Strategie discorsive e identificazione proiettiva nella tragedia di Otello

Osservazioni su alcuni passi dell' "Otello"di W.Shakespeare.

 

Giovanna Goretti Regazzoni

 

"L'identificazione proiettiva.....Per lo più si tratta di una fantasia onnipotente che opera realisticamente.Sarei incline a credere che questa sia la condizione normale nell'identificazione proiettiva."(Bion 1967)

In questo lavoro le categorie concettuali dell'identificazione proiettiva saranno individuate e commentate ripercorrendo alcuni passi della versione shakespeariana della tragedia di Otello, essendo Otello l'esempio drammatico di un contenitore soverchiato e disconnesso dalla violenza degli stati mentali indotti.

Strumento alla lettura sarà la concezione relativa all'identificazione proiettiva che affiora in maniera ricorsiva in molti dei primi scritti di Bion, ove non trova, per altro, una sistematica formulazione. Nel XII capitolo di "Apprendere dall'Esperienza" (Bion 1962) tale concezione si esprime comunque in alcuni passi di particolare rilevanza teorica. Cito: "L'attività che noi conosciamo come pensiero era in origine una procedura per sbarazzare la psiche dall'accumulo di stimoli e il meccanismo è quello che è stato descritto da Melanie Klein come identificazione proiettiva.Il tracciato a grandi linee di questa teoria è che esiste una fantasia onnipotente che è possibile staccare via parti della personalità, temporaneamente indesiderate...e metterle in un oggetto.....

E' anche possibile, e nella pratica essenziale, osservare l'evidenza che mostra che un paziente in cui l'operazione di questa fantasia onnipotente può essere dedotta è capace di un comportamento che tende a realizzare la fantasia stessa. Fin dall'inizio della vita, il paziente ha il contatto con la realtà sufficiente a metterlo in grado di agire in un modo che faccia nascere nella madre i sentimenti che egli non vuole o che egli desidera che la madre abbia" (pag 65).

Specificando che l' identificazione proiettiva si realizza con un comportamento idoneo a suscitare in una altra persona specifiche emozioni- quelle che un soggetto non vuole, ma anche quelle che un soggetto vuole che l'altro abbia- Bion offre un importante criterio di individuazione e demarcazione dell'identificazione proiettiva, allargando nel contempo il campo di fenomeni coperti da questo concetto che arriva ad includere fenomeni di plagio e di influenzamento del pensiero.

Criterio poco noto, poco citato e poco utilizzato nel suo rilevante potere esplicativo ed euristico, esso rende possibile differenziare l'identificazione proiettiva dal più noto, da più tempo studiato, meccanismo della proiezione, talvolta i due processi essendo nella letteratura giudicati intercambiabili. La differenza è riconducibile a un diverso impatto sulla realtà che i due processi esercitano, secondo una differenza che è, in qualche misura, segnalata e inscritta nell'area semantica delle preposizioni e avverbi che li denotano: il "verso" e il "su" della proiezione e il "dentro" dell'identificazione proiettiva. La proiezione, infatti, essendo una costante nei processi di appercezione del reale, influenza essenzialmente la rappresentazione mentale degli oggetti e non la loro realtà. Certo, rappresentazioni mentali distorte funzionano come latenti strutture generative di andamenti relazionali nei quali l'oggetto può rimanere coinvolto, e quindi modificato, ma si tratta di una modificazione non direttamente perseguita dal processo proiettivo mentre l' identificazione proiettiva, per sua natura, perchè lo scopo che persegue si realizzi, deve modificare intimamente l'oggetto, il suo modo di sentire, il suo modo di sentirsi. Il diverso impatto sulla realtà che i due processi esercitano si rende evidente riflettendo sull'effetto diverso prodotto dall'azione dell'incolpare (attribuire una colpa) e del colpevolizzare (far sentire in colpa): a differenza dell'incolpare, che può consistere anche in una semplice atto mentale nei confronti di un oggetto assente, il colpevolizzare richiede un comportamento idoneo a suscitare nell'oggetto quell' atteggiamento mentale complesso, che definiamo senso di colpa. L'arco delle condotte idonee a colpevolizzare è certamente molto ampio ed esempi significativi possono essere ritrovati anche nella letteratura: quando i piccoli principi del romanzo "Altezza Reale" di T.Mann si comportavano male, la bonne non li redarguiva, ma, molto più efficacemente, e con effetto più profondamente pervasivo, "li guardava con tristezza" . Uno dei bambini piangeva, quando era "guardato con tristezza", ma l'altro, il maggiore, non avrebbe pianto a nessun costo: esempio letterario di modi diversi di gestire quel flusso di identificazioni proiettive che accompagna la crescita.

