Protomentalità, autopoiesi, divenire "O"

Diego Napolitani  

Donald Meltzer (1987) afferma: "Nell’opera di Bion non si trovano idee strutturate in modo tale da formare un’unità. Ognuno lo deve fare da solo; ne deriva che le idee che ognuno si fa delle idee di Bion sono qualcosa di diverso dalle sue."

Dall’intervista di Anthony G. Banet jr. a Bion (1976) :

Banet: "Ho l’impressione che lei consideri il suo lavoro, soprattutto il suo libro Esperienze nei gruppi, come un inizio soltanto. Molti altri lo considererebbero un’opera definitiva."

Bion: "Sarebbe davvero un peccato. Il libro non è il punto di vista definitivo, e io esorto coloro che stanno lavorando con gruppi a far sì che diventi il più presto possibile superato".

Banet: "Sono convinto che passerà un bel po’ di tempo prima che sia superato".

Come afferma Meltzer anche io mi sono fatto "da solo" le mie idee sull’opera di Bion. Non credo però che ciò sia dovuto alla mancanza di "idee strutturate" nella sua opera, ma perché l’intera struttura della sua opera è la testimonianza più viva, a volte drammatica, di quella attitudine mentale che egli indica con le espressioni "divenire O", "trasformazioni in O" e simili. Nell’intervista con Banet egli invita i suoi lettori ad applicare sulla sua opera questa medesima attitudine mentale, come se soltanto in questo modo egli potesse verificare che la sua lezione è stata veramente intesa ed accolta.

Cerco di esporre solo alcuni punti che nella complessiva costruzione del mio pensiero sono ad un tempo manifestazioni del profondo solco che Bion ha scavato –e continua a scavare– in me, ed espressioni di quel che io ne ho fatto di questo solco, in termini di trasformazione o "superamento" di alcuni suoi stessi enunciati. In particolare, desidero mettere innanzitutto in evidenza il fatto che Bion tratta in Esperienze nei gruppi gli assunti di base alla stessa stregua in cui Freud ha trattato il simbolo (del cui termine per altro Bion fa scarsissimo uso in tutta la sua opera), e quindi lo sviluppo del pensiero bioniano che lo ha portato a considerare gli adb come fenomeni riferibili all’origine della vita mentale, in quella dimensione simbolica che egli riassume nei termini di mistico, artista, genio, e simili. Ciò mi ha consentito di rivedere i parametri con i quali inizialmente Bion ha definito gli adb e la protomentalità, e di avvalermi di questi concetti così revisionati per avanzare proposte dinamiche sui processi di conoscenza intesi come costruzione della Realtà, cioè come l’autopoiesi specificamente umana.

All’inizio delle sue congetture sul protomentale e sugli assunti di base egli colloca le sue osservazioni e le conseguenti ipotesi teoriche, sullo stesso piano sul quale Freud, e in particolare E. Jones, avevano collocato il simbolo. Dice Jones : "(...) è l’interpretazione dei simboli a suscitare la maggiore ‘resistenza’ nel lavoro psicoanalitico, e inoltre, il simbolismo è anche il centro della più forte opposizione alla psicoanalisi in genere. Questo fatto è in realtà più curioso di quanto potrebbe sembrare, giacché il significato dei simboli in questione è la parte della psicoanalisi che meno dipende dagli psicoanalisti; è un aspetto che, in genere, sta al di fuori della psicoanalisi, poiché è il campo di conoscenza che costituisce il terreno familiare di molti altri rami della scienza, ad esempio l’antropologia, il folklore, la filologia, e così via." (p. 94)

Dice Bion nella seconda parte –"Revisioni"– di Esperienze nei gruppi: "Se si ritiene che valga la pena di tentare di sabilire una procedura terapeutica di gruppo come metodo per curare il singolo sulla base evidentemente delle sue scoperte sugli assunti di base, gli psicoanalisti farebbero però meglio a trovarle un altro nome. Come ho già spiegato non ritengo infatti che esiste alcuna giustificazione scientifica per chiamare psicoanalisi il tipo di lavoro che ho tentato di fare." (op. cit., p.199)

