato gli sviluppi (Rovera, 1992).

Una concezione della maturità psichica (dall'infanzia all'età adulta, dalla psicosi alla salute) rimane solo un riferimento ideale normativo; assunta come esempio di un pensare classificatorio e dicotomico (del tipo: alto/basso o superiore/inferiore), non coglie gli aspetti dinamici del vissuto psicopatologico, né in chiave intrapsichica, né in chiave relazionale.

Per la Psicologia Individuale non vi è dunque una gerarchia di esperienze che spiega la patologia dell'oggi; piuttosto i racconti

del passato rappresentano le fantasie finalistiche dei pazienti rispetto al proprio malessere e proprio in questo senso rivestono la massima importanza. Essi rappresentano infatti come il riassunto di ciò che il paziente desidera e tenta di comunicare.

Questa attitudine o "competenza narrativa" in rapporto al reale sviluppo delle esperienze infantili riveste una grande importanza anche per quanto concerne la teoria della tecnica analitica ed, in particolare, l'interpretazione.

Su questo tema hanno focalizzato la loro attenzione numerosi psicoanalisti. Benedetti (1990), in particolare, ha sottolineato come "Adler ci dice che l'interpretazione non deve essere necessariamente vera nel senso fattuale della parola; essa deve innanzitutto aiutare il paziente a costruire una percezione positiva di sé e del mondo. Questo è anche quello che una linea della psicoanalisi d'oggi afferma", prosegue Benedetti, "con il concetto di verità narrativa (Schafer, 1981)".

Possiamo considerare a buon diritto anche Bion un precursore di questo modo d'intendere lo specifico analitico: con l'interpretazione non si cerca di "chiudere la discussione o l'argomento che si sta trattando" (Grinberg, Sor, Tabak de Bianchedi, 1991), si cercano possibilità di sviluppo e non saturazioni. Bion asserisce che l'interpretazione psicoanalitica è una trasformazione verbale dei pensieri dell'analista, i quali a loro volta fanno sono parte delle trasformazioni che avvengono dentro la relazione emotiva con il paziente.

Abbiamo definito con Rovera il processo per cui l'analista interpreta il paziente secondo un'ipotesi di lavoro e ne è a sua volta re-interpretato con il termine di "manuali di traduzione" (Rovera e Ferrero, 1983; Ferrero, 1995).

Il termine è preso a prestito dal filosofo Giulio Giorello (1981) insieme alla spiegazione che ne egli ne diede e che vorrei usare di nuovo oggi come dichiarazione emblematica conclusiva, per sottolineare la necessità di rimanere in ascolto umile dei nostri pazienti, di continuare la ricerca ed il confronto tra i vari indirizzi psicoanalitici in modo laico e rigoroso, nella consapevolezza ultima degli aspetti inconoscibili dell'animo umano.

Scriveva dunque Giorello: "Con la traduzione si perde molto di ciò che si traduce, ma ciò che si perde non è per sempre nel senso che, in una concezione pluralistica di traduzioni, c'è sempre la possibilità che qualcuno faccia rivivere l'idea più folle e la riusi contro di noi".


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