"VINCOLO K (KNOWLEDGE) E LO SVILUPPO DELLA CAPACITÀ PER PENSARE OSSERVATI NELLA COPPIA MADRE-BEBÉ E NELL'ANALISI DI BAMBINI"

Marisa Pelella Mélega *

* Training Psychoanalyst of the Brazilian Psychoanalytical Society of São Paulo.

* Child analyst of the Brazilian Psychoanalytical Society of São Paulo

Riassunto

L'autrice parte dalla "teoria del pensiero" di Bion, che intende il pensiero come ciò che crea significati affinché avvenga lo sviluppo della personalità.

Mette l'accento sull'osservazione del rapporto madre-bebè in quanto campo di studio dei processi simbolici e descrive scene di osservazione e scene di analisi di bambini che presentavano perturbazioni nell'apprendimento attraverso l'esperienza emotiva.

Summary

The author takes as starting point Bion's theory of thought that sees thought as that which generates significance so that development of the personality will take place.

She emphasizes the observation of the mother-baby relationship as being a field of study of the symbolic processes and describes scenes from observation and scenes from analysis of children presenting disorders in learning through the emotional experience.

 

VINCOLO K (KNOWLEDGE) E LO SVILUPPO DELLA CAPACITA' PER

PENSARE OSSERVATI NELLA COPPIA MADRE-BEBE E

NELL'ANALISI DI BAMBINI

Marisa Pelella Mélega

 

I Introduzione

In questo lavoro mi avvalgo dei contributi di Bion alla teoria del pensiero, della sua amplificazione del concetto di identificazione proiettiva come mezzo di comunicazione realista fra la madre e il bebè, del concetto di "reverie", ossia della ricettività dell'Identificazione Proiettiva del bebè (le sue comunicazioni) e della sua trasformazione per mezzo della capacità di elaborazione onirica Alfa materna. Inoltre il Vincolo K, forma particolare del rapporto oggettuale relativo alla percezione, è in rapporto con un processo che porta alla conoscenza.

Klein ritiene che la funzione parentale consista nel modulare il dolore mentale del bebè, allo scopo di garantire il suo sviluppo.

Bion ha una visione epistemologica della funzione parentale. La madre deve realizzare funzioni mentali, perché il bebè possa, con l'introiezione graduale di queste funzioni nei suoi oggetti interni, imparare a realizzare tali funzioni da solo. Secondo Bion, la mente si sviluppa attraverso l'acquisizione della conoscenza di se stessi e dei propri oggetti interni ed esterni. È il passaggio dall'ignoranza alla sapienza. È una crescita che va dalla dipendenza assoluta dalle funzioni parentali all'autonomia mentale, e che si serve del rapporto di conoscenza fra il Sé e gli oggetti interiorizzati. Tale autonomia è intesa, almeno per quanto riguarda questo "paper", come la capacità dell'individuo di risolvere le proprie necessità e frustrazioni, attraverso un pensiero che parte dall'esperienza emozionale.

L'essere umano desidera passare dall'ignoranza alla conoscenza, alla percezione e a alla comprensione del significato delle proprie esperienze emozionali. Freud è giunto a chiamarlo istinto epistemofilico. Allo stesso tempo, lo teme e lo evita a causa del dispiacere che comporta. La tolleranza del dolore e del dispiacere è una pre-condizione perché l'individuo mantenga vincoli K (di conoscenza).

In "Una teoria del pensiero" (1962), W. Bion aggiunse una nuova dimensione al pensiero. Il pensiero ha la funzione di creare significati (meanings), oltre a quella di esaminare e risolvere conflitti emozionali. La mente non è più considerata solamente come un'entità di adattamento al mondo esterno, ma come un mondo significativo nel quale avviene la crescita della personalità. Il pensiero a partire dalle emozioni costituisce, pertanto, la materia prima della crescita personale.

Bion non considerava sufficiente il concetto del conflitto amore/odio per sviluppare una teoria a proposito della sua pratica clinica, che gli rivelava problemi legati all'emozione e all'anti-emozione. Sviluppò una teoria degli affetti che distingue tre tipi di vincoli nei rapporti intimi:

- vincolo di amore (L) e anti-amore (-L)

- vincolo di odio (H) e anti-odio (-H)

- vincolo di conoscenza (K) e anti-conoscenza (-K)

Secondo questa teoria, l'esperienza emozionale si trasforma in pensiero onirico ogni volta che il vincolo di conoscenza (K) é presente. Tale trasformazione avviene attraverso un misterioso processo di ciò che chiama funzione Alfa, e l'esperienza diventa inizialmente una immagine onirica. In questo modo l'immagine onirica è il primo pensiero, è la prima pietra simbolica del significato dell'esperienza emozionale, è la pietra fondamentale su cui si basano tutti gli altri livelli possibili di pensiero più elaborato (astrazioni e generalizzazioni).