Dice Jones: " La tendenza della mente primitiva –come si è osservato nei bambini, nei selvaggi, nei motti di spirito, nei sogni, nella pazzia e in altri prodotti del funzionamento inconscio– a identificare diversi oggetti tra loro e a fondere insieme diverse idee, a notare le somiglianze e non le differenze, è un aspetto universale e molto caratteristico (...) Diviene palese che si tratta di uno degli attributi della mente più fondamentali e primordiali." (op. cit. p. 112)

Scrivono F. Gatti e C. Neri : " Sembra inoltre individuata nel sistema protomentale quella "struttura di pensiero", primitiva eredità mentale animale, che è "la mente primitiva e la capacità sociale primitiva dell’individuo come animale politico e di gruppo". Sulla base di questa visione "naturalistica" degli assunti di base (analogo al "naturalismo" dei simboli in Jones) si può comprendere lo stupore di Bion quando annota: "Secondo me uno degli aspetti più sorprendenti di un gruppo è il fatto che non ostante l’influenza degli assunti di base, il gruppo razionale o di lavoro alla fine riesce a trionfare." (op. cit., p. 145)

Dice ancora Jones: " Dal punto di vista psicologico, la formazione di simboli rimane un fenomeno regressivo, un ritorno ad un certo stadio di pensiero figurativo, che nell’uomo civilizzato è più evidente in quelle condizioni eccezionali in cui l’adattamento conscio alla realtà o è limitato, come nell’estasi religiosa o artistica, o sembra essere completamente abolito, come nei sogni e nei disturbi mentali. (…) Il simbolismo pertanto appare come il precipitato inconscio dei mezzi primitivi di adattamento alla realtà, che sono divenuti superflui e inutili, una sorta di ripostiglio della civiltà a cui l’adulto prontamente fugge negli stati di capacità ridotta o manchevole di adattamento alla realtà in modo da poter riacquistare i suoi vecchi giocattoli dell’infanzia, da lungo tempo dimenticati" (op. cit., p. 116).

Con la medesima procedura riduttivistica e scientista Bion "rivede" le sue folgoranti intuizioni sul protomentale e sugli assunti di base considerandoli alla stregua di "mezzi primitivi di adattamento alla realtà", cioè come "reazioni difensive verso l’ansia psicotica". E, come "vecchi giocattoli dell’infanzia", essi "possono essere utilizzate dal piccolo gruppo analitico tutta una serie di favole e leggende (pregiudizi) che sono espressione di una cultura di gruppo dominata dagli assunti di base".

Con questi accostamenti voglio sottolineare il potere costrittivo che la tradizione vetero-psicoanalitica (particolarmente personificata da M. Klein) ha esercitato sul pensiero creativo di Bion ai suoi esordi, e sottolineare quindi quale enorme salto epistemologico egli ha compiuto nel momento in cui giunge a mostrare come "lo psicoanalista è (e diviene) quelle stesse forze primordiali che sono proprie del paziente psicotico, del genio e del gruppo in assunti di base" (1981). Ma questi accostamenti non indicano soltanto la medesima matrice culturale di Bion e di Freud (o di Jones), ma sono anche un modo per entrare subito nel merito di un aspetto fondamentale del mio pensiero sul mistero della "autopoiesi cognitiva".

