LA SESSUALITÀ COME GENERE NARRATIVO,

O DIALETTO, NELLA STANZA DI ANALISI.

UN VERTICE RADICALE.

 

Antonino Ferro

 

<<Le storie succedono a chi le sa raccontare.>>

H. James

<<This exists that is its after having been said we know.>>

J. Joyce

 

Introduzione

È enorme il contributo dato dalla psicoanalisi alle conoscenze attorno la sessualità umana a partire già dai primi lavori di Freud, e suo il merito di aver fondato il concetto stesso di psicosessualità (Green, 1996).

Ugualmente fondamentale sono state le concettualizzazioni relative agli "stati sessuali della mente" (Meltzer, 1973).

Patrimonio comune e condiviso sono divenuti gli apporti della psicoanalisi alle teorie dello sviluppo sessuale infantile con le relative fantasmatizzazioni, alla sessuologia, alla psicogenesi delle patologie sessuali (McDougall, 1995).

In questo mio lavoro però focalizzo forse riduttivamente il mio sguardo di interesse "alla stanza di analisi", partendo dalla considerazione che in essa, nella quasi totalità dei casi, si ha a che fare con racconti inerenti la sessualità, cioè con narrazioni di, o attorno alla sessualità.

Pongo il problema relativo "a ciò di cui parlano paziente e analista": se possono parlare di dislocazioni nel tempo ("il prima" delle teorie freudiane sul trauma infantile e la sessualità infantile), di dislocazioni nello spazio ("l’altrove" delle teorizzazioni relative alle dinamiche con gli oggetti) [teorizzazioni radicalmente diverse da quelle che considerano l’Inconscio come qualcosa che viene formandosi di continuo nella attualità dei processi di continua alfabetizzazione: trasformazione di elementi b in elementi a (Bion, 1962)], oppure se dal vertice che io in questo momento intendo privilegiare, ritenendolo il più trasformativo "analista e paziente", parlano di continuo delle modalità attuali di funzionamento delle menti nel campo che costituiscono, continuamente rifornito dalle turbolenze emotive, dai transfert e dalle fantasmatizzazioni comunque dell’hic et nunc.

L’assunto forte di questo mio scritto è che il paziente va in analisi perché ha "qualcosa di indigerito" (Bion, 1962) che deve essere trasformato in elementi a . Ciò nella migliore delle ipotesi, perché a questo si può aggiungere una insufficienza dell’"apparato per pensare i pensieri" (PS« D; O O) (Bion, 1962), o nei casi ancora più gravi una difettualità della sua funzione a (Bion, 1962; 1963; 1965; 1992).

Come avvengano questi "lavori" viene rinarrato di continuo. Tale operazione consisterà nel primo caso (fatti indigeriti) nella trasformazione di tali elementi b (i "betalomi", Barale, Ferro, 1992) in elementi a , veri pittogrammi emotivi; nel secondo caso (insufficienza dell’apparato per pensare i pensieri) nello sviluppo di O O e PS-D; nel terzo, e più grave (difettualità della funzione a ), in una progressiva introiezione di una funzione a più adeguata.

Il paziente naturalmente sceglie un suo genere narrativo, che riguarda "la cronaca", "il genere diaristico" nei casi forse più fortunati "il diario intimo", e così via.

Dal momento in cui vi è il primo incontro, anzi già a monte di esso (Baranger, 1961), vi è una decostruzione narrativa della Storia e delle fantasmatizzazioni del paziente, come avviene nello straordinario racconto di W. Allen Il Signor Kugelmass.

La decostruzione narrativa è una funzione delle identificazioni proiettive che iniziano a circolare nel campo, delle turbolenze emotive che in esso si attivano, della disponibilità, dello "spazio mentale" dell’analista, delle capacità della sua revérie, della capacità di trasformazione di b ® a .

Quest’ultimo processo, da subito, diventa il fulcro dell’incontro analitico (prescindendo dal dialetto scelto dall’analista: storico ricostruttivo, del mondo e degli oggetti interni, della relazione attuale o del campo) (Ferro, 1996d).

