APPRENDERE DALL'ESPERIENZA: JOHN LOCKE E WILFRED R. BION

Queste osservazioni nascono dalla sorpresa di aver incontrato il termine e il concetto di reverie in un trattato filosofico, il Saggio sull'intelletto umano di John Locke.

Non si intende sostenere che Locke possa esser stato in qualche modo una 'fonte' per Bion, che non lo cita mai (a quanto risulta) nelle sue opere, per quanto citi altri autori vicini cronologicamente e tematicamente (Hobbes, Hume, Berkeley, Kant), anche se sembra molto verosimile che nelle sue indagini sul pensiero e sulla conoscenza abbia potuto in qualche modo incontrarlo.

Non si intende neppure sostenere che Locke possa per qualche aspetto rappresentare un 'precursore' di Bion, secondo l'errore di prospettiva diffuso ancora piuttosto recentemente, che faceva dei pensatori precedenti spesso soltanto degli anticipatori delle 'scoperte' piu' moderne. Tuttavia - una volta chiarito cio' che queste osservazioni non intendono sostenere - dalla lettura delle opere di Locke risultano interessatni affinita' tematiche, pur nella rigorosa distinzione dei piani delle diverse discipline, con il lavoro di ricerca di Bion sul pensiero e sulla conoscenza. E' possibile che le affinita' derivino da due fattori: dalla stretta analogia (se non dall'identita') dei problemi affrontati e, soprattutto, dall'atteggiamento di liberta' di pensiero e di ricerca della verita' che accomuna entrambi gli autori. Bion stesso ha osservato che le somiglianze della sua teoria del pensiero con un sistema filosofico "dipendono unicamente dal fatto che la materia e' la stessa di cui si occupa il filosofo" (Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, p. 169).

E', ad ogni modo, significativo notare come il concetto di reverie entri per la prima volta nel discorso filosofico e, per quanto riguarda l'opera di Locke, non casualmente, ma inserito in maniera organica nella struttura del suo pensiero (Sara' poi ripreso, com'e' noto, da Rousseau e da Bachelard, con sviluppi molto vasti).

"Appena mi accorsi di essere al mondo, mi trovai avvolto in una tempesta": cosi' scrive Locke, riferendosi al periodo in cui nacque, uno dei piu' travagliati della storia inglese. La sua opera filosofica nasce dall'impegno nelle violente controversie religiose e civili del suo tempo.

Per comprendere la sua personalita' e la sua opera e' percio' opportuno ricordare brevemente l'esperienza storica a cui e' dovuta la sua formazione. Carlo I cerco' di introdurre in Inghilterra i criteri della monarchia assolutistica francese e diede grande importanza alla Chiesa Anglicana, facendole inculcare nei fedeli la convinzione che era tradimento riconoscere altre autorita' al di fuori di quella regia. Tuttavia non pote' appoggiarsi ad adeguate forze militari per imporre il suo predominio. Due guerre civili tra Carlo I e i Puritani, guidati da Cromwell, portarono alla cattura, al processo come traditore e tiranno del Re e alla sua decapitazione. Alla morte di Cromwell, fu restaurata la monarchia con Carlo II Stuart (1660), che continuo' una politica assolutista. Il Parlamento destitui' il suo successore Giacomo II, offrendo la corona allo Statholder d'Olanda, Guglielmo III d'Orange, che giurando la Dichiarazione dei diritti divento' nel 1685 il primo monarca costituzionale inglese.