Se col termine ‘simbolo’ intendiamo qualcosa del tutto specifica, e quindi diversa dal termine ‘segno’ (in tutte le sue declinazioni retoriche e pragmatiche, quali ‘emblema’, ‘allegoria’, ‘mito’, ‘metafora’ e simili) non possiamo riferirci per spiegarlo all’enunciato che spiega il ‘segno’: aliquid stat pro aliquo. Il simbolo non è, cioè, un’abbreviazione di un percorso razionale per cui una ‘cosa’ rimanda ad un’altra ‘cosa’, che si dà in altri luoghi e in altri tempi in una sua oggettività sensibile, attraverso una serie, per quanto complicata, di concatenazioni logico-empiriche. Il simbolo, nel suo primo apparire, è una nuova costruzione di senso sulla relazione tra particolari esperienze vissute, che siano del tutto personali o che siano condivise da intere comunità di uomini. La costruzione simbolica (quale che sia la sua sintassi espressiva –artistica, mistica, filosofica, scientifica–) non è (una volta per tutte) ma diviene, nel suo essere indefinitamente ri-costruita da chi è nelle condizioni di coglierla. Attraverso questa ri-costruzione l’uomo ri-organizza la sua visione di settori più o meno ampi del proprio orizzonte conoscitivo, comunque interessati dal potere trasformativo del simbolo.

Nella comune tradizione, raccolta e trascritta in termini ‘scientifici’ dalla tradizione psicoanalitica, l’uomo, in quanto ‘volontà’ conscia o inconscia, produce simboli con le medesime procedure logico-empiriche con le quali produce i suoi mezzi di sussistenza: vedi, ad esempio, la concettualizzazione circa il simbolo come prodotto di una strategia difensiva contro la separazione, la solitudine, la morte. Di fronte alla concezione utilitaristica dell’atto creativo, si pone nel pensiero moderno il problema della condizione di esonero (da ogni necessità strettamente sopravvivenziale) come condizione fondamentale perché l’atto creativo, la poiesis specificamente umana, si manifesti. Dice a questo proposito Garroni: "Come il metalinguaggio non dice nulla, per così dire, delle "cose", di ciò di cui parla il linguaggio–oggetto, così il linguaggio artistico potremmo qui dire la costruzione simbolica è una sorta di meta-operazione che non si pone nessuno dei fini perseguiti dalle operazioni finalizzate (…) La meta–operazione significa dunque nello stesso tempo che l’operazione à stata liberata dall’assillo degli scopi immediati, che si può operare anche a prescindere da questi, che si è aperto insomma uno sconfinato territorio di sperimentazione operativa, e che proprio questa apertura (perché no? questo "disinteresse") è il contrassegno saliente della proprietà della specie umana."

Ma chi costruisce il simbolo? È per lo più possibile rintracciare l’identità dell’individuo che ha messo le sue personali risorse al servizio di una visione, inizialmente nebulosa, fugace, evanescente, che lo ha inizialmente e per lo più inaspettatamente ‘colpito’. Questo individuo verrà poi indicato come l’Autore di quella struttura simbolica, ma egli potrà rivolgere a se stesso la domanda: "Chi è l’autore di quella fantasia, di quella idea confusa, di quel sogno, che mi sono venuti chissa da dove e che io ho poi elaborato come uno scultore fa con la pietra che scolpisce?" Quell’individuo –poeta, mistico o scienziato– rimarrà trafitto da questa domanda come Amleto dal suo "essere o non essere".

Nella mia ri-costruzione simbolica della costruzione bioniana sugli assunti di base mi pare di poter vedere nel protomentale quella condizione iniziatica (e non iniziale nel senso del primordiale, di ciò che avviene prima del differenziarsi dell’uomo da una sua supposta primitiva animalità) da cui scaturiscono gli elementi originali di ogni configurazione simbolica successiva. Mi pare cioè di poter collocare nella dimensione protomentale quell’Autore misterioso di ogni processo autopoietico che, con Morin, indico con la parola "autòs" che è la sostantivizzazione del prefiso "auto–". Questi elementi che io ho definito come proto-simbolici, sono esattamente quelli di cui Bion parla nel secondo volume di Una memoria del futuro (cfr. Gatti F. e Neri C., in Letture bioniane) come di "idee fetali" che nell’indistinto protomentale gruppale lottano per "farsi sentire" e tentano di prendere forma: "Un’idea fetale può ammazzarsi o essere ammazzata, e questa non è "solo" una metafora." Vorrei qui dire la mia profonda emozione di fronte al coraggio di Bion di dichiarare la verità, di essere cioè stato lui, un tempo, l’innocente killer della sua idea fetale sulle idee fetali!