La qualità del funzionamento del processo b ® a , come dicevo, viene di continuo segnalata e rinarrata dal paziente in "tempo reale".

Non è difficile capire il perché di ciò anche da un punto di vista teorico, facendo riferimento a quanto dirò più avanti.

Ribadisco che, naturalmente, l’elemento a che viene prodotto, anche dalla funzione a del paziente, non è direttamente conoscibile, se non nei casi dei cosiddetti "flash visivi" (Meltzer, 1982a; 1982 b; 1984; Ferro, 1992; 1993a; 1996d; Bezoari, Ferro, 1992a; 1996).

Sono invece conoscibili i derivati narrativi dell’elemento a (Ferro, 1996a; 1996b; 1996c): come di un quadro coperto da un telo del quale fosse possibile intuire qualcosa attraverso una narrazione (Bion Talamo, 1997).

 

I personaggi nella stanza d’analisi

Il paziente dispone di una pressoché infinita gamma di racconti possibili, in quanto può attingere ai ricordi, alle fantasie, ai sogni, a quanto avviene nella vita reale esterna, a quanto accade a sé o ad altri e così via, con possibilità pressoché infinite.

Nella stanza di analisi postuliamo che la narrazione del paziente non sia casuale, ma venga svolta, comunque, per comunicare "qualcosa".

Varie concettualizzazioni hanno inteso in modo radicalmente diverso questo "qualcosa" (Ferro, 1991; 1993b; 1993c; 1996a):

a) i fatti dell’infanzia e del romanzo familiare;

b) i fatti del mondo interno;

c) i fatti relazionalmente significativi.

Io postulo che ogni mente in seduta segnala all’altra mente presente ANCHE la qualità del reciproco interagire e funzionamento e la qualità della riuscita del progetto che va da "fatti indigeriti" a "elementi a ", e delle approssimazioni a "O".

Queste comunicazioni avvengono attraverso l’uso di personaggi "mio padre"... "mio zio"... "il mio gatto", che da vertici differenti sono stati prevalentemente intesi come :

a) personaggi storico-referenziali che parlano "di un prima e di un allora";

b) personaggi - oggetti interni, che parlano di un "dentro" del paziente, dentro che talvolta può essere proiettato "sopra" o "dentro" l’analista;

c) personaggi - ologrammi affettivi: che indicano modalità di funzionamento che il campo assume in ogni settore di esso; personaggi che tridimensionalmente sono frutto dell’incontro del "pensiero onirico della veglia", di entrambi i costituenti la coppia analitica, nelle infinite combinazioni possibili tra i personaggi da cui essa è abitata.

In quest’ottica, poniamo "il mio gatto", rimanderebbe alla segnalazione di un settore o di un vettore relazionale del campo in cui regna "la felinità".

Ogni seduta analitica può essere vista da quest’ultimo vertice con una rinarrazione continua dei fatti emotivi del campo (Corrao, 1986): ciò può avvenire in vari dialetti: quello relativo al "posto di lavoro", quello relativo a "un rapporto amoroso", quello relativo a "una cronaca di viaggio" e così via.

In questa ottica un bambino che dica, dopo una interpretazione satura di transfert: "Ho visto alla televisione degli scienziati che facevano a fettine un uovo per vedere come era fatto dentro, peccato che così impedivano al pulcino di nascere" sta narrando come la sua funzione a , o il suo "apparato per pensare i pensieri", ha "visualizzato" la nostra precedente interpretazione: la sua comunicazione è cioè il derivato narrativo di una sequenza di elementi a , di per sé inconoscibili (ma che hanno a che fare con pittografature di violenza e attacco alla vita).

Si potrebbe discutere se interpretare direttamente questa comunicazione, "piuttosto" trovare il modo di trasformare il nostro stile interpretativo in modo che non sia così persecutorio e faccia nascere il "pulcino", comunque consapevoli di quanto ci ricorda Bion nei Seminari clinici, quando dice che "non ci si può lanciare in una grande spiegazione della biologia del tubo digerente con un lattante" (Bion, 1987).