L'attenzione al versante realistico dell'identificazione proiettiva aiuta a capire quanto vicino alla conoscenza collettiva sia quello che, nelle parole di Melanie Klein, appariva un quasi indecifrabile processo: nel patrimonio comune della lingua esistono, infatti, molti verbi, denotanti azioni idonee a suscitare stati mentali, azioni quindi che costituiscono, nel loro dispiegarsi, il funzionamento dell'identificazione proiettiva: il già citato colpevolizzare, ma anche incuriosire, ingelosire, insospettire, allarmare, angosciare, e ancora farsi amare, farsi apprezzare, farsi odiare indicano azioni che, all'interno di un contesto relazionale da esse presupposto e istituito, sono idonee a suscitare ("mettere dentro", secondo una espressione grossolanamente impropria, ma con qualche veridica evidenza della incoercibilità di certi vissuti elicitati via identificazione proiettiva) curiosità, gelosia, sospetto, colpa, angoscia; amore, ammirazione, devozione...Saranno queste alcune delle azioni che la mente insana di Iago costruirà con perizia e calcolo: la lettura dei dialoghi dell'0tello lo mostrerà, permettendo di cogliere ed esplorare l'identificazione proiettiva nella sua propria "fisiologia", nella sua dinamica materialmente intesa, nel suo farsi: fisiologia, dinamica, farsi che può contare sulla potenza segreta, persuasiva e suggestiva del linguaggio, sulla potenzialità inerente alla parola di creare invasivi, massivi stati mentali, di essere quindi strumento elettivo per realizzare identificazioni proiettive. Sarà data altresì evidenza al concorso di semplici elementi prosodici, quali pause ed esitazioni o all'uso accorto di circostanze che, secondo le parole di Bion, rivela - e richiede - contatto con la realtà e quel grado di tolleranza della frustrazione idonea a permettere il passaggio da una fantasia onnipotente ad una azione realistica: se non esiste questa tolleranza, se non esiste la capacità di muoversi all'interno di precise coordinate spazio temporali, accettando i limiti che esse impongono, "la fantasia onnipotente di identificazione proiettiva rimane soltanto una onnipotente fantasia". Bion (1962) non manca di segnalare quanta perspicacia è richiesta all'analista per osservare e interpretare l'operare della fantasia come un fenomeno deducibile dall'evidenza, invitando a ricercare "i segni" di quell'adattamento alla realtà che si manifesta nella capacità di manipolare il propro ambiente così che la fantasia di identificazione proiettiva appaia avere sostanza nella realtà (Bion pag 66): ripetutamente, nel corso di un paio di paginette, Bion riconduce l'identificazione proiettiva nell'ambito di un fenomeno che può e deve essere studiato nelle sue osservabili manifestazioni, ben lontana quindi da quella vaghezza di contorni e perfino di esistenza che è diventata l'identificazione proiettiva nella letteratura contemporanea.

Risponde all'esigenza di descrivere concisamente un processo e, in parte, a una tendenza alla reificazione (quanto mai impropria, trattandosi di stati della mente) affermare che certi comportamenti "mettono dentro" colpa, gelosia, terrore ecc.: in realtà suscitano stati mentali complessi, di disagio e sofferenza psichica, che richiedono di essere tollerati, compresi e integrati nella immagine storicizzata di Sè: all'interno di questo processo si colloca la possibilità di "pensare" il proprio stato mentale, facendo ricorso a descrizioni verbalmente codificate, quali colpa, gelosia, ecc. E' appena necessario ricordare, inoltre, che gli affetti non vengono mai sperimentati in forma pura, che esiste sempre una mescolanza di stati affettivi, condizione che ne rende arduo il contenimento e la elaborazione cognitiva. La modalità di gestione intrapsichica degli stati mentali indotti non differisce, peraltro, dalle modalità con cui vengono abitualmente amministrati i propri stati interiori, il contenimento essendo reso più arduo e le reazioni più estreme dalla notevole forza d'urto che accompagna generalmente gli stati indotti. Si tratta, infatti, di emozioni allo stato puro (anche se, per suscitarle, possono essere usati mezzi estremamente sofisticati), di cui il soggetto che opera l'identificazione proiettiva è conscio, nel senso che diffusamente, genericamente e in maniera disturbante le percepisce; ma di cui non è consapevole, nel senso che non è interessato, o non ha la possibilità, di comprenderle, di sottoporle a un processo di decodificazione , nè di modularle sulla base di un ampio spettro di valori, nè di integrarle - o contrapporle - ad altre emozioni: queste operazioni spettano integralmente a chi riceve l'identificazione proiettiva. La tragedia di Otello è la tragedia della assenza o del difetto di queste operazioni con conseguenti stati mentali di intensità dilagante e agiti incontrollati, sull'onda dello stato mentale indotto.