Ma arrivati a questi "proto–simboli" ci si potrebbe chiedere ancora: ma questi da dove nascono, chi li ha concepiti? In Individualità e gruppalità ho cercato di dare un senso all’espressione ‘assunti di base’ che Bion ha enigmaticamente coniato per indicare queste "idee fetali". Assumption ha in inglese quattro significati: a) presupposto, premessa; b) presunzione, arroganza; c) l’azione di farsi carico di qualcuno o qualcosa; d) "Assunzione" con riferimento al mito della Vergine Maria. Voglio qui soffermarmi solo sull’ultimo di questi significati non perché gli altri non siano in qualche modo presenti nelle intenzioni che è possibile dedurre dalle argomentazioni di Bion, ma perché l’"Assunzione" riguarda un misterioso divenire che ha per me il valore di un simbolo vivo della simbologenesi di cui ci siamo qui occupando. Maria concepisce senza peccato, che è un modo di raccontare l’esperienza per cui si producono delle idee in noi senza poter rintracciare colui –quella persona, quell’evento singolare– che ci ha fecondato. Maria concepisce un figlio che è la personificazione del Verbo, della parola che riscatta l’uomo dalla sua soggezione alla ‘necessità della colpa’. Maria salva il Verbo fetale che porta in grembo dall’infanticidio promosso dall’Istituzione (personificata da Erode) a salvaguardia della conservazione del proprio potere. La Vergine nel concepire il Cristo, il Messia, realizza il prodigio per cui "Verbum caro factum est": la Parola, nel farsi carne e storia, opera sul mondo a cui si rivolge e ne trasforma la storia e le istituzioni. La stessa Maria, vergine madre, viene trasformata dal Verbo da lei concepita, ed il mito si conclude con l’ultimo prodigio: lei nella sua piena carnalità viene assunta nella Verità ultima, nel Regno del Silenzio, che si può raccontare come "caro spiritus facta est". La ricorsività tra una parola che si fa carne e una carne che si fa spirito compone quel simbolo radicale della cognizione umana che ri–assume in una irriducibile unità ciò che la razionalità, spina dorsale delle istituzioni, ha de-composto nella dicotomie anima/corpo, natura/cultura, individuo/gruppo.

Da questa ricostruzione simbolica del concepimento del Verbo, considero l’assunto di base di accoppiamento come quello che caratterizza il fondamento della dimensione protomentale. L’accoppiamento non va qui inteso, ovviamente, nella dimensione sessuale, poiché questa nella sua compiutezza concreta o simbolica si fonda per eccellenza sulla differenziazione, (quella di genere –il maschio, la femmina– ) che non può essere presente nella modalità protomentale della cognizione emozionale. Per lo stesso motivo, come vedremo quando ci occuperemo dell’assunto di dipendenza, non è applicabile al protomentale nessun riferimento alla relazione contenuto/contenitore. Se perciò parliamo di accoppiamento protomentale dobbiamo riferirci a quel fenomeno interattivo tra un sistema (ad es., l’uomo) ed un altro sistema (ad es., l’ambiente) (v. la nozione di "accoppiamento strutturale" in Maturana e Varela, in cui si realizza l’"auto-poiesi") che provoca cambiamenti a doppio senso, e che non è ancora stato mentalizzato. Nel mito del concepimento di una donna vergine l’uomo si rappresenta un accoppiamento tra quella donna e il suo ambiente (irriducibilmente interno/esterno) –Dio, la Verità– per cui la sessualità si annuncia solo come fecondità compiuta e non come esito di un atto generativo tra due generi diversi.