Ciò che conta è la "trasformazione" che riusciamo a operare nel campo: possiamo pensare alle narrazioni del campo come un Rorschach della coppia, del quale è necessario cogliere le "G", cioè l’emozione presente in quel momento secondo, la qualità che l’interpretazione psicoanalitica non può non avere secondo Bion (1963): "estensione nel campo del senso, del mito, della passione".

Ad esempio, cogliere la "stupidità degli scienziati", l’inutilità del loro lavoro... o le atrocità commesse nei riguardi del pulcino... stando così nella fila C della griglia narrativa, senza interpretare decodificatoriamente e sterilmente nel nostro dialetto coatto: "Mi dici che quanto ti ho detto..." (formulando anche una ipotesi interpretativa satura dentro di noi, se ci è proprio necessario) ma stando nel dialetto del paziente verso "O" e l’unisono con lui.

Analoghe riflessioni possono valere per ogni comunicazione di "sessualità" fatta in seduta.

La "sessualità" è cioè un personaggio, o articolazione tra personaggi, che può essere pensata come qualcosa che attiene:

a) a un prima (sessualità infantile) e un altrove (sessualità reale esterna);

b) a un interno (sessualità reale interna/di oggetti interni);

c) a una narrazione nel e del campo in uno dei tanti "dialetti possibili" dei derivati narrativi dell’elemento a : cioè a un genere letterario, non più significativo, ma non meno significativo di un genere fantascientifico in cui il paziente parlasse, poniamo, di Startrek.

Bion (1987) ci ricorda a chiare lettere che "la Mente è un peso troppo grande per la bestia sensuale" (che è l’uomo).

La sessualità, la digestione, la respirazione e così via, sono in sé considerate successi filogenetici fortemente stabilizzati; il grosso dramma della specie Homo Sapiens è il peso della Mente, e il fatto che il "pensare" sia una funzione nuova (la più recente filogeneticamente) della materia vivente (Bion, 1987).

In quanto analisti è proprio della "mente" che siamo continuamente chiamati a occuparci: o del fondamentale e fondante aspetto di essa per esistere: la relazione emotivo-affettiva con l’Altro (Faimberg, 1989): è questa che continuamente ci rinarriamo. Il vertice freudiano della sublimazione è qui completamente capovolto: il mentale "prende corpo" dal mentale e a esso continuamente rimanda.

Due menti vicine parlano di continuo anche di se stesse, del loro interagire, segnalando di continuo i nodi, le qualità del reciproco funzionamento; ciò attraverso tutte le narrazioni possibili, ricorrendo a tutti i dialetti e i generi letterari possibili: ivi incluse tutte le modalità di espressione artistica.

Quindi, per "me analista" la sessualità in seduta è la "qualità" e la "modalità" di incontro dell’elemento b con la funzione a ; la gestione dei pensieri e la comunicazione di essi attraverso le oscillazioni PS-D, l’interazione O O, e il modo in cui tutto questo è rinarrato.

È sessualità la modalità di sviluppo di O che avviene per aggiunte di emozioni che costituiscono i fili della trama di un reticolo in espansione, di sviluppo di O che è "dato da un mezzo in cui stanno sospesi i contenuti", che prendono corpo da una base ignota, in una atmosfera di tolleranza al dubbio (Bion, 1962).

Postulo, inoltre, che tutta la seduta può essere categorizzata lungo la fila C della griglia come un sogno che la mente del paziente fa sul funzionamento della mente dell’analista e del campo. Altre categorizzazioni sono naturalmente possibili, ma credo siano meno utili per consentire trasformazioni in "O". In questo senso la psicoanalisi ha un interesse specifico per la "sessualità" come vertice narrativo. In questa mia convinzione sono confortato da quanto Bion (1965) afferma nella parte conclusiva del mirabile Capitolo VI di Trasformazioni, in cui dopo aver affermato che la "supremazia del vertice visivo" conferma il suo convincimento che la soluzione della comunicazione psicoanalitica debba essere trovata passando dalla fila C in direzione di H, esamina la "controparte mentale del sistema riproduttivo", da intendersi non come la consapevolezza dell’attività riproduttiva, ma come qualcosa che si collega a "presentimenti di piacere e di dolore" che se posto sulla fila C della griglia rimanda immediatamente alla sessualità come dialetto narrativo di tale "controparte mentale del sistema riproduttivo" (Bion, 1965) e degli accoppiamenti di b con a , di O e O, e delle oscillazioni PS« D, K« O.