La comprensione del "come si fa" l'identificazione proiettiva diventa anche condizione per comprendere il "che cosa è" e il "perchè" del suo uso. E' noto che la domanda "che cosa è l'identificazione proiettiva" consente più di una risposta. Si può affermare infatti, usando classiche definizioni nominali, che l'identificazione proiettiva è un meccanismo di difesa, è una modalità comunicativa, è un tipo particolare di relazione d'oggetto, è uno strumento al servizio della conoscenza, ma solo contestualmente alla fenomenologia del suo uso può essere data evidenza alla legittimità di assegnare predicati così diversi allo stesso termine. Se la caratteristica essenziale dell'identificazione proiettiva consiste nel suscitare in un oggetto i sentimenti che uno non vuole o che vuole che l'altro abbia, (Bion pag 65) fare l'identificazione proiettiva di uno stato mentale può rispondere all'esigenza di liberarsi di un sentimento intollerabile, allocandolo in un oggetto o anche, come incominciamo a pensare all'interno di nuovi modelli teorici, di dare al Sè un senso di esistenza e consistenza (secondo il principio "se mi odia, se mi invidia, se mi è grato vuol dire che esisto"): per queste ragioni è possibile considerare l'identificazione proiettiva un meccanismo di difesa. Può rispondere all'esigenza di "comunicare" questo sentimento ad un oggetto, perchè ne faccia esperienza in forma diretta e senza mediazioni ne venga a partecipare, il verbo "comunicare" essendo usato non nel suo significato letterale di dare informazioni, ma nel significato metaforico dei sinonimi contagiare, travasare, infondere- riconoscibile in espressioni del linguaggio comune, quali "comunicare gioia di vivere", "comunicare un senso di morte": chi subisce l'impatto di questi stati può esserne invaso e abbandonarsi ad essi; può ragionevolmente gestirli portandoli nell'area della propria esperienza di Sè; può rifiutarli, irrigidendo, in un certo senso, le frontiere del Sè, per non esserne "contaminato": nell'uso equilibrato di queste possibilità si rispecchiano livelli diversi di salute mentale, livelli diversi di capacità di fruire e arricchirsi del rapporto con l'esterno. Per valutare la differenza tra una comunicazione basata su modalità asimmetriche di pensiero idonea a veicolare "informazioni" (sia pure di alto contenuto emotivo) e la "comunicazione" via identificazione proiettiva di uno stato emotivo, pensiamo alle sensazioni evocate dalla poesia di Ungaretti: "Si sta - come d'autunno sugli alberi - le foglie", che ha per titolo "Soldati" e confrontiamola con l'effetto emotivo suscitato da una lettera dal fronte, in cui un soldato scrivesse "qui ci sentiamo sempre prossimi a morire". Questa lettera lnformerebbe il lettore di una situazione di tragica precarietà; solleciterebbe intensa preoccupazione e pena per la persona in essa coinvolta; potrebbe indurre l'operazione di "mettersi nei panni" di chi scrive, per cercare di capire più profondamente la sua condizione, ma la poesia richiede di vivere, direttamente e in proprio, la minaccia costante di morire, la condizione di tragica precarietà che è dei soldati, ma che è anche di ogni uomo che si sa mortale: ogni lettore attento ne risulta in qualche misura occupato. L'esempio della lettera e della poesia permette anche di comprendere il diverso impatto emotivo prodotto da uno stato mentale già in parte elaborato e "digerito" (la lettera) e uno stato mentale che aspetta elaborazione e digestione dalla funzione di un'altra mente. La conoscenza della "fisiologia" dell'identificazione proiettiva rende così evidente anche la sua funzione conoscitiva e agevola la possibilità di considerarla uno strumento al servizio della conoscenza, della crescita e dello sviluppo. Facendo ricorso all'identificazione proiettiva "ci si procura infatti la possibilità di studiare le proprie sensazioni, attraverso l'effetto che producono nella personalità in cui vengono proiettate "(Bion 1967, pag 162) ; ci si procura inoltre la possibilità di apprendere modi più adeguati e maturi di gestirle.

I diversi scopi dell'identificazione proiettiva che corrispondono e rimandano ai suoi diversi predicati -e sono certo in misura diversa copresenti e dipende da chi riceve l'identificazione proiettiva saper trarre da essa il massimo profitto per la relazione e il minor danno personale- si attuano all'interno di un particolare tipo di relazione che, partendo da una iniziale esperienza di separatezza (senza la quale non mi sembra pensabile l'uso di questa modalità di funzionamento) passa attraverso fasi più o meno prolungate di compenetrazione e confusione tra il Sè e l'oggetto, non facili da gestire e risolvere: non facili per l'analista, che pure può contare sulla conoscenza teorica del fenomeno; a maggior ragione, non facili da gestire nei rapporti quotidiani.

Come segnala Bion, le azioni attraverso cui si realizza l'identificazione proiettiva costituiscono l'evidenza che permette di supporre l'esistenza della fantasia di staccare parti della personalità e metterle in un oggetto, ma la fantasia, in quanto tale, rimane generalmente preclusa alla conoscenza; le caratteristiche formali del dramma consentono invece l'accesso, grazie al monologo, ai pensieri segreti, permettendo di seguire i due momenti costitutivi del processo: il momento fantasmatico (che è, dell'identificazione proiettiva, contemporaneamente la matrice emotiva e il precipitato progettuale) e i tempi lunghi della sua realizzazione.

Nell'atto secondo, seconda scena, Iago espone il suo progetto, la condizione mentale che lo ispira e lo scopo che con esso persegue.

 

Iago The Moor, howbe't that I endure him not,

is a costant, noble, loving nature;

And I dare think, he'll prove to Desdemona

A most dear husband: now I do love her too,

Not out of absolute lust

But partly led to diet my revenge

For that I do suspect the lustful Moor

Hath leap'd into my seat, the thought whereof

Doth like a poisonous mineral gnaws my inwards,

Till I am even with him, wife for wife:

Or failing so, yet that I put the Moor,

At least, into a jealousy so strong

That iudgement cannot cure.