Le prime realizzazioni della funzione alfa nella vita dell'essere umano sono opera della madre. Con l'allattamento, il bebè è alimentato allo stesso tempo dal latte e dal funzionamento della mente della madre. Ella trasmette al bebè per mezzo degli occhi, della voce, del modo di tenerlo in braccio, un "qualcosa" che ha elaborato nella mente a partire da ciò che ha percepito nel bebè, un "qualcosa" in forma simbolizzata che gli offre la possibilità di avere un'immagine onirica, e capire e dare significato a ciò che prova, dando inizio a un pensiero.

II

L'osservazione del rapporto madre-bebè condotta col metodo Esther Bick ci offre la possibilità di seguire alcuni aspetti dell'intimità del rapporto madre-bambino e di studiare quello che accade nel tragitto fra l'emozione e la produzione dell'immagine onirica (rappresentazione dell'emozione). Ci avvicina all' "area di mistero" in cui opera la funzione Alfa.(Meltzer, 1992)

Sappiamo che inizialmente è la madre che realizza la funzione Alfa per il bebè, e che si espressa prima di tutto attraverso il suo "reverie" e la sua attenzione-presenza mentale. Possiamo osservare che un bebé durante l'allattamento, oltre il latte riceve il reverie che gli è trasmesso dalla madre attraverso il modo di guardarlo, di parlargli, di tenerlo in braccio con fermezza e disponibilità ad accoglierlo, e dello stato mentale questo empatico con la fragilità e la dipendenza del bebè. In questo modo la madre trasmette al bebè quello che ha elaborato a partire da ciò che ha percepito dello stato emozionale del bebè, e non a partire dalle sue stesse fantasie.

Júlia ha tre mesi e sette giorni e l'osservatrice* descrive in supervisione scene colte durante la visita alla famiglia:

"... la madre si avvicina alla culla e Júlia, vedendola, agita le braccia e sorride a lungo. La madre si china sulla culla e, dirigendole lo sguardo, le chiede se ha fame. Júlia risponde lungamente "A-rru". La madre la solleva dalla culla per cambiarle i pannolini. Nel frattempo, parla con Júlia e con l'osservatrice. Dopo averla cambiata, la madre solleva Júlia, se la stringe al petto e le chiede di nuovo se ha fame, al che Júlia risponde "A-rru". Si spostano in sala dove il padre sta telefonando, e la bambina viene sdraiata sul sofà vicino al padre; poi la madre si siede e, mentre parla col marito di questioni da risolvere durante la giornata, si toglie la maglietta e prende in braccio Júlia, ma non le offre immediatamente il petto. Júlia emette un forte pianto e la madre le avvicina la mammella, la bambina la prende con forza, e poppa per circa cinque minuti. Il latte le va di traverso due volte, lei si allontana e rapidamente torna al seno. Con la mano destra tocca la madre mentre succhia il latte materno; la mano sinistra è inattiva e a un certo punto la madre la prende e si accorge che è fredda. La scalda con la sua, guardando Júlia negli occhi. In questo momento, Júlia guarda la madre negli occhi e lascia andare la mammella. La madre dice: "Ecco! Non guardo più, continua a poppare, signorina". La riconduce al seno e la bambina lo prende, succhia e lo lascia, sorridente, guarda la madre negli occhi, dicendo "A-rru" e passandole la manina sul seno. Questa scena si ripete tre volte. Infine, la madre pensa che la bambina non voglia più poppare, e se la mette in piedi sul grembo perché rutti."

L'osservazione ben dettagliata di queste scene ci ha permesso di entrare nell'intimo di questo rapporto madre-bebè, nel quale Júlia ha avuto l'esperienza di essere compresa nelle sue comunicazioni e ha dimostrato di incorporare tali configurazioni di comprensione.

Il rapporto bocca-mammella-latte materno è accompagnato dal rapporto occhi-mente-attenzione-comprensione della madre. Non è difficile immaginare che Júlia stia "pensando", che stia dando un significato al rapporto col seno e con la madre, attraverso sorrisi, occhiate e "A-rru" producendo rappresentazine e segnali che indicano l'ativitá simbolica in corso. Le esperienze descritte, costituite dall'accoglienza ricevuta e dalla trasformazione, permettono supporre l'introiezione di un seno pensante.