Nato nel 1632, Locke studio' scienze naturali e medicina a Oxford, ma anche la filosofia scolastica di Occam, insieme all'empirismo della tradizione inglese di Ruggero Bacone e di Francesco Bacone. Gli studiosi piu' recenti del suo pensiero danno grande importanza alla sua collaborazione con Shaftesbury, per il peso che ebbe nella sua vita e nella sua evoluzione filosofica. Shaftesbury (di cui il noto filosofo omonimo e' nipote) era un esponente della nuova classe politica che, dopo i rivolgimenti e le lotte religiose del periodo precedente, rifiutava l'ideale puritano di instaurare una Gerusalemme celeste in terra, imponendo ai cittadini un particolare modo di vita rispondente a un piano divino, e cercava invece di creare una societa' piu' sicura e piu' favorevole allo sviluppo economico e commerciale. La religione non era piu' la norma unica e suprema di tutta la vita pubblica e privata, ma diventava una scelta personale e individuale. Locke partecipo' alle iniziative e alle alterne vicende del conte di Shaftesbury, e dovette restare per sei anni in esilio in Olanda, quando questi, dopo aver cospirato contro Giacomo II, dovette lasciare il paese. In questo periodo Locke fu in contatto con diversi studiosi che, come lui, trovavano in Olanda la possibilita' di sfuggire a persecuzioni religiose o politiche. Rientro' in Inghilterra nel 1689, dopo l'incoronazione di Guglielmo d'Orange. Partecipo' alla vita politica ed economica fino alla morte, avvenuta nel 1704. Detto' egli stesso la propria epigrafe: "... educato negli studi, di questi si valse per dedicarsi alla verita'. E questo si puo' imparare dai suoi libri, che lo mostreranno piu' fedelmente degli elogi di un epitaffio ..."

"Le divisioni sono cosi' profonde, le fazioni cosi' violente, i progetti cosi' perniciosi come non lo furono mai ... e i migliori e piu' saggi sono inclini a desiderare una sistemazione generale delle cose: senza vedere una strada che conduca ad essa." "Non c'e' nessuno che non pensi di essere l'unico ad avere in se' la luce della ragione, mentre tutti gli altri annaspano nel buio". In queste lettere ai familiari del 1659, Locke descrive la situazione preoccupante e confusa creatasi dopo la morte di Cromwell. E tutta la sua opera, sia in campo politico che religioso e filosofico si mostra in qualche modo come un tentativo di pensare, di non lasciarsi completamente irretire in questo stato di cose, in cui tutti i contendenti dichiarano di avere la ragione e la divinita' dalla propria parte, e giustificano percio' le peggiori crudelta'.

Cosi' nell'Epistola sulla tolleranza, scritta durante l'esilio in Olanda, che costituisce uno dei testi classici principali in tema di tolleranza religiosa, Locke si propone di distinguere le rispettive sfere di azione della religione e del potere pubblico, rifiutando sia la pretesa alla teocrazia da parte dei gruppi religiosi (come i Calvinisti che a Ginevra avevano instaurato un regime del genere), sia la pretesa del magistrato civile di obbligare con la forza i cittadini a un determinato culto e a una determinata fede, facendone uno strumento di potere politico (come era avvenuto con la monarchia inglese). Nei due Trattati sul governo civile Locke formula le tesi principali di quello che sara' il liberalismo inglese, introducendo il concetto di distinzione ed indipendenza del potere esecutivo e legislativo, che sara' ripresa dagli Illuministi. Il pensiero di Locke sembra effettivamente orientato in tutti i campi, politico e filosofico, alla ricerca del limite, dopo che il crollo delle autorita' su cui si era fondata l'unita' dell'Europa medioevale, insieme all'ampliamento anche astronomico e geografico del mondo conosciuto, aveva introdotto una profonda crisi a tutti i livelli.

A proposito di questa tumultuosa situazione storica, viene spontaneo il riferimento alla pregnante descrizione di Bion. "Poche cose nella storia hanno scatenato on maggiore violenza sentimenti di gruppo che le controversie sulla natura della divinita' il cui culto era predominante in quella data epoca." (Esperienze nei gruppi, p. 108).

"Il gruppo di lavoro, visto dal vertice religioso, deve attuare la differenziazione tra uomo e Dio. ... Un risultato di questa separazione e' che l'individuo non puo' piu' accedere direttamente al Dio con cui prima era solito intrattenere un rapporto di familiarita'. Il Dio ha subito un cambiamento nel corso del processo di discriminazione: il Dio con cui l'individuo si intratteneva familiarmente era finito; Il Dio da cui egli e' ora separato e' trascendente ed infinito." (Attenzione e interpretazione, p. 103-104). "La gerarchia cristiana si trovo' ben presto di fronte agli stessi problemi ... da una parte il bisogno di controllare l'idea messianica e di renderla accessibile alla gente comune attraverso la formulazione dei dogmi; dall'altra l'idea messianica stessa o la sua incarnazione che perpetuamente irrompeva attraverso le barriere intese a controllarla e minacciava di dirompere la societa' in cui si manifestava. La Riforma ci ha dato uno spettacoloso esempio di cio' (cfr. Knox, 1950)." (Attenzione e interpretazione, p. 155).