 

Iago Il Moro, per quanto mi sia odioso riconosco che è di indole nobile,affettuosa e costante e arrivo a credere che possa anche riuscire per Desdemona un eccellente marito.E però la sua donna l'amo anch'io non solo per lussuria, ma in parte, spinto anche da un desiderio di vendetta, che talvolta ho sospettato che il Moro lascivo si sia inforcato la mia sella! Questo pensiero, come un veleno minerale, mi rode le interiora: sicchè io non mi sentirò l'animo in pace finchè non avrò fatto pari e patta con lui, moglie per moglie, o, in mancanza di questo, finchè non avrò almeno gettato il Moro in una così profonda gelosia che nessuna forza di ragione varrà a curargliela.

Dopo aver formulato l'intento di calunniare Michele Cassio, allo scopo di suscitare la gelosia di Otello, Iago continua:

Iago: I'll make the Moor thank me, love me and reward me

For making him egregiously an ass

And practising upon his peace and quiet,

Even to madness.

Iago Mi conquisterò gratitudine affetto e considerazione dal moro, avendolo ridotto ad asino integrale e avendo manipolato la sua pace e la sua tranquillità fino a farlo impazzire.

L'acuta conoscenza del funzionamento mentale cui perviene l'artista gli permette di descrivere una condizione in cui emozioni acutamente dolorose sono equiparate a veleni tossici che mordono l'interno del corpo ed esiste la convinzione che la pace può essere recuperata evacuando in un oggetto il proprio travaglio intossicante. Iago sembra muoversi su questo livello di funzionamento mentale: vessato dall'odio per Otello, dall'invidia per il suo buon rapporto con Desdemona, dall'umiliazione per il torto subito e dal desiderio di vendetta aspira a liberarsi di questi sentimenti torturanti riversandoli in Otello, attraverso il ricorso alla nota strategia relazionale del "fare pari e patta con lui: Moglie per moglie.": comportandosi cioè con Otello come Otello si è comportato con lui.

Adottata, anche consapevolmente, per "far provare" o "comunicare" all'oggetto la propria sofferenza "fare pari e patta" è condotta peculiare dell'identificazione proiettiva: forse da essa il processo intuito dalla Klein deriva la sua problematica denominazione. E' infatti la condotta di Fabien, il protagonista del romanzo "Si j'etais vous" di J.Green, romanzo che come è noto, M.Klein utilizza per illustrare l'identificazione proiettiva nel lavoro "On Identification" (Klein 1955). Dalla lettura di alcuni brani del romanzo che la Klein riporta risulta che Fabien, il protagonista, non desidera soltanto assumere l'identità di un altro (desiderio che costituisce il titolo del romanzo), bensì desidera operare uno scambio di ruoli all'interno di un rapporto: diventare l'altro, ma perchè l'altro sperimenti gli intollerabili vissuti che lui stesso provoca. Questo appare con chiarezza soprattutto nella trasformazione di Fabien in Poujars, il suo padrone. Dopo averci informato che Fabien non solo lo invidia, ma anche gliene vuole perchè si sente trattato da lui con disprezzo, M.Klein scrive: "Prima di sussurrare la formula all'orecchio di Poujars, Fabien gli parla con il tono sdegnoso e umiliante che il suo padrone aveva con lui. La trasformazione ha per effetto di far entrare la vittima nel corpo di Fabien". Fabien cioè si trasforma assumendo il tono del suo padrone, appropriandosi di una sua caratteristica e quel tono obbliga il padrone a traslocare "nel corpo" del suo dipendente, cioè a vivere come propri i sentimenti di inferiorità e di umiliazione che sono stati di Fabien. E' noto infatti che se un soggetto parla in maniera sdegnosa e umiliante l'interlocutore si sentirà (nella maggior parte dei casi transitoriamente, prima cioè che intervengano fenomeni di aggiustamento) nella condizione non solo psichica, ma anche fisica di un inferiore, il tono di voce di chi parla avendo la proprietà di influenzare sensibilmente anche l'atteggiamento posturale di chi ascolta. "La vittima" cioè Poujars contiene, alla fine del processo, i sentimenti che Fabien odia di se stesso: il suo senso di umiliazione, inferiorità, impotenza. Coerentemente con la concezione bioniana, perchè certi sentimenti possano "passare" da una mente all'altra non è sufficiente una fantasia desiderante, ma è richiesta una condotta appropriata. Il processo, che la relazione Fabien- Poujars descrive in termini fenomenologici, consiste quindi in una identificazione con l'oggetto (attraverso l'assunzione di sue qualità) cui conseguono, a cui sono concomitanti, effetti proiettivi. Nella letteratura postkleiniana, quindi anche in Bion, il termine identificazione proiettiva ha finito per indicare "proiezione nell'oggetto", cioè un processo basato su una istanza fantasmatica soltanto espulsiva: poichè la proiezione nell'oggetto non è perseguita tramite l'identificazione con esso (come nella strategia del "pari e patta"), il termine non rispecchia più il processo che denota.

Il processo alternativo di Iago "put the Moor,- at least, into a jealousy so strong- That judgement cannot cure" (gettare il Moro in una così profonda gelosia, che nessuna forza di ragione valga a curargliela) rispecchia una modalità di funzionamento mentale più profondamente perversa, perchè sostenuta dal desiderio di perturbare fino alla devastazione la salute mentale dell'oggetto, la dimensione psichica più odiata e più invidiata. Anche proporsi di ottenere gratitudine affetto e riconoscimento da Otello, avendolo ridotto ad asino integrale, implica una fantasia di massiccia colonizzazione dell'oggetto, di totale compromissione della sua autonomia emotiva e di pensiero, specifica di quelle forme di identificazione proiettiva nelle quali sembra che l'intero sè si forzi nell'oggetto e ne prenda espropriante possesso.