Ma vediamo tutto questo cosa può implicare clinicamente.

(Materiale Clinico qui omesso)

 

Considerazioni teoriche: elementi a e loro derivati narrativi

Bion (1962; 1963; 1965; 1992) postula che via sia una costante attività da parte della nostra mente (funzione a ) di sincretizzare in un elemento visivo (elemento a ) quanto afferisce sotto qualsiasi forma degli organi di senso.

Questi elementi visivi verrebbero formati di continuo e in sequenza.

Se per esemplificazione - e semplificando al massimo - usassimo delle tesserine tipo quelle del Memory, una sequenza potrebbe essere fiore-ciliegia-zanzara e, ad esempio, starebbe a pittografare una esperienza gradevole quindi gustosa per divenire poi vagamente irritante, poniamo in uno short relazionale all’interno di una coppia di parlanti, di silenti, di agenti... o di una coppia analitica.

A seconda delle varie senso percezioni che continuano ad arrivare, altri fotogrammi visivi verrebbero di continuo a essere formati. Man mano che vengono costituiti questi elementi possono rimanere, come in un immaginario Memory, scoperti e formano il sistema della Coscienza, o capovolti e formano il sistema Inconscio.

Cioè, Inconscio non è un a-monte, ma è un a-valle dell’incontro dell’elemento b (proprio-esterocezione) con la funzione a , è cioè costituito anch’esso da elementi a a faccia in giù, stando alla metafora del Memory. Esso può essere però anche abitato da quelli che Bion definisce "fatti indigeriti", che sono cioè accumuli di proto-tensioni emotive o senso percettive che non sono state trasformate in elementi visivi e quindi digerite e rese pensabili. Non sono però questi fatti indigeriti elementi b , ma potremmo chiamarli b solo in parte digeriti e metabolizzati: elementi balfa.

L’elemento a , o la sequenza di elementi a : fiore-ciliegia-zanzara non è conoscibile direttamente se non in due casi:

a) quando l’elemento a , un fotogramma della pellicola di pensiero onirico della veglia (è così che Bion chiama una sequenza di elementi a ), scappa fuori dall’apparato che dovrebbe contenerlo e viene proiettato e visto all’esterno. In questo caso un paziente, poniamo, vedrebbe un fiore, una ciliegia, o una zanzara che sincretizzerebbe il suo stato mentale in quell’istante relazionale;

b) quando noi siamo capaci di entrare in contatto e "visualizzare" direttamente questo elemento a . Cioè nella cosiddetta capacità di revérie.

In essa una immagine, di solito ben protetta, affiora e possiamo vederla con gli "occhi della mente": è questo il massimo di contatto che una mente può realizzare con se stessa.

Una caratteristica dell’elemento a è quella di essere pittografato in tempo reale, e sincretizzato in modo assolutamente imprevedibile, cioè non avviene la sua formazione utilizzando simboli prefissati, ma di volta in volta è un’opera poetico-pittorica unica e irripetibile.

Del primo caso ricordo quella paziente alla quale avevo chiesto un aumento di onorario e che rispose allarmatissima: "Vedo un pollo che viene spennato": l’elemento a , il fotogramma visivo era scappato fuori ed era visibile.

Facendo attenzione a questi tipi di fenomeni già descritti da Meltzer (1982a; 1982b; 1984), essi sono molto più frequenti di quanto non si immagini.