In questo senso il lavoro di pensiero di Locke puo' essere effettivamente stato volto a ristabilire questa distinzione tra divinita' ed essere umano, che con la Riforma era stata nuovamente messa in questione. Alcuni gruppi sostenevano di ricevere direttamente da Dio un'ispirazione che li autorizzava percio', in qualita' di santi, ad assumere il potere per eseguire i suoi comandi e ad imporre a tutta la societa' un ordinamento religioso. (Si vedra' piu' avanti la discussione del capitolo del Saggio relativo all'entusiasmo, nel senso appunto di ispirazione religiosa diretta).

Nel 1671 in una riunione di amici a Exter House, durante la quale si discuteva di questioni morali e religiose, ad un tratto' baleno' a Locke l'idea "che eravamo su una strada sbagliata; e che, prima di impegnarci in ricerche di quel genere, era necessario esaminare la nostra stessa capacita', e vedere quali oggetti siano alla nostra portata, e quali invece siano superiori alla nostra comprensione." Cosi' racconta Locke nell'Epistola al lettore che funge da presentazione al Saggio. "Via via che mi inoltrai nella stesura, mi pareva come se io scoprissi sempre nuovi paesi: cosi', di scoperta in scoperta, il libro e' arrivato insensibilmente all'estensione che vedete."

Il Saggio e' percio' un'indagine preliminare sul limite della conoscenza umana, allo scopo di stabilire quali oggetti possano essere realmente conosciuti e percio' possano fornire la materia di un'ulteriore discussione. In questo senso Locke e' stato considerato l'iniziatore del criticismo, anche se il criticismo lockiano e' empirico e riguarda il contenuto della conoscenza, mentre quello successivo di Kant e' trascendentale e riguarda la forma della conoscenza stessa.

Paradossalmente, come si vedra' e' proprio il limite che apre nuovi e impensati spazi di liberta'. Una volta rifiutata la pretesa esistenza di idee innate che garantiscono una conoscenza certa, come pure la necessita' di certezza e di distinzione di tipo cartesiano da imporre a priori alle diverse discipline per poterle considerare corrispondenti a un modello scientifico precostituito, si aprono all'indagine e alla conoscenza scientifica, tramite l'esperienza, infiniti nuovi territori ("sempre nuovi paesi", secondo l'espressione di Locke). Il mondo della storia e dei rapporti umani, scartato da Cartesio come non matematizzabile e percio' non conoscibile scientificamente, diventa a buon diritto oggetto dell'indagine razionale - e cosi' pure il mondo delle emozioni e delle passioni, e di tutte le manifestazioni della mente umana, tra le quali non viene preventivamente posta alcuna gerarchia.

Il tentativo di Locke e' quello di non escludere alcun ordine di fatti, intendendo come fatto cio' che puo' essere accertato direttamente da chiunque, senza postulare, come Cartesio, l'esistenza preventiva di un ordine necessario. Questa impostazione filosofica si rivela estremamente feconda, sgombrando il campo dalle concezioni che ritenevano i fatti umani o insignificanti o gia' da sempre in ordine secondo un piano provvidenziale. Come dice Locke nell'Epistola al lettore con un'immagine efficace: "E' gia' ambizione sufficiente quella di impegarsi ... a sgombrare e ripulire un po' di terreno, e a gettar da parte un po' delle vecchie rovine che s'incontrano sul cammino della conoscenza."

Il Saggio si divide in quattro libri. Il primo, che e' il piu' noto ed stato ripreso dagli Illuministi in Francia, confuta la dottrina delle idee innate, cioe' la teoria che esistano nella mente umana principi innati che riguardano sia la conoscenza di Dio sia concetti morali presunti naturali e universali. Locke ha qui come avversari, oltre a Cartesio, i Neoplatonici di Cambridge, che cercavano di sostenere l'innatismo platonico, anche in questo caso a sostegno delle dispute religiose dell'epoca. In questo primo libro e' interessante notare come si parli molto, e d'altronde anche nel resto dell'opera, di realta' quali cannibalismo, incesto, parricidio, castrazione ecc., per provare, con l'ausilio dei racconti dei viaggiatori, che tutte le regole considerate piu' universali sono in realta' soggette nel mondo alle piu' grandi variazioni. Altrove, nel libro II, vengono tematizzate le passioni (tra le quali Locke ricorda amore, odio, invidia, desiderio), come parte integrante dell'esperienza umana. Il mondo delle emozioni e tutti gli aspetti della concreta vita umana sono accettati da Locke, senza preclusioni preliminari, come oggetti del discorso filosofico.