Con quella capacità di "manovrare le circostanze" che, come ha segnalato Bion, è necessaria per realizzare l'identificazione proiettiva, Iago crea le condizioni per poter istillare nel Moro diffidenza sospetto e gelosia nei confronti di Cassio, suo luogotenente e amico di lunga data.

Iago sollecita quindi Cassio a bere, poi provoca una rissa, nella quale Cassio rimane coinvolto. Otello, svegliato dagli schiamazzi, accorre e punisce Cassio, revocandogli la nomina a luogotenente. Iago suggerisce allora a Cassio di pregare Desdemona di intercedere per lui presso Otello. Come in un crocevia queste diverse operazioni confluiscono nell'azione di portare Otello a passare là, dove Cassio incontra Desdemona: quello è il momento per versare in Otello il primo germe del sospetto. Infatti, mentre Cassio prende commiato da Desdemona, allontanandosi:

Iago: Ha, I like not that.

Otello: What dost thou say?

Iago : Nothing, my lord, or if- I know not what

Otello: Was not that Cassio parted from my wife?

Iago: Cassio, my lord? no, sure, I cannot think it, that he

would sneak away so guilty-like, seeing you coming

Otello: I do belive 'twas he.

 

Iago : Oh, non mi piace::

Otello: Che dici?

Iago : Nulla, signore, o, forse- non so che cosa.

Otello: Non era Cassio quello che ha salutato mia moglie ed è uscito?

Iago: Cassio, signore? No, certo: non posso credere che sarebbe sgaiattolato via come un ladro alla vista di voi.

Otello: Credo che fosse lui

Questa sequenza dimostra che il nucleo fantasmatico dell'identificazione proiettiva richiede, per realizzarsi, la cooperazione dell'oggetto. Mentre in qualsiasi momento, e anche all'insaputa di Otello, Iago avrebbe potuto attribuirgli un moto di sospetto nei confronti di Cassio, per fare l'identificazione proiettiva di un pensiero sospettoso è necessaria non solo la disponibilità dell'oggetto ad accogliere l'evento comunicativo, ma anche la sua capacità di elaborare i diversi livelli dell'informazione, trasmessi vuoi dal codice verbale e non verbale, vuoi dagli elementi contestuali che accompagnano la comunicazione."Ha, I like not that" (oh, non mi piace), pronunciato possiamo supporlo- o ricordarlo dalle molte versioni cinematografiche e teatrali della tragedia- con un tono di voce pensieroso ed allusivo, nel momento in cui Cassio si allontana, è idoneo a mettere in Otello la prima nota di allarme perchè egli è recettivo nei confronti del suo interlocutore, come della realtà che lo circonda. Un Otello "distratto" avrebbe potuto non collegare significativamente le parole di Iago all'allontanamento di Cassio, rifiutando così l'identificazione proiettiva. Possiamo supporre, per altro, che la sua impermeabilità avrebbe creato le condizioni per quel fenomeno che nella letteratura bioniana viene chiamato identificazione proiettiva eccessiva, caratterizzata da una intensificazione delle manovre realistiche idonee ad ottenere l'effetto desiderato.

Nel "What dost thou say?" (che dici?) la franca natura del Moro sembra già vibrare per l'apprensione sensuosa, più che logica, del contenuto emotivo ed ideativo del commento di Iago. La cui tantalizzante risposta "Nothing, my lord, or if- I know what" (nulla, signore o forse- non so cosa) potentemente induce a pensare che c'è qualche cosa, ma così torbido e oscuro e impreciso che non è possibile formularlo a parole.

Sarà Otello che, apparentemente leggendo nella mente di Iago, in realtà dando espressione al pensiero che Iago ha "messo" nella sua mente, domanderà, esitando:"Was not that Cassio parted from my wife?" (non era Cassio quello che ha preso commiato da mia moglie?). Nella domanda in forma negativa, vediamo in atto il tentativo del contenitore di contrastare l'inquietante sospetto, ma anche il suo modo di cominciare a misurarsi con esso: la colonizzazione dell'oggetto è sicuramente iniziata e la successiva risposta di Iago (che, mentre apparentemente difende l'amico, in realtà va costruendo un disegno potentemente allusivo della sua colpevolezza) la rende più stabile ed estesa: Otello, infatti, non domanda più, ma afferma: "I do belive 'twas he" (credo che fosse lui).

E' evidente che Iago, fino a questo momento, non ha fatto affermazioni esplicite. Otello non è quindi nella condizione di potere contraddire o mettere in discussione contenuti precisi, può solo cercare di capire quello che il discorso di Iago implicitamente suggerisce o lascia intendere, adottando inconsapevolmente quella condizione di compenetrazione, di più o meno durevole o transitoria abolizione dei confini tra sè e oggetto che è dimensione peculiare dell'identificazione proiettiva. Non è infrequente che l'oggetto, impegnato in questo tipo di operazioni cognitive, possa in seguito essere convinto che certi contenuti siano stati effettivamente formulati dal soggetto e magari imputarglieli. Otello potrebbe dire a Iago "tu hai detto che Cassio si è allontanato da mia moglie appena mi ha visto", ma Iago potrebbe legittimamente sostenere di non aver mai fatto quella affermazione, perfino di non aver mai pensato nulla di simile: infatti colui che fa una identificazione proiettiva non dice e non pensa certi contenuti, ma crea le condizioni perchè l'altro possa pensarli.