Del secondo caso ricordo come in una seduta che mi sembrava incomprensibilmente banale "vidi" un cimitero con delle tombe; fu così che entrai in contatto con le angosce depressive molto profonde di un paziente e che mi fu possibile trovare il giusto registro per poter contattare i suoi propositi di suicidio.

Lo stile dell’elemento a , la qualità, il genere pittorico dipendono dallo specifico di ogni essere umano: costituiscono il nucleo più profondo di verità della mente, rispetto alle propri emozioni e percezioni.

L’elemento a "è privato" in un modo o in un altro, non può essere in alcun modo di scuola.

Abitualmente però non abbiamo pazienti che proiettino l’elemento a , o analisti sempre capaci di attività di revérie; è allora l’elemento a irraggiungibile al di fuori di quelle due vie strette?

Sicuramente no: la vita mentale, la radice del pensiero è costituita da tali elementi a , di cui possiamo conoscere i derivati narrativi che gemmano di continuo nei racconti della stanza d’analisi grazie alla CAPACITÀ NARRATIVA delle menti nella VEGLIA (apparato per pensare i pensieri).

Fiore-ciliegia-zanzara porterebbero allora a un discorso del paziente nel quale il "concentrato", il "dado" (fiore-ciliegia-zanzara) è sciolto in una narrazione: se l’attualità del campo è un’esperienza gradevole che diventa gustosa e poi vagamente irritante ciò potrebbe essere narrato in una INFINITÀ di generi possibili:

a) un ricordo di infanzia: quando ero piccola mi faceva sempre piacere l’arrivo dei nonni con i loro dolci, ma poi mi arrabbiavo perché bisognava sempre aspettare ora di pranzo per mangiarli;

b) una diaristica apparentemente esterna: oggi mia moglie mi ha aperto la porta con slancio e si sentiva che era contenta, ma la telefonata di mia cognata che mi ha raccontato ha finito per mettermi in allarme;

c) un genere sessuale: far l’amore con Giulia è stato all’inizio molto soddisfacente, peccato che la sua scarsa partecipazione mi ha irritato.

Potremmo continuare con d, e, f, g, h, i, l, m, zn. Sono tutti moduli narrativi della stessa esperienza emotiva: fiore-ciliegia-zanzara.

In quest’ottica il genere sessuale è solamente una scelta di genere narrativo e sta all’elemento a come l’intreccio sta alla fabula. Prescindo dal considerare che anche l’elemento a può pittografare in modo sessuale una esperienza emozionale. Vi sono dunque due loci di immagini sessuali: lo stesso elemento a e il genere narrativo rispetto a esso.

Da dove trae origine la sequenza di elementi a . La risposta è immediata: dalla ATTUALITÀ DEL CAMPO EMOTIVO, del quale diventa un segnalatore.

Altri vertici pongono la memoria (la Storia) o le fantasmatizzazioni (Mondo Interno) come matrice motori dell’analisi.

In questo vertice è l’ATTUALITÀ del campo emotivo a essere trasformata in a e quindi narrata.

Ma non tutto fila così liscio.

L’attività creativa della coppia analitica e di ogni mente è continuamente cimentata dall’arrivo di quote di elementi b e di elementi balfa.

Per cui una sequenza diventa: fiore-ciliegia-zanzara//turbolenza di b o di balfa.

Con le turbolenze di b o di balfa (elementi b parzialmente digeriti che rigurgitano) si apre il capitolo della capacità delle menti presenti di formare altri elementi a coerenti con le turbolenze e che a esse danno senso: scimitarra-leone-lago, ad esempio, a significare un modulo relazionale che rimandi a qualcosa di tagliente, che diventa pericoloso e che poi si acquieta.

Non sempre le cose vanno così favorevolmente, allora non avviene questa trasformazione [b (o balfa) ® a ] e la turbolenza rimane tale o viene incrementata dando luogo a evacuazioni attraverso:

a) identificazioni proiettive;

b) agiti;

c) comportamenti in Assunti di Base;

d) malattie psicosomatiche.