Cio' che in sintesi Locke intende confutare e', secondo le sue parole, il sillogismo "I principi che tutto il genere umano riconosce per veri sono innati; quelli che sono riconosciuti dalle persone di buon senso, sono ammessi da tutto il genere umano; noi, e quelli del nostro partito, siamo delle persone di buon senso; dunque, i principi su cui noi concordiamo sono innati". Bella maniera di ragionare, che arriva dritta all'infallibilita'!".

Secondo Locke la conoscenza ha inizio attraverso i sensi, che fanno entrare nello spirito idee particolari che "cominciano ad arredare quel locale vuoto" (e' spontaneo ricordare, per quanto le idee filosofiche su questo punto siano diverse, 'L'arredamento del sogno" di Bion (Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, p. 177). Dalle idee particolari si passa gradualmente, per astrazine, alle idee generali, che percio' non sono innate. Locke ritiene che i concetti ritenuti innati siano in realta' inculcati con l'insegnamento e l'abitudine e che sia molto doloroso distaccarsene. "Per questa ricerca, chi e' tanto ardito da accingersi a scuotere le fondamenta di tutti i propri ragionamenti e di tutte le proprie azioni passate? Chi puo' sostenere un pensiero cosi' mortificante, come quello di essere stato per tanto tempo nell'errore? Quanta gente c'e' che abbia abbastanza coraggio e fermezza per affrontare senza timore i rimproveri che si fanno dovunque a coloro che osano allontanarsi dal sentimento del loro paese, o del partito nel quale son nati? " Parole che sembrano richiamare, per quanto lontanamente, il senso di solitudine del mistico rispetto al gruppo, o della mente quando si distacca dalla memoria e dal desiderio, che a livello gruppale corrispondono al sentimento del paese o del partito al quale si appartiene.

Il secondo libro e' dedicato, una volta esclusa l'esistenza delle idee innate, ad indagare quali siano gli oggetti e le fonti della conoscenza. Per Locke tutti i materiali provengono dall'esperienza, cioe' dalle "osservazioni che facciamo sia intorno agli oggetti esteriori e sensibili che intorno alle operazioni interiori dell'anima nostra." Le due fonti sono percio' la sensazione e la riflessione, che la mente fa sulle proprie operazioni. Locke chiama 'idee' questi oggetti della conoscenza, derivanti sia dalla sensazione che dalla riflessione, e le divide in idee semplici e in idee complesse, che derivano dalla combinazione di idee semplici. Alla percezione delle idee che la mente trova in se stessa, secondo Locke e' preposta una facolta' che, per quanto non sia un senso "perche' non ha a che fare con gli oggetti esterni ..., vi si avvicina di molto, e potrebbe essere chiamata senso interno ."

E' evidente l'analogia con la coscienza, intesa da Freud e poi da Bion, come organo di percezione della qualita' psichica (Apprendere dall'esperienza, p. 23). Anche per quanto riguarda l'origine degli elementi alfa, l'analogia e' evidente: "La funzione alfa esegue le sue operazioni su tutte le impressioni sensoriali, quali che siano, e su tutte le emozioni di qualsiasi genere, che vengano alla coscienza del paziente." (Apprendere dall'esperienza, p. 27). E' fondamentale sottolineare che per Locke tutte le idee, sia quelle provenienti dagli oggetti esterni, sia quelle che derivano dalle operazioni della mente, sono sempre accompagnate da piacere o da dolore, cioe' hanno sempre una colorazione emotiva e percio' l'esperienza di cui parla non e' mai esclusivamente intellettuale, ma e' vissuta sempre globalmente: l'apprendimento dall'esperienza nel senso lockiano non e' pertanto diverso o estraneo rispetto all'apprendimento descritto da Bion. Per Locke le emozioni non sono classi speciali di percezioni, come erano per Cartesio che le isolava dalle altre percezioni, dalla volonta' e dalle conoscenze evidenti, svalutandone la funzione conoscitiva.