Segue l'incontro di Desdemona e Otello. Con insistenza infantile la donna intercede per Cassio, Otello tergiversa, e forse nella sua mente si verifica quanto Iago aveva previsto: "And by how much she strives to do him good,- She shall undo the credit with the Moor" (più lei insisterà e più si inasprirà la diffidenza del Moro). Rimasti nuovamente soli, proprio nel momento in cui Otello scopre la sua vulnerabilità, la sua estrema dipendenza non tanto dall'amore di Desdemona per lui, quanto dalla sua possibilità di amarla ("Excellent wretch, perditio catch my soul, but I do love thee, and when I love thee not, Chaos is come again" Eccellente creatura, che io possa esser dannato se non ti amo e quando così non fosse è il caos), Iago sommessamente torna alla carica.

Iago My noble Lord

Otello What dost thou say, Iago?

E' certamente una inflessione tonale che fa di un semplice richiamo, una oscura promessa di perturbanti rivelazioni. Otello sembra già confusamente percepirle, rispondendo a quel richiamo con un allarmato, assurdo "che dici?". Assurdo sul piano di una pura logica semantica perchè Iago, a rigore, non ha detto nulla, ma profondamente coerente rispetto a quel piano di comunicazione che, pur veicolato dalle parole, sottosta ad esse e le trascende, essendo basato su processi quasi del tutto inconsapevoli di inferenza e anticipazione. Iago ignora la domanda di Otello, che gli dà comunque la certezza di aver saldamente catturato la sua attenzione e continua nella sua operazione

Iago : Did Michael Cassio, when you woo'd my lady, know of your love?

Otello: He did, from first to last...why dost thou ask, Iago?

Iago : But for a satisfaction of my thought.

No further harm

Otello: Why of thy thought, Iago?

Iago : I did not think he had been acquainted with her.

Otello: O yes, and went between us very often.

Iago : Indeed?

Otello: Indeed? Indeed: discern'st thou aught in that? Is he not Honest?

Iago : Honest, my lord?

Otello: Honest? hy, honest.

Iago : My lord, for aught I know.

Otello: What dost thou think?

Iago : Think, my lord?

Otello By heaven, he echoes me,

As if there were some monster in his thought,

Too hidous to be shown: thou didst mean something;

I heard thee say but now, thou lik'st not that,

When Cassio left my wife.what didst not like?

And when I told thee he was of my consuel.

In my whole course of wooing, thou criedst"Indeed?"

And didst contract and purse thy brow together,

As if thou then hadst shut up in the brain

Some horrible conceit: if thou dost love me,

Show me thy thought.

 

Iago Quel Michel Cassio, quando facevate la corte alla signora, sapeva del vostro amore?

Otello Sì, dal primo momento e sempre: ma perchè me lo domandi?

Iago Così, per dare soddisfazione a un mio pensiero e niente altro.

Otello Un tuo pensiero, Iago?

Iago Non sapevo che avesse conosciuto la signora:

Otello Sì.Faceva la spola tra noi due molto spesso.

Iago Ah, così?

Otello Così, certo: che ci vedi? E non è egli onesto?

Iago Onesto, signor mio?

Otello Onesto.Onesto.

Iago Per quel che io ne so, signor mio

Otello Che pensi?

Iago Pensare, signor mio?

Otello Pensare, signor mio?....Ah, perdio, questo qui mi fa l'eco, come se avesse nella mente un pensiero troppo orribile per esporlo alla vista.Tu qualche cosa hai in mente.Io ti ho sentito mormorare, giusto un momento fa"oh non mi pi piace"mentre Michele Cassio si congedava da mia moglie.Che cosa non ti piace? E quando or ora ti ho detto che per tutto il periodo che le feci la corte, lui fu sempre la spola tra noi due, hai esclamato:"Ah, così?"increspando e corrugando la fronte come a tenere ben serrato nel tuo cervello qualche pensiero orribile.Se tu mi sei affezionato parla chiaro.

La richiesta di Otello di parlare chiaro riflette la defaillance del contenitore, la sua incapacità a contenere più a lungo quel dubbio e quel sospetto che Iago ha fatto crescere fino a un limite intollerabile con le più sottili risorse dello strumento verbale, vuoi con quella domanda "Michele Cassio sapeva del vostro amore?" che mentre apparentemente sollecita una risposta, in realtà attira l'attenzione di Otello su una circostanza inquietante- e possiamo così costatare che anche una domanda può essere usata al servizio dell'identificazione proiettiva- vuoi ripetendo un aggettivo in tono interrogativo "onesto, signor mio?", ben nota tecnica discorsiva, idonea a mettere in dubbio quanto precedentemente affermato, vuoi trincerandosi dietro un prudente e rispettoso "per quel che io ne so, signor mio" che presentifica alla mente ormai turbata di Otello l'inquietante esistenza di un universo ignoto.Elaborando febbrilmente i momenti testuali e contestuali del discorso di Iago, Otello domanda al suo interlocutore che cosa egli intenda dire; mentre in realtà dovrebbe domandarsi che cosa Iago voglia fargli pensare. Analogamente Otello sbaglia nel ritenere che certe espressioni fisionomiche di Iago, come increspare e corrugare la fronte, indichino il desiderio di Iago di"tenere ben serrato nella mente qualche pensiero orribile": in realtà servono a instillare un pensiero orribile nella testa di Otello, dovendo essere interpretati, per usare le parole di Bion, "non come manifestazioni di uno stato d'animo", ma come movimenti muscolari di escrezione" (Bion 1962 pag38)