III

Ciò che rende difficile l'inizio della vita di un bebè è l'avere una madre che non ha sviluppato una identificazione con un seno pensante, in modo da poter rendere tollerabile l'intollerabile. Perciò non può rispondere creativamente (con reverie) alle identificazioni proiettive del bebè, alle quali non dà significato oppure che gli restituisce con l'aggiunta della propria angoscia, un'esperienza spaventosa e innominabile per il bebè. (Bion, 1962)

Il ripetersi di esperienze di questa natura può portare all'introiezione di un oggetto che non comprende, non trasforma, e alla formazione di un vincolo anti-conoscenza (-K).

La relazione d'allattamento di Arminda è avvenuta in modo molto diverso da quella di Júlia, come notiamo in alcune visite di osservazione condotte sotto la mia supervisione. Durante la prima visita, Arminda prende e poppa dal petto offertole dalla madre. La madre dice: "Piano, perché fa male... se continua a farmi male, ti dò il latte in polvere, come mi ha suggerito tua nonna". La bambina continua a poppare, e la madre: "Ti troverò una madre capace di allattarti". Arminda continua a poppare fino ad addormentarsi attaccata al seno. La madre dice: "Non addormentarti, bambina, se no la mamma ha pensieri cattivi", e la sveglia.

Arminda ricomincia a poppare e a un certo punto la madre dice: "Adesso basta poppare!" e se la toglie dal petto. A questo punto racconta all'osservatrice che molto spesso Arminda piange e che lei stessa piange insieme alla bambina. Pensa che si tratti di mal di pancia e domanda se il suo latte è buono. Nel frattempo, la bambina si addormenta di nuovo e la madre dà nuovamente segni di afflizione e muove la bambina per svegliarla.

Durante la seconda visita, l'osservatrice trova la madre molto angosciata perché il bebè non fa che piangere. La madre la culla in grembo, ma non riesce a farla calmare. Allora le offre il petto, che il bebè prende e poi lascia, finché al sesto tentativo comincia a succhiare.

Durante la terza visita, Arminda si addormenta in braccio alla madre dopo l'allattamento, e la madre la stimola per svegliarla. La bambina si sveglia, piange e vomita. La madre cerca di calmarla e la bambina si addormenta. A questo punto la madre dice: "Non dormire, figlia, resta un po' con la mamma, non mi lasciare da sola".

I comportamenti descritti ci fanno pensare a come la madre si sente incapace e non ha fiducia nella propria capacità di modulare e trasformare le comunicazioni del bebè ("Non so cosa succede quando piange", "Il mio latte sarà buono?", "Ho cattivi pensieri quando dorme").

Potremmo perfino affermare che, benché sia disposta a stare con la bambina, e anche a soffrire con lei, si trova sotto l'"influenza di fantasie" che generano angosce e rendono difficile la percezione del suo operato reale in quanto madre, e la percezione di ciò di cui la bambina ha realmente bisogno. In queste condizioni non c'è reverie, non c'è possibilità di creare nuovi significati, poiché l'esperienza emozionale presente e attuale della madre in interazione col bebè non è percepita e trasformata in simboli-pensieri.

La madre interpreta il pianto come fame e il proseguire del pianto come conseguenza della propria incapacità di soddisfare la fame della bambina. L'addormentarsi della bambina per lei equivale a morire. È evidente che la bambina è sollecitata a diventare il ricettacolo dell'angoscia della madre ("Non dormire, figlia, resta con un po' con la mamma, non mi lasciare da sola").

Ci rendiamo conto che la bambina viene stimolata continuamente, perché deve dimostrare alla madre che è viva, e osserviamo che sta diventando una bambina agitata, che ride e piange, ride forte, vomita spesso dopo l'allattamento e non dorme la notte. Pensiamo che la bambina si deve occupare intensamente dell'angoscia della madre, che l'invade in ogni momento. Alcuni mesi dopo, la madre informa l'osservatore del fatto che Arminda soffre di insonnia tutte le notti, e constatiamo che la bambina non presenta progressi nello sviluppo della capacità di continenza psichica, che dovrebbe avvenire attraverso l'introiezione del modello del funzionamento mentale della madre, e che ha bisogno della presenza sensoriale continua della madre per tentare di contenersi.