Locke esprime il suo disaccordo rispetto a Cartesio, che considerava la coscienza come la caratteristica essenziale dell'anima, con parole che nel loro britannico umorismo non sarebbero dispiaciute a Freud nella sua polemica anticoscienzialista: "Confessero' che a me e' toccata una di quelle anime grevi, che non si sentono sempre occupate da qualche idea, e che non saprebbero concepire che sia piu' necessario all'anima pensare sempre di quello che non sia al corpo essere sempre in movimento ... la percezione delle idee essendo per l'anima, a quanto io credo, cio' che il movimento e' per il corpo: ossia , una delle sue operazioni, e non cio' che ne costituisce l'essenza."

Il secondo libro del Saggio continua con l'analisi della qualita' primarie e secondarie, che concernono le idee prodotte dalla sensazione: le prime sono legate a caratteristiche dei corpi quali solidita', estensione, moto, matematicamente calcolabili e sempre presenti nei corpi in quanto tali, mentre le altre sono il colore, il suono, il sapore, che derivano solo secondariamente dalle qualita' primarie dei corpi. Questa differenza, gia' presente in filosofia, e' stata poi ripresa da Kant e piu' volte utilizzata da Bion. Le idee complesse vengono poi classificate in modi (cioe' affezioni o azioni delle sostanze), sostanze e relazioni. Per Locke le sostanze non sono altro che combinazioni costanti (concetto poi ripreso da Hume e utilizzato da Bion) di idee semplici, che si ripresentano regolarmente in natura, ma che non per questo presuppongono l'esistenza di una sostanza nel senso scolastico o anche cartesiano del termine.

Il terzo libro contiene un'analisi del linguaggio, mentre il quarto libro presenta un'analisi della conoscenza umana. Locke sostiene che, al di fuori delle scienze dimostrative, non e' possibile conoscere con certezza gli oggetti delle scienze naturali, ma solo arrivare a conoscenze probabili tramite l'osservazione e l'esperimento, che non arrivano mai alla vera essenza dell'oggetto, che per Locke e' inconoscibile, ma accumulano soltanto notizie sulle su proprieta".

Per Locke le idee di per se' sono sempre vere; l'errore puo' derivare piuttosto dall'errata connessione, dal legame sbagliato tra di loro instaurato dal pensiero. L'attivita' del pensiero consiste infatti essenzialmente nello stabilire combinazioni o legami tra le varie idee, che sono i dati primi a disposizione dello spirito. Anche qui si puo' notare un'affinita' - restando sempre nel campo dell'analogia, senza voler individuare equivalenze troppo strette - con il pensiero di Bion, che considera i pensieri antecedenti rispetto al pensatore e all'attivita' del pensiero, che rispetto ad essi interviene in un secondo tempo.

Particolarmente interessante, come gia' anticipato, e' il capitolo dedicato in questo quarto libro all'entusiasmo, cioe' alla presunta rivelazione divina immediata, che all'epoca di Locke era vantata da diversi gruppi religiosi. Le persone che si sentono divinamente ispirate traggono la loro certezza da un'evidenza immediata che provano in se stesse. "Questa luce del cielo ... porta con se' la propria dimostrazione persuasioni sono giuste perche' sono fortmente radicate in loro.

Poiche',quando cio' che esse dicono viene spogliato di tutte le metafore del vedere e del sentire, non si riduce ad altro che a questo; eppure, queste similitudini hanno tale efficacia sullo spirito loro, che servono loro in luogo di cose certe di per se stesse, e di dimostrazioni per gli altri."

Locke attacca questa convinzione, osservando che sono necessarie prove razionali esterne che confermino o meno l'apparente evidenza delle rivelazioni interiori, che per essere molto forti non sono per questo necessariamente vere. Per Locke l'esame razionale e' un obbligo, attraverso elementi che siano estriseci alle rivelazioni stesse, altrimenti le ispirazioni e le illusioni, il vero e il falso, avranno la stessa misura e non sara' possibile distinguerli.