Nella mia ri–costruzione della costruzione gruppale di questo mito, in quanto trasformazione simbolica della parola che si fa carne e della carne che si fa spirito, come della vita che si fa morte e della morte che si fa vita, sento di occupare quel vertice mistico in cui consiste per Bion la mente che, svincolata dal legame K, si distende nell’orizzonte indefinitamente aperto del divenire O. Ma questa visione, questo "intuit" come direbbe Bion, non si regge da solo: esso è una gamba che ha bisogno della gamba razionale perché il malcerto procedere oscillante dell’uomo divenga. La mia ratio mi suggerisce a questo punto che l’assunto di base di accoppiamento, l’assunto messianico, è il big-bang del processo indefinitamente aperto dell’autopiesi cognitivo-emozionale della specie umana. La Realtà diviene umana, così come l’uomo diviene Realtà, a partire da questa esperienza radicale, dovunque essa si riproponga nel tempo dell’uomo, dalla culla alla tomba. Sottolineo, cioè, che la protomentalità non si confina all’interno di uno stadio o di una fase rispetto ad un processo lineare di maturazione o a un processo patologico di ‘regressione’, ma che essa consiste nell’esperienza pressocché totalmente emozionale dell’essere nell’inizio di una trasformazione, quale che sia il livello di crescita, di maturazione e di senescenza dell’uomo. Questa esperienza protomentale diviene mentale in funzione di un suo divenire, grazie al suo poter essere accolto e non trucidato sul nascere, attraverso passaggi infinitamente variegati che, con Bion, possiamo raggruppare negli assunti di base di dipendenza e di attacco/fuga. Questi passaggi, ancora pertinenti all’area protomentale ma dischiusi sull’area propriamente mentale, consistono nelle epifanie rispettivamente del tempo e dello spazio, quali assi ortogonali in fieri tra i quali la Realtà diviene. Questi assunti si costituiscono quindi come fondamento protomentale del concetto di "sviluppo" nella sua descrivibilità fenomenica, di cui sono pertanto, come "idee fetali" di dipendenza e di attacco/fuga, anticipazioni emozionali come "fede nel divenire".

Su quali elementi costruisco l’ipotesi che l’assunto di base di dipendenza è la matrice dell’esperienza vissuta del tempo? Il gruppo è il luogo in cui l’individuo fa simultaneamente esperienza di essere parte di un organismo multindividuale e di essere nella sua identità relazionale costituito da quell’insieme di cui è parte. A livello protomentale, contenuto e contenitore non sono rappresentazioni ben distinte pur se tra loro connesse da una relazione ricorsiva: l’essere membro di un gruppo e avvertire il gruppo come parte costitutiva del proprio Sé sono assolutamente coincidenti. In questa dimensione la dipendenza non ha ancora il carattere utilitaristico, affettivo o progettuale che questa parola indica nel linguaggio comune, la dipendenza che si vive nei confronti di un analista, di un genitore, di un capo o di un Dio, configurati come dispensatori di provvidenze delle quali il singolo o un insieme di individui "ha bisogno". La dipendenza protomentale potrebbe essere indicata dal termine ‘appartenenza’ quando con questo termine si intende la coincidenza (e non un’integrazone relativizzata) tra un insieme e le sue parti, per cui nessuno dei due termini possa essere neanche immaginato a prescindere dall’altro. Rispetto all’assunto di accopppiamento, qui si dà però un’esperienza aggiuntiva, l’esperienza del tempo in quanto presente assoluto, in quanto durata, in quanto ritmo. Mentre l’assunto di accoppiamento esclude ogni forma di temporalità vissuta, perché esso o si brucia nell’istantaneità o si distende in quel senza–tempo che viene parlato come eternità, la dipendenza protomentale, l’appartenenza assoluta, si struttura nella durata. La certezza dell’appartenenza è dunque certezza di durata, intesa come il "tempo dell’appartenenza" e quindi non confrontabile con il tempo dell’orologio. Questo tempo dell’appartenenza può quindi avere la durata di pochi attimi, o di un’intera seduta o di più sedute collegate tra loro in un’esperienza intima di continuità. Ma quale sia la sua durata l’assunto di dipendenza contiene come "idea fetale" la confidenza, la fiducia, la Fede come intesa da Bion quale condizione dell’intuizione. Da questa condizione vengono esclusi da Bion le altre configurazioni del tempo vissuto, quali la memoria (presentificazione del passato) e il desiderio (anticipazione del futuro). Mentre l’analista per praticare la Fede deve volitivamente escludere altre articolazioni del tempo che non sia quello dell’ascolto o del dialogo (la durata della relazione in fieri), nella condizione protomentale l’assenza di memoria e desiderio esprimono la nudità dell’assunto di base rispetto ad ogni altro corredo cognitivo e culturale. La specificità dell’assunto di dipendenza, come esperienza protomentale dell’appartenenza, consiste nel suo essere uno sviluppo dell’assunto di base di accoppiamento nella direzione del tempo, in quanto durata.