IV

Che l'esperienza infantile di Gianni sia stata simile a questa? Me lo porta in studio in braccio la madre, perché presenta un quadro di arresto dello sviluppo. A 22 mesi, non accetta cibo e non ha ancora incominciato né a camminare né a parlare.

Senza dubbio questo blocco dello sviluppo è causato da fattori specifici del rapporto dei genitori con Gianni, ma soprattutto è insufficiente la funzione materna, che deve essenzialmente trasformare l'angoscia di morte per mezzo del suo reverie.

Nel momento in cui gli è offerto un recipiente trasformatore, ossia il rapporto analitico, Gianni riprende lo sviluppo, attivando la sua capacità simbolica, i cui inizi sono straordinari. Dimostra una autonomia progressiva nel mio studio, e al terzo mese di analisi comincia a camminare e ad entrare da solo.

La prima volta che entra da solo, comincia a vagare per la stanza in atteggiamento di riconoscimento, accende e spegne la luce, e io accompagno i suoi movimenti dicendo "aperto", "chiuso". Guarda la mia bocca, la lampada che accende e spegne, e sembra associare la mia bocca e le mie parole al suo dito sull'interruttore e alla luce. Ripete il gesto con l'interruttore fuori della stanza e io in questo momento apro il rubinetto del lavandino e lui ritorna nella stanza, vede l'acqua che scorre e mi chiede, stendendo le braccia, di sollevarlo. Tocca l'acqua con le mani, ride felice, dice cose incomprensibili, si lecca la mano bagnata e mi guarda. Gli dico "hai trovato un mamà", e lui continua a toccare l'acqua e a leccarsi le dita, passandosi l'acqua sul viso, come se si stesse rivestendo di quell'acqua.

Il flusso dell'acqua è una continuità che lo attrae, come le mie parole. Stabilisce rapporti simbolici fra l'interruttore che accende e spegne e la luce che entra attraverso i suoi occhi e la mia bocca che si apre e si chiude per emettere parole che entrano attraverso le sue orecchie.

Gianni ha stabilito vincoli con i miei occhi-attenzione, la mia bocca-parole, rappresentanti sensoriali del mio funzionamento mentale. Un seno-mente che parla e che pensa, che lo alimenta con significati, promuovendo la sua vita di fantasie e il processo di formazione di simboli.

L'acqua del rubinetto che aveva messo in rapporto con le mie parole è connessa adesso ad un "mamà", che equivale al seno che lo alimenta, e che egli usa immediatamente, trasferendolo alla madre. Infatti, la volta dopo, la madre mi informa che adesso la chiama mamma.

V Seno-Pensante, Superego Pensante, Superego Anti-Pensiero

La teoria del pensiero di Bion afferma l'esistenza di un "passaggio misterioso" dall'esperienza emozionale alla sua rappresentazione in immagine onirica alla sua rappresentazione in simboli, che denomina "funzione alfa".

Nell'articolo "Oltre la coscienza", D. Meltzer afferma che la costituzione di questa zona di mistero modifica il concetto di superego. Se la prima realizzazione della funzione Alfa nella vita del bebè non è realizzata dal bebè, ma dalla madre, l'interiorizzazione di questa funzione costituisce un superego pensante. Tale superego pensante è l'iniziatore del pensiero, ogni volta che il self si trova di fronte a una nuova esperienza emozionale che non sia ancora preparato a pensare.

Secondo Meltzer, questo è il centro della questione: la necessità - perché continui lo sviluppo emozionale - di un oggetto pensante, che possa essere riattivato tutte le volte che il self si trovi a dover affrontare una nuova esperienza. La storia di Ugo, di otto anni, raccontata dalla madre durante la prima seduta di valutazione, rivelava la presenza dominante di un vincolo anti-conoscenza. Fin dalla minaccia d'aborto, la madre aveva cominciato a sentirsi molto insicura, benché la gravidanza, dopo il terzo mese, fosse normale. Ugo fu allattato fin dalla nascita, ma era molto lento a poppare e piangeva tanto che dopo quindici giorni gli diedero il biberon.

Il terzo mese fu aggiunta la minestra, ma il bambino non l'accettava. La madre insisteva molto, lo obbligava a mangiare, e anche il padre si arrabbiava molto con lui. La madre sapeva di sbagliare, ma non sopportava il fatto che il bambino non mangiasse.

La difficoltà persiste ancora oggi, e l'ora dei pasti è un'ora di "guerra".