E' parso interessante citare questo capitolo, perche' evoca facilmente vari punti importanti degli scritti di Bion. Per molti aspetti ricorda l'instaurazione, nella personalita' dello psicotico, dell'onniscienza che sostituisce la facolta' di apprendere dall'esperienza, di un "Super" Io, che asserisce la propria superiorita', impedendo la ricerca della verita' e il contatto con la realta' attraverso un metodo scientifico (Apprendere dall'esperienza, p. 165). Lo psicotico vive come se fosse sempre in contatto con un demone o con un dio.

Il riferimento alla reverie compare nel Saggio nel libro II, cap. XIX, quando Locke esamina i diversi modi di pensiero, intesi come modalita' di funzionamento che la mente osserva in se stessa. Data l'importanza del testo, e' opportuno citarlo in inglese. "When the mind turns its view inwards upon itself, and contemplates its own actions, thinking is the first that occurs. ... when ideas float in our mind without any reflection or regard of the understanding (= intelligenza), it is what the French call reverie (our language has scarce a name for it)."

Nel testo vengono elencati altri modi di pensiero (modes of thinking), il ricordo, la reminiscenza, la contemplazione, l'attenzione, l'applicazione o studio, il sogno e l'estasi, il ragionamento, il giudizio.

Queste osservazioni di Locke ci sembrano fondamentali, sia concettualmente che storicamente, perche' introducono una concezione dell'attivita' mentale che non privilegia pregiudizialmente alcuna modalita' rispetto alle altre, non esclude dalla riflessione filosofica le modalita' che non appartengono strettamente al pensiero razionale. Locke, in polemica con Cartesio che considerava l'anima come sostanza pensante, si chiede se il pensiero non sia l'azione e non l'essenza dell'anima, cioe' una delle sue possibili funzioni o operazioni e non, in senso cartesiano, la sua caratteristica essenziale.

"Riflettiamo sul diverso stato dello spirito nel pensare: il che ci viene suggerito assai naturalmente dagli esempi ... dell'attenzione, della reverie, del sogno ecc. ... Talvolta lo spirito si fissa con tanta intensita' sulla contemplazione di certi oggetti, da chiudere fuori di se' ogni altro pensiero ... in altre occasioni lo spirito quasi non osserva il susseguirsi delle idee nell'intelligenza, e comunque non ne orienta nessuna; e altre volte le lascia passare quasi senza guardarle, come pallide ombre che non lasciano alcuna impressione. Credo che ognuno abbia sperimentato in se' questa differenza di attenzione, o di abbandono, dello spirito nel pensare, con una grande varieta' di gradi che vanno dallo studio appassionto all'atteggiamento di chi non si preoccupa quasi di nulla. ... Di questo penso che ognuno trovi l'esperienza in se stesso, e fino a questo punto lo puo' condurre senza difficolta' la sua osservazione. Dal momento che lo spirito, in momenti diversi, puo' portarsi a gradazioni diverse nel pensare , e talvolta, persino in un uomo sveglio, essere cosi' pigro da avere dei pensieri opachi e oscuri che sono assai poco lontani dal non esistere affatto ... domando se non sia probabile che il pensiero sia l'azione e non l'essenza dell'anima. Poiche' le operazioni di un agente tollerano facilmente che si pensi ad una loro intensificazione o rilassamento, ma non si concepisce che l'essenza delle cose sia sucettibile di alcun variazione consimile."

Dal punto di vista storico, si puo' vedere qui un inizio dell'indagine sulle forme piu' "opache e oscure" del pensiero. Questa indagine, rivolgendosi ad attivita' della mente considerate come appartenenti di diritto al mondo dello spirito, viene in un certo senso d'ora in poi "autorizzata" filosoficamente e scientificamente.

Locke condivideva l'impostazione metodologica di Boyle e di Sydenham, che nei campi delle scienze naturali - chimica e medicina - rifiutavano la pretesa cartesiana di costruire un'interpretazione perfetta e completa della natura, dedotta a priori da principi considerati in precedenza come validi. La ragione per Locke non e' un sistema di verita' ne' un complesso di principi, ma un tipo di procedura, che utilizza l'esperienza sia come metodo per acquisire le nozioni sia come strumento di controllo dei giudizi esistenti. Questi due usi dell'esperienza si condizionano reciprocamente: la ragione da un lato non da' mai un sapere totale, necessario e definitivo, ma dall'altro puo' essere applicata a qualsiasi campo e non conosce domini di esercizio privilegiati.

