Giancarlo Petacchi

La comparsa dei suoni gutturali nel lattante: rassegna della letteratura e ipotesi

 

Dall’osservazione longitudinale di una lattante, Cristina, sono scaturite delle riflessioni riguardanti il linguaggio preverbale e dell’adulto.

Uno dei modelli di riferimento delle mie considerazioni è costituito da un lavoro di Spitz apparso nel 2° fascicolo della Revue Française de Psychanalyse del ‘64 dal titolo “Quelques prototypes précoces de défense du moi”. Spitz sostiene che alcuni meccanismi psichici di difesa hanno dei precursori fisiologici: ad esempio considera la barriera del neonato agli stimoli come precursore della rimozione, la chiusura degli occhi della negazione, il vomito della proiezione.

In questa linea di pensiero mi sono chiesto se la comparsa dei suoni gutturali sillabici come ghe e ke nel lattante possa avere un rudimentale significato affettivo (R. Shaffer, 1984; J. Bruner, 1981; L. Camaioni, 1980). Considero i suoni gutturali sillabici da distinguere nettamente dai suoni gutturali non sillabici gh, kh, ben più precoci.

Il mio interrogativo si colloca nell’ambito della relazione del lattante con il seno.

Credo che i suoni gutturali del lattante, ghe, ke, etc... rappresentino un’anticipazione del prendere, trattenere, mordere. E che rappresentino anche il segnale di un cambiamento di atteggiamento verso il seno nei primissimi mesi di vita. Ritengo che si possa pensare ai suoni gutturali come a funzioni captative e ritentive ad un livello sfinterico superiore, considerando la gola e più in particolare la laringe, in una funzione sfinterica.

In questa linea di pensiero è interessante la correlazione che si può ricavare dall’osservazione di Luigia Camaioni che, trattando dell’insorgenza dell’intenzionalità, annota anche l’emissione di tali suoni: “All’età di 7 mesi lo stesso bambino tende il braccio con il palmo della mano aperto in un gesto di afferramento verso il biberon che la madre sta finendo di preparare accanto a lui e intanto emette dei suoni gutturali ‘ga-ga’ ”, (L. Camaioni, 1980, p. 158).

Troviamo che la letteratura è in accordo nel ritenere che i suoni vocalici si formino prima di quelli consonantici; tra le vocali comparirebbero prima quelle anteriori come la a, mentre per quel che riguarda le consonanti si formerebbero prima i suoni posteriori, come appunto il gh:

“ (…) da un esame più attento emerge che le vocalizzazioni più precoci presentano presto tre linee di sviluppo che giocano ruoli differenti nelle interazioni sociali:

1. il pianto, (…) presente alla nascita (…) come l’unica forma di comunicazione vocale;

2. i suoni simili alle vocali fondamentali, (…) durante gli stadi di veglia tranquilla del bambino (…);

3. i suoni sillabici, consistenti di consonanti seguite da vocali sempre più differenziate, che sono spesso ripetuti durante i periodi di attività, come per esempio ‘ga-ga-ga-ga’ (…) ”, (R. Shaffer, 1977, p. 135).

Esiste invece disaccordo tra gli autori che si sono interessati dell’argomento nello stabilire il momento evolutivo in cui il lattante comincerebbe ad emettere i primi suoni gutturali, con un intervallo oscillante tra il quinto e il sedicesimo mese:

“I suoni sillabici (…) appaiono in modo tipico nel quinto o nel sesto mese di vita...” (R. Shaffer, 1977, p. 135 ).

“Al sedicesimo mese, per esempio, Richard sostituì la vocalizzazione heaah usata per le richieste con un ghee, straordinariamente ben articolato (…)”, (J. Bruner, 1983, p. 75 ).

Pochi autori hanno attribuito al ghe sillabico un significato:

“Ghee si riferiva ad oggetti ‘nuovi’ che all’apparenza colpivano ma di piccole dimensioni, o a oggetti familiari di cui non sapeva il nome, o ancora a oggetti che sorprendevano abbastanza in quel contesto, tutti usi, questi, simili a quelli prima discussi relativi all’indicare col dito. Ghee era usato piuttosto come un punto di riferimento per oggetti ‘degni di un nome’ ”, (J. Bruner, 1983, p. 61).

Nell’osservazione di Cristina, a cui mi riferisco, a tre mesi e dieci giorni la bimba esprimeva dei nitidi ghee, preceduti e accompagnati da intensi movimenti delle braccia e del corpo, mentre osservava dei pupazzetti, fissati al lettino, che si muovevano sopra la sua testa. A quattro mesi, alla vista dell’osservatore, emetteva dei vocalizzi con la a, alternati a dei ghee lunghi e modulati e a dei sorrisi, insieme a movimenti di braccia e gambe.