Questo breve racconto ci fa pensare a una attività proiettiva dei genitori sul figlio, e ad un fattore costituzionale del bambino, un "bad-feeder" che avrebbe bisogno di una madre che abbia fiducia in se stessa, e la capacità di aspettare e di sopportare un ritardo nella risposta, e che abbia fiducia nella creazione di significati di vita per il suo bebè, invece di dargli immediatamente significati di morte.

Nel mio studio, Ugo inizialmente si presentava fisicamente molto immobile. Seduto sul divano, muoveva solamente le mani, e mi "buttava lì" domande del tipo "Indovina...?" Che mi stesse domandando: "Indovina se sono vivo? Indovina se continuerò a vivere?"

Cominciai a capire che avere un rapporto era per lui un gioco di indovinelli, piuttosto che un dialogo per cercare di capirsi reciprocamente. Aveva paura di essere invaso dalle mie parole e idee, e perciò non solo non ascoltava il significato delle mie parole, ma rifiutava sistematicamente quello che gli dicevo. Come le cucchiaiate di cibo offertegli dalla madre?

Infatti, oltre alla difficoltà di incorporare il cibo, Ugo aveva difficoltà di apprendimento a scuola. Passava i pomeriggi a fare i compiti accanto alla madre - un comportamento che ricorda quello del cibo.

L'esperienza analitica con bambini come Ugo esige da parte dell'analista una grande capacità di affrontare identificazioni proiettive violente e invadenti, nelle quali si arriva al limite della tolleranza e che sono vicine alla rottura di un rapporto! Penso che sia stato questo il modo di evoluzione di Ugo da vincoli di amore-odio a vincoli di conoscenza.

Nel trasfert, mi faceva fare la parte del bebè sottomesso, obbligato a mangiare da madre e padre violenti, mentre lui stesso provava i sentimenti violenti che faceva assumere all'analista (superego anti-pensiero).

Lo stato mentale di violenza si manifestò inizialmente sotto la forma di una palla di plastilina che gettava con tutta la sua forza fra due cuscini della spalliera del divano. Questo poi si trasformava in un gioco di scambi del cuscino, che si intensificava fino a che il cuscino veniva lanciato con molta forza e finalmente diventava una lotta durante la quale io tenevo il cuscino che lui prendeva a pugni. In questo periodo tutte le sedute erano occupate da questa attività e Ugo non prendeva in considerazione i miei commenti. Quando chiedevo una pausa perché cercassimo di comprendere quello che succedeva in quella seduta, Ugo non sopportava a lungo l'attesa e mi sollecitava a continuare.

E se io non continuavo, si sdraiava sul divano e interrompeva il contatto con me. Credo che sentisse nel mio comportamento il rifiuto di accompagnarlo, un rifiuto che frustrava una sua piacevole attività, di carattere erotizzato, la lotta. Questo gioco aveva il vantaggio di fargli provare la possibilità di "entrare", di essere preso da un oggetto e imparare a mettere dentro di sé un oggetto.

Crediamo che Ugo abbia vissuto l'esperienza di una madre che non è riuscita ad accoglierlo dentro di sé, nella sua mente, cercando di scoprire e di dargli ciò di cui aveva bisogno, e di se stesso come un bambino che non aveva la capacità di accogliere dentro di sé né una madre né il suo latte né i significati che la madre dava a ciò che lui esprimeva.

Con il proseguire dell'esperienza di proiezione delle sue fantasie di violenza e sadismo, ed essendo adesso lui stesso attivo aggressore e non sottomesso e passivo, arriviamo a quello che ritengo il "turning-point" di questa analisi.

Così, in una determinata seduta, pongo un limite alla sua lotta col cuscino, perché sta diventando intollerabile e, aprendo la scatola, suggerisco di sostituire la lotta con una drammatizzazione di pupazzi. Scelgo un burattino femmina, un bambino e un bebè, e Ugo si siede sul divano e mi chiede due burattini maschi e un bambino. Comincia la drammatizzazione in un angolo in cui non posso vederlo. Mi dice che è una lotta, perché ci sarà il rapimento di un bambino. Ad un certo momento, Ugo morde la mano del pupazzo rapitore e gliela stacca e comincia a mordere le altre dicendo che li divorerà, e così strappa braccia e gambe coi denti, parlando come se si stesse trasformando in un mostro, sputando le parti che ha morso sul pavimento e buttando quello che rimane sul pavimento e sulla muro con violenza. Tutto ciò completamente all'interno della drammatizzazione.