Cosa impedisca la trasformazione [b (o balfa) ® a ], credo sia l’inadeguatezza della funzione a a metabolizzare la quota di sofferenza mentale che ogni processo creativo comporta, e il trovare delle vie meno faticose: in termini di fisica "in discesa", che non comportino "lavoro".

Questi "buchi di alfabetizzazione" sono quelli che poi spesso chiamiamo reazioni terapeutiche negative, transfert negativi, attacchi al legame, fraintendimenti e così via.

Naturalmente le turbolenze (di b o di balfa) rimangono nel campo, anche in luoghi estremi, o glaciati di esso, ma sempre pronti a ritornare.

Quanto detto sino adesso attiene al campo e ai suoi movimenti da svegli.

Rimane naturalmente un’altra via di accesso all’elemento a : la "via regia" del sogno della notte , e del racconto di esso.

Appare chiaro come molto del nostro lavoro si sviluppi rispetto a materiale comunque molto creativo da parte del paziente: elementi a , derivati narrativi degli elementi a nella veglia, regie altamente sofisticate di elementi a , cioè sogni; lavoriamo anche con turbolenze emotive, elementi b , bugie e pensieri evacuati.

Nostro primo intento credo debba essere quello di non interferire con i processi creativi in atto nel campo, lasciare che accadano, essere capaci, attraverso la revérie, attraverso i derivati narrativi, di monitorarli, attenti a non essere gli Erodi che scendono in campo per far strage di pensieri nascenti.

Tutte le operazioni di interpretazione decodificativa ci pongono almeno in questo rischio, il paziente diventa un testo morto di cui avremmo la chiave interpretativa: ci ricorda mirabilmente Riolo (1989) che tutto quello che proviene da una mente sola è -K, è cioè clonazione masturbatoria.

Il nostro lavoro può essere quello di formare a nostra volta elementi a , revérie, derivati narrativi degli elementi a , capacità di narrazione trasformativa che operi in sinergia con il paziente verso la costruzione di verità mai visualizzate, pensate o sapute.

Quanto ho detto dell’elemento a in termini solamente visivi, è in realtà più complicato perché gli elementi a possono essere anche sonori o cenestesici, ma il ragionamento di base rimane comunque sostanzialmente uguale.

 

Riflessioni conclusive

Quanto viene comunicato in analisi attiene al "campo analitico" e ci parla di questo e non d’altro: anche se il modo di interagire tra analista e paziente può esser narrato in una infinita varietà di dialetti, in quest’ultima sequenza clinica un dialetto economico-sociale.

Perché, mi domando, questo "vertice analitico" non dovrebbe valere se il paziente dovesse parlare della "asciuttezza della vagina della moglie", o una paziente della "eiaculazione precoce" del marito che non le dà mai modo di provare passione per il loro incontro, o un’adolescente dell’esibizionista che "apre il cappotto" davanti a scuola.

Pensare che queste o simili comunicazioni ci interessino relativamente alla "sessualità vera", e non alla "sessualità nella stanza", credo possa mortificare la specificità del "laboratorio analisi".

Per "sessualità nella stanza" intendo nel caso della "vagina asciutta", ad esempio, una possibile asciuttezza nelle modalità che il campo ha assunto in un suo luogo; per la eiaculazione precoce: una esplicitazione di significati precipitosa e che tolga il gusto per la condivisione; per il cappotto: un mostrare significati inaspettati e che turbano sguardi ancora innocenti. Dico queste cose come "esercitazioni", perché naturalmente non esiste la possibilità di decodificare una comunicazione in una ottica di campo, ma solo significati che progressivamente si generano e si appalesano (Corrao, 1981, 1989; Borgogno, 1997; Gaburri, 1997; Vallino, 1997).

Mi si potrebbe obiettare: ma la psicoanalisi non è indicata per i disturbi sessuali? Certamente sì, ma perché a monte di essi c’è un disturbo del "mentale".

Nel caso della paziente con il "marito" che soffre di eiaculazione precoce, un problema potrebbe essere, ad esempio, la presenza nel campo di una "parte incontinente" che avrà bisogno di essere trasformata in una parte capace di continenza e quindi di provare e vivere la passione.