Dicevo che la richiesta di Otello di parlare chiaro segna il fallimento della funzione e capacità di contenere: non potendo più oltre tollerare quell'insopportabile dubbio che, installato nella sua mente, sembra anche claustrofobicamente inglobarla, (era infatti intenzione di Iago gettare Otello nella gelosia) Otello aspira a liberarsene sia pure conseguendo una atroce certezza. Nelle sue parole affiora, violento, l'odio per Iago, responsabile di quella sua devastante condizione mentale. Iago è in qualche misura consapevole di questo odio: sapendo di avere elicitato nella mente dell'oggetto pensieri ad alto contenuto emotivo, sentendo l'oggetto gonfio di rabbia e desideroso di espellerli, chi fa una identificazione proiettiva vive l'angoscia paranoide di una ritorsione violenta. Iago abilmente neutralizza la situazione: comincia infatti col confessare che il peggior difetto della sua natura è "to spy into abuses" (frugare negli angoli bui), creando "faults that are not" (colpe che non esistono). Poi supplica Otello di non dare peso di sorta alle sue imperfette congetture e non costruirsi un tormento sulla base di osservazioni sparse e malsicure. Dichiara, inoltre, che non sarebbe proficuo nè alla quiete nè al bene di Otello metterlo a parte dei suoi pensieri, nè degno del suo onore, onestà e saggezza. Lo invita infine a guardarsi dalla gelosia "green-ey'd monster, wich doth moch-That meat it feeds (mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre). Otello è così portato a pensare "This fellow's of exceeding honesty, And knows all qualities, with a learned spirit,-Of human dealing" (questo uomo è onesto fino allo scrupolo e valuta con occhio esercitato persone e fatti), dimostrando con queste parole che la fantasia di Iago di trasformarlo in "asino integrale" si è realizzata. Accusando se stesso, sottovalutando i suoi pensieri, mostrando di avere a cuore soprattutto il bene di Otello, Iago lo ha infatti convinto della sua onestà correttezza e devozione, guadagnandosi, come aveva progettato, la sua gratitudine, il suo amore e la sua devozione. Suscitando questi sentimenti in Otello, Iago mantiene un saldo controllo su di lui, limitando ulteriormente la sua capacità di guardare autonomamente alla realtà. Che le situazioni relazionali nelle quali si realizza una qualche forma di influenzamento, rientrino nel fenomeno generale dell'identificazione proiettiva è suggerito da Bion quando, nel passo citato, parla della capacità di suscitare in un oggetto i sentimenti che uno non vuole avere, ma anche i sentimenti che uno desidera che l'altro abbia. Più esplicitamente- e parecchi anni dopo- Grotstein (Grotstein 1981) scrive: "ogni forma di manipolazione, persuasione ingraziazione o seduzione involve identificazione proiettiva, nel senso che il soggetto desidera controllare un oggetto (pag 179-180). Avendo già indotto Otello a "vedere" Cassio che si allontanava e avendolo portato a vedere in maniera diversa circostanze passate e lo stesso Cassio (quasi facendo una identificazione proiettiva del suo occhio perverso) ora Iago aggiusta il tiro su Desdemona e comincia a dipingerla come quella che "so joung give out such a seeming, To seal her father's eyes up" (giovinetta come era, sapeva già talmente dissimulare, da cucire gli occhi a suo padre); quella che, proprio amando Otello, rivelava forse "a will most rank, foul disproportion; thoughts unnatural" (tendenze e gusti contronatura); quella che "recoiling to her better judgement" (recuperando più maturo giudizio) poteva arrivare a pentirsi della sua scelta.

Malgrado Otello si sia limitato a rispondere "If more thou dost perceive, let me know more" (se altro scoprirai mi dirai di più), Iago rimasto solo afferma:"The Moor already changes with my poison" (già mi si sta modificando il Moro sotto l'azione del mio veleno). E poco dopo: "Not poppy, nor mandragora, Nor all the drowsy syrup of the world, Shall ever medicine thee to that sweet sleep Wich thou owedst yersterday (nè papavero, nè mandragola nè tutti i sonniferi della terra, varranno a ridarti il dolce sonno tuo di ieri sera). Iago è cioè sicuro dell'effetto delle sue parole, sa che i pensieri velenosi che egli ha messo in Otello hanno ormai preso stabile possesso della sua mente e stanno devastando la sua pace e la sua invidiata tranquillità.