E' questa mancanza di preclusioni che permette il contatto con le situazioni polimorfe da cui il sapere in realta' trae origine. Per ricapitolare in una sorta di schema riassuntivo le eventuali analogie nell'opera di Locke e di Bion, si possono indicare i seguenti punti:

- l'interesse per la natura, il funzionamento e i limiti del pensiero, nato da motivazioni per certi aspetti non estranee (la lotta contro il fanatismo, l'asservimento della ragione e il razionalismo chiuso al mondo dell'esperienza - da parte di Locke; lo studio della patologia del pensiero di tipo psicotico - da parte di Bion);

- la dedizione alla ricerca della verita', anche quando comporta l'isolamento e il doloroso allontanamento dalle credenze del gruppo di appartenenza, con il tentativo di respingere le metafore di tipo sensoriale, e con una sfumatura per certi versi religiosa in entrambi i pensatori;

- la visione della mente come 'locale vuoto' in cui entrano, come materiale del pensiero, le idee. Per entrambi, con evidente analogia, gli oggetti della conoscenza hanno origine da due fonti, messe sullo stesso piano, le impressioni sensoriali e le emozioni e le sperienze interne di qualsiasi genere;

- alla percezione delle idee e' preposta la facolta' specifica, chiamata da Locke senso interno, analoga all'organo della percezione della qualita' psichica, cioe' alla coscienza nel senso freudiano e bioniano;

- Locke utilizza la distinzione tra qualita' primarie e secondarie, relativamente alle idee prodotte dalla sensazione, ripresa da Hume e successivamente da Bion, e considera la sostanza come combinazione costante di idee semplici, introducendo un concetto poi utilizzato da Bion;

- e' introdotto da Locke il concetto di inconoscibilita' della vera essenza dell'oggetto, che diventera', elaborato da Kant, il concetto dell'inconoscibilita' della cosa in se', ripreso da Bion;

- la reverie, lungi dall'essere respinta come attivita' priva di valore conoscitivo, e' considerata da Locke una forma fondamentale di attivita' mentale e fatta oggetto di una trattazione specifica;

- e' affermato il valore dell'esperienza, contrapposta sia alla rivelazione divina immediata che al razionalismo cartesiano, come unica possibile fote di conoscenza, accentuandone le intrinseche e ineliminabili componenti emotive;

- e' particolarmente studiato il rapporto uomo-Dio e soprattutto le pretese di onniscienza derivanti da una rivelazione interiore immediata, che mirano ad escludere qualsiasi conferma o strumento di indagine di tipo razionale.

L'analogia forse piu' interessante e piu' suscettibile di ulteriori approfondimenti e' rappresentata dall'antecedenza, secondo Locke, delle idee rispetto al pensiero, che richiama le affermazioni di Bion sui 'pensieri senza pensatore'. Come afferma Locke, il nostro intelletto puo' combinare in vario modo le idee che riceve, ma non puo' in alcun modo darsi da se' le idee semplici e nemmeno, una volta che le abbia, le puo' distruggere. "Il dominio dell'uomo su questo piccolo mondo del suo intelletto e' pressoche' lo stesso che ha nel gran mondo delle cose visibili, dove il suo potere ... non riesce a fare altro che a comporre e dividere i materiali che sono a disposizione." "Non vedo dunque alcuna ragione per credere che l'anima pensi prima che i sensi le abbiano fornito idee a cui pensare ... In seguito, componendo queste idee e riflettendo sulle proprie operazioni, accresce ... la sua facilita' di ricordare, immaginare, ragionare e utilizzare altri modi di pensare."

Locke, nell'indipendenza della sua ricerca e nella fermezza con cui ne ha seguito tutti i possibili sviluppi, appare percio' come uno dei pensatori che hanno aperto nuovi e piu' vasti campi di indagine - indagine della quale Bion si puo' considerare nel senso piu' ampio e piu' profondo un continuatore.

BIBLIOGRAFIA

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Viano, C. A. (1960) John Locke. Dal razionalismo all'illuminismo, Torino, Einaudi.


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