L’assunto di base di attacco/fuga è l’"idea fetale" di spazio, non inteso ovviamente nella sua oggettività geometrica, ma intesa come esperienza di ‘posto’ proprio, personale e comune del gruppo nel suo insieme. Il posto va conquistato, occupato e mantenuto non nei confronti di un nemico comunque identificato, ma come iniziale affermazione dell’esserci (del proprio Dasein embrionale), come luogo del prodigio per cui un vuoto diviene pieno della propria parola, del proprio corpo. L’aggettivo ‘proprio’ farebbe pensare ad una differenziazione già compiuta rispetto all’Altro, al diverso da Sé, cosa che non compete alla protomentalità. Ma se ci riferiamo al concetto di appartenenza come quello relativo all’assunto di base di dipendenza, nell’attibuto ‘proprio’ è contenuto l’altrui, per cui il ‘posto proprio’ è quello che è riempito dall’appartenenza che si manifesta attraverso la voce e il corpo personali dell’individuo che lo occupa. Le espressioni ‘attacco’ e ‘fuga’ potrebbero indurre la tentazione di attribuire a questo assunto di base caratteristiche pertinenti a dimensioni mentali già differenziate e differenzianti (tipiche le nozioni antinomiche di ‘amico’–’nemico’), tentazione in cui a me sembra sia caduto Bion nella sua illustrazione di tale assunto, "ammazzandone l’idea fetale". Si potrebbe invece intendere con la parola ‘attacco’ (nel senso in cui essa viene usata nell’espressione ‘attacco musicale’) l’esperienza del rendere pieno di proprie personali espressioni di appartenenza un vuoto, e con la parola ‘fuga’ l’esperienza di rendere vuoto del Sé–appartenente il pieno gruppale. In questa prospettiva l’assunto di base attacco/fuga potrebbe indicare l’esperienza iniziatica dello spazio inteso come luogo di riempimento o di svuotamento. La dimensione protomentale dell’atto artistico potrebbe consistere nell’alterna vicenda dell’artista nel suo avvicinarsi ad un foglio, a uno spartito, a una tela, a un materiale da modellare per incidervi la sua più intima e singolare esperienza di appartenenza al suo ambiente culturale, e nel suo ritrarsi per ascoltarne il silenzio, per conoscerne il vuoto che egli stesso crea allontanandosene.

Questo mio contributo, teso a circoscrivere l’area protomentale in una sua specificità che si mantiene tale solo se non vi precipitano dentro concetti comunque dedotti da altre dimesioni cognitive, è quanto mi ha consentito di definire ‘universo protomentale’ (o ‘reale’ nel senso della Realtà allo stato nascente) un dominio cognitivo che in modo scolastico o tassonomico va distinto da altri dominii cognitivi quale ‘l’universo immaginario’ ( o delle ‘istituzioni interne’) e ‘l’universo simbolico’ (o della ‘progettualità’). Il ‘cosmo mentale’ è dunque un ‘multi–verso’ in continuo divenire proprio in funzione della incessante interazione dei singoli universi tra loro, pur se, sul piano dell’esperienza vissuta e dei fenomeni che la manifestano, possono di volta in volta prevalere uno sugli altri o le zone di confine tra essi.


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