Infine dice che sono morti tutti, il padre è morto, è rimasto solo il bebè. Una settimana dopo, butta via tutto il materiale della sua scatola, e conserva solamente un guantone da boxe (fatto di un asciugamano e un sacco di stoppa), un gesto che probabilmente rappresenta la liberazione da tutto quello che è stato obbligato ad accettare.

Nelle sedute seguenti, il "guantone da boxe" diventa una palla che mi chiede di buttare nella scatola vuota, che lui difende mettendocisi davanti.

Gli dico che "stiamo ricominciando da capo", che c'era un bebè che stava cominciando a mangiare, ma resisteva e la madre doveva essere "molto furba" per riuscire a fargli mettere qualcosa in bocca.

Ugo ascolta e ricomincia a giocare, ma adesso difende molto meno bene la "porta" e lascia entrare molte volte la "palla".

Nelle sedute seguenti, si alternano i giochi (di incorporazione/di far entrare), e Ugo va spesso a bere acqua dal rubinetto della stanza, e fa movimenti di espulsione per mezzo del comportamento muscolare e del disprezzo per quello che gli dico. Arriva al punto di aggredirmi fisicamente e io lo fermo, dicendo che ci sono limiti a quello che si può accettare e tollerare, e che lui potrebbe fare uno sforzo per dimostrare quello che sente in un altro modo. Ugo si "ritira" sedendosi sul divano senza guardarmi e manifestando molta ostilità. Gli dico che si sente frustrato perché vede che non posso accettare tutte le sue manifestazioni. Mi ascolta, assumendo un'espressione di odio e, con un certo disprezzo, butta l'ultima cosa rimasta nella sua scatola e fa un gesto con cui sembra restituirmela e va via prima che termini l'ora.

Nella seduta seguente, comincia a comunicare a gesti, senza parlare. Scrive sul tavolo di formica con una matita che si è portato da casa e propone di lottare per venti minuti con le regole che avevamo stabilito, e che il resto del tempo potevamo chiacchierare. Dopo questo accordo, si alza e va a bere acqua dal rubinetto.

Nelle sedute seguenti, dopo la lotta, va spesso a bere sorsi d'acqua dal rubinetto, e intanto ascolta quello che gli dico.

A poco a poco fra me e lui si crea un dialogo, che ha come risultato l'espansione della sua attività simbolica, con una grande produzione di immagini grafiche.

Commenti finali

Ho cercato di dimostrare in che modo l'esperienza di osservazione del rapporto madre-bebè, metodo Esther Bick, e l'esperienza di supervisione dell'osservazione del rapporto madre-bebè ci offrono la possibilità di entrare nell'intimo dei processi di formazione di simboli, area di mistero in cui agisce la funzione Alfa, secondo la teoria di Bion.

Scene tratte da visite di Osservazione, come quelle a Júlia e Arminda, sembrano rivelare qualcosa degli inizi di un percorso simbolico, ben riuscito o frustrato.

Con un salto immaginativo, abbiamo potuto seguire le ripercussioni delle perturbazioni del reverie materno e dell'ambiente, entrando in contatto con le scene dell'analisi di Gianni e di Ugo. Gianni, con un arresto dello sviluppo psicomotore e Ugo con un'inibizione dell'alimentazione e nell'apprendimento a scuola, manifestano la loro capacità di apprendere dall'esperienza, creare simboli e pensare a partire dalle emozioni.

Bibiografia

BICK, E. "Notes on Infant Observation in Psychoanalytic Training". International Journal of Psychoanalysis, London, XLV, 4, 5f5f8.5661,1964

BION, W. (1962) "Second Thoughts - Selected Papers on Psychoanalysis" London Heinemann

BION, W. (1962) "Learning from Experience". London Heinemann

MÉLEGA, M. P. (1991) "Constituição x Ambiente: Diálogo Decisivo na Formação e Transformação Psíquica". Revista Brasileira de Psicanálise, vol.27, nº 4, São Paulo, 1993, pp.681-705

MÉLEGA, M. P. (1993) "Supervision Through the Psychoanalytical Method" Publicações Científicas do CEPSI-MBF, vol.IV, 1993, pp.127-154

MÉLEGA, M. P. (1993) "Supervisão da Observação da Relação Mãe-Bebê: Ensino e Investigação. Revista Brasileira de Psicanálise, vol. 29, nº2, São Paulo, 1995, pp.263.282

MELTZER, D. "Além da Consciência". Revista Brasileira de Psicanálise, vol. 26, nº 3, São Paulo, 1992, pp. 397-408

MELTZER, D. "Dream Life". London, Clunie Press, 1984


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