Non sempre accompagnata da una così lucida consapevolezza dei suoi effetti, l'identificazione proiettiva è certamente la modalità relazionale che più potententemente incide sulla realtà dell'oggetto, la sua azione essendo tanto più estesa e pervasiva, quanto più debole è l'organizzazione mentale di chi la subisce. Se a baluardo e come estrema difesa nei confronti di essa può essere eretta una condizione di impermeabilità e sordità emozionale, modalità meno mutilanti comportano e richiedono che sia preservata o prontamente recuperata la capacità di pensare. Di quel pensare che, pur soffrendo il contenuto emotivo dei pensieri, mantiene quella capacità e libertà di giudicare, valutare e ricordare che permette di integrare i contenuti emotivi e ideativi emergenti nella visione complessiva del sè, degli oggetti, del mondo. Queste operazioni mentali riducono la virulenza dell'identificazione proiettiva, rendendone gli effetti più tollerabili per l'oggetto che la riceve. Ma come è noto, è la capacità di pensare la dimensione psichica che viene più radicalmente compromessa dall'impatto devastante delle identificazioni proiettive come dall'impatto di qualsivoglia violenta emozione. La defaillance del pensiero come fattore di contenimento e trasformazione ha, come corollario pressocchè inalienabile, l'agire incontrollato, sull'onda dello stato mentale indotto: agire che in Otello si traduce in azione delittuosa, guidata, fino al suo compimento, dalla mente di Iago. E' Iago, infatti, che alla richiesta di Otello di uccidere Cassio, risponde: "My friend is dead: This done as you request, but let her live (il mio amico è morto, secondo l'ordina vostro, ma lei lasciatela vivere), offrendo alla furia omicida di Otello con una formale richiesta di clemenza, un nuovo bersaglio. Quando poi Otello chiede un veleno per uccidere Desdemona, Iago suggerisce: "Do it with poison, strangle her in her bed, even the bed she had contamined" (non fatelo con il veleno, ma strangolatela nel letto che ha contaminato). E Otello, la cui mente è ormai posseduta da Iago, conviene prontamente: "good, good, the juistice of it pleases, very good" (bene, bene: Mi piace: la legge più giusta.Molto bene).Otello sembra diventato a questo punto il depositario e l'esecutore materiale della distruttività omicida di Iago, assumendone come proprio anche il sistema di valori che guida l'azione criminosa.

Esempio di quelle forme estreme nelle quali l'identificazione proiettiva è al servizio di una istanza fondamentale di morte, la vicenda di Otello invita a domandarci se l'identificazione proiettiva consegua effetti dirompenti, come quelli prospettati dalla tragedia solo in persone particolarmente predisposte che, come suggerisce Grinberg (Grinberg 1976) posseggano psicopatie latenti che possono essere riattivate per l'influenza dell'identificazione proiettiva ricevuta. Era uno psicopatico, Otello? Aveva da sempre un cuore terribile e da sempre era capace di tanto? Oppure chiunque si sarebbe pervertito sotto la pressione esercitata dalla mente degenerata di Iago? Troviamo una risposta a questa domanda nella stessa tragedia là dove Otello, nell'ultima scena, chiede che si parli di lui come di uno "not easily jealous, but being wrought, Perplex'd in the extreme" (non facilmente geloso, ma che tratto fuori di strada, uscì smisuratamente di senno). Sembra di leggere in queste parole l'amaro riconoscimento che altri, nelle stesse condizioni, avrebbe potuto comportarsi diversamente, quasi Otello si riconoscesse un difetto in certe strutture e funzioni della personalità. Nature meno labili e precipitose, più capaci di pensiero e funzione critica, meno suggestionabili, con una più solida autostima, con una più profonda fiducia nella bontà dei propri oggetti avrebbero probabilmente potuto contenere e neutralizzare la pressione omicida di Iago. Probabilmente.Perchè solo all'interno di precise esperienze può essere valutata la capacità di non essere devastati da identificazioni proiettive distruttive, come di non devastare il mondo ricorrendo a violenti agiti o ad operazioni di controidentificazione proiettiva.

 

Riassunto.

 

Le categorie concettuali che competono a quella fondamentale modalità di funzionamento psichico che Melanie Klein ha chiamato identificazione proiettiva (la sua radice fantasmatica; le modalità di realizzazione, tramite performances verbali e non verbali; gli effetti che produce nell'oggetto; gli scopi che persegue) vengono esposte e commentate ripercorrendo alcuni passi dell'Otello di Shakespeare.Fondamento teorico del lavoro, la concezione relativa all'identificazione proiettiva rintracciabile nell'opera di Bion, in particolare la sua comprensione che l'uso di questa modalità di funzionamento si accompagna a complesse azioni idonee a suscitare nell'oggetto specifiche emozioni e attitudini: in queste azioni è leggibile la fantasia di mettere in un oggetto propri contenuti psichici.

E' opinione dell'A che l'aver individuato il versante realistico dell'identificazione proiettiva costituisca il criterio teoricamente più significativo per la comprensione del processo e delle sue funzioni e permetta inoltre di riconoscere che esso non è estraneo alla conoscenza collettiva, ma sia rintracciabile, nel patrimonio comune della lingua, in quei molti verbi che denotano azioni idonee a suscitare svariati stati mentali, come colpevolizzare, ingelosire insospettire, terrorizzare ecc.


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