Pensare che nella stanza d’analisi si apprende qualcosa relativa ai costumi sessuali, alla sessualità (fisica) degli esseri umani, sarebbe lo stesso che pensare che la stanza di analisi ci illumina sul problema della crisi degli alloggi, il che può esser vero, ma non è specifico.

D’altronde un modo per andare in analisi può essere anche un sintomo come "non riuscire a trovar casa", o "non riuscire a tenere le pratiche dell’ufficio a posto".

Pochi sarebbero disposti a pensare che la psicoanalisi possa illuminare sul problema degli alloggi o sulla burocrazia (non quella della mente, quella esterna).

Ciò non toglie che esista poi la "psicoanalisi applicata", "applicabile" per chi la ritiene utile ad ogni campo del sapere umano.

Ma perché la psicoanalisi a lungo ha celebrato il "posto" della sessualità? Credo per motivi storici innanzitutto: nella Vienna in cui prende corpo la psicoanalisi, la sessualità era ciò che più veniva rimosso e condannato; in altri contesti sociali potrebbe essere il denaro e i rapporti con questo, o la morte. Basti pensare al Bunuel de Il fascino discreto della borghesia.

Vi è un altro motivo per cui la sessualità è centrale (e non è stata), perché nella stanza d’analisi "si fa solo e continuamente sesso", nel senso ovviamente che ci si rapporta l’uno con l’altro e questo è sesso, anche se le necessarie regole dell’astinenza implicano che si fa sesso in modo "casto", ma non casto relativamente alle emozioni che si attivano e vivono, e alla fantasmatizzazione in termini sessuali dei continui accoppiamenti tra menti: la sessualità delle vicissitudini O O e b ® a .

Per quanto riguarda l’interesse per la sessualità concreta, rimanderei alle istanze voyeuristiche dello analista e all’effetto antidepressivo che una seduta "sessuale" ha in termini di eccitazione del campo.

Lo specifico della psicoanalisi è, a mio avviso, oggi più che mai, ciò che accade o non accade nella stanza d’analisi (Nissim, 1984).

Naturalmente l’analisi non è fine a se stessa, ma serve per la trasformazione profonda delle persone che a essa si rivolgono: nel caso della signora con "il marito" con l’eiaculazione precoce potrebbe, ad esempio, servire a "trasformare" quella parte incontinente della signora che la costringe a sposare un uomo con eiaculazione precoce per trovare modo di vivere il proprio problema di incontinenza (e all’occasione raccontarlo), o divenuta capace di contenimento non si porrà più con il suo uomo in modo tale da favorirgli il sintomo e altri infiniti percorsi possibili; ma la eiaculazione precoce del "marito" la si cura nella stanza d’analisi, come nella stanza d’analisi si curerebbe il sintomo relativo al "non saper tenere in ordine le pratiche dell’ufficio".

Risolto il problema dentro la stanza, compiute operazioni trasformative in essa, è gioco forza che esse riverberino in un fuori, che per noi in quanto analisti è un fuori campo cui possiamo avere accesso, come tutti, ma in quanto non analisti.

L’analista per prendere tale statuto ha bisogno del paziente e del setting.

Fuori da questo contesto è un uomo o donna con diritto alla parola su tutto, ma non in quanto analista.

Questo non vuol dire negare la nostra storia comune e condivisa di cui dicevo all’inizio e la gratitudine per le teorie e i modelli che sono i nostri massimi comuni divisori, sui quali non dobbiamo stancarci di riflettere, ma implica poter utilizzare quello che sappiamo per vedere - utilizzo il titolo del bel libro di R. Speziale Bagliacca Sulle spalle di Freud, ma aggiungerei anche della Klein, di Bion e di ogni nostro Maestro - qualcosa di oggi maggiormente specifico rispetto quel campo che la psicoanalisi esplorando allarga di continuo (Bion), campo nel quale comunque e sempre coesistono da altri vertici, altre possibilità organizzative, altri modelli, altre teorie.

 

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