In un’altra osservazione, Sofia, una gemellina, a tre mesi meno dieci giorni ha mosso vivacemente le braccia e pronunciato per la prima volta ghee , alla vista del padre che la vezzeggiava. La stessa Sofia ha emesso delle vivaci modulazioni nghee , ngaaa quando il cuginetto di tre anni si è messo a cantare accanto a lei, mentre la gemellina Rachele rimaneva silenziosa.

Se ci interroghiamo sulla comparsa del ghe e del ke possiamo supporre di trovarci di fronte ad una nuova organizzazione affettiva, discriminante.

Ritengo importante considerare che la produzione dei suoni gutturali si ottiene ostacolando l’uscita dell’aria dalla gola. Si può intravedere in questo un aspetto primitivo di integrazione, che nasce dalla contrapposizione di due forze: una espelle l’aria attraverso i polmoni, l’altra la trattiene per mezzo della laringe.

Mi sembra mancare in letteratura il concetto di suono gutturale nel lattante come correlato fisiologico di stati intensamente affettivi. Eppure è difficile pensare che il lattante non abbia alcun motivo per emettere suoni “duri”, gutturali appunto. Soprattutto se tali suoni si mettono in relazione con alcune parole “dure” e “rugose” dell’adulto. Forse l’onomatopea di alcuni vocaboli rappresenta l’evoluzione sonora di un significato e di un’intenzione psichica primordiale.

Se consideriamo il linguaggio dell’adulto troviamo che molti gesti muscolarmente impegnativi, e a volte affettivamente intensi, sono designati da verbi caratterizzati da suoni gutturali: “inghiottire”, “deglutire”, “gargarismi”, “gorgheggiare”, “ringhiare” “legame”, “gorgo”, “ingorgo”... . Inoltre è interessante il confronto tra il suono rugoso e duro della parola “grido”, ben diverso dal suono liscio e molle della parola “lamento”; e così tra “ruggito” e “belato”, “guerra” e “pace”, “aggrapparsi” e “scivolare”. Si pensi infine a parole come “angoscia”, “aggressività”, “egoismo”, “inkorporazione” ecc., che in molte lingue europee contengono il gh-k:

 

 

Gridare

Angoscia

Aggressività

Egoismo

Inghiottire

Gargarismi

En

to cry

anxiety

aggressivity

egoism

deglution

gargling

Fr

crier

angoisse

agressivité

egoïsme

engloutir

gargarisme

D

schreien

ängst

aggression

egoismus

verschucklen

gurgeln

Es

gritar

angustia

agresividad

egoísmo

tragar

gargarismo

 

Sono portato a pensare che i suoni gutturali sillabici possano avere le caratteristiche di un Organizzatore psichico da collocarsi tra la comparsa del sorriso e l’angoscia per l’estraneo, di cui parla Spitz.

In questa comunicazione preliminare propongo pertanto l’ipotesi che i suoni gutturali del lattante esprimano un cambiamento di atteggiamento verso il seno e la madre, nei primi mesi di vita, in coincidenza con la maturazione del sistema nervoso. Un cambiamento che segnala l’uscita dal caos della frammentazione primordiale, la matrice o elementi beta, “l’indifferenziato mondo dell’infante, in cui la parola e la cosa sono indiscriminate” (C. Neri, Correale A., Fadda P., 1987, p. 178), verso la genesi del pensiero (Bion, 1963).

 

Bibliografia:

 

 

BION Wilfred R., (1962), Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma, 1972.

BION Wilfred R., (1963)Gli elementi della psicoanalisi, Armando, Roma, 1979.

BRUNER Jerome S., JOLLY A., SYLVA K., Il gioco., Armando, Roma, 1981.

BRUNER Jerome S., (1983) Il linguaggio del bambino, Armando, Roma, 1987.

CAMAIONI Luigia, La prima infanzia, Mulino, Bologna, 1980.

NERI Claudio, CORREALE Antonello, FADDA Paola, Letture bioniane, Borla, Roma, 1987.

SHAFFER Rudolph, (1977) L’interazione madre-bambino, Franco Angeli, Milano, 1993.

SHAFFER Rudolph, (1984) Il bambino e i suoi partner, Franco Angeli, Milano, 1990.

SPITZ R., Quelques prototypes précoces de défense du moi, Revue Francaise de Psychanalyse n. 2, 1964.


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