L'ULTIMO BION A CONFRONTO CON L'ULTIMO FREUD SULLE ANTINOMIE FONDANTI L'ESISTENZA UMANA (nostre "cogitations")

DINO RICCIO

MARIELLA ALBERGAMO

IDA DI MAJO

PAOLO FARINARO

SUSANNA MESSECA

BRUNA TRAMONTANA

"Non vedo alcuna ragione per cui la specie umana debba sopravvivere: .... la nostra intelligenza scimmiesca potrà essere così brava ad inventare dei trucchi da poter inventare una bomba atomica, se non qualcosa di ancora migliore. Con ciò si risolverebbe il problema molto prima di avere la saggezza di sapere come adoperare la nostra capacità per la fissione nucleare".

Abbiamo scelto questa citazione come "esergo" perché ci sembra rendere appieno il senso di pericolo che Bion avvertiva per un uso sofisticato dell'intelligenza al servizio della distruttività.

Da circa dieci anni facciamo parte di un gruppo di lavoro tra psicoanalisti denominato "Gruppo Libero Memoria del Futuro" per sottolineare sia il testo bioniano da cui prendiamo sempre l'avvio sia l'assoluta libertà di approccio, di collegamenti, e di "espansione".

Abbiamo letto quest'opera "coralmente", affascinati dalla fantasiosa originalità ed insieme sconcertati da passaggi oscuri che tentavamo, attraverso le nostre libere associazioni, di rendere in qualche maniera fruibili.

E' suggestivo ricordare che il metodo delle libere associazioni, da noi ampiamente utilizzato sia negli incontri del nostro gruppo che nella stesura del presente lavoro, venne ispirato a Freud dalla pratica ebraica della "Melitzah" per la lettura della Bibbia, consistente nell'apertura a caso del libro sacro. Abbiamo pensato ad una sorta di espansione della Melitzah alla base della tecnica narrativa della trilogia, dove Bion si spinge fino ad assumere quella forma comunicativa originale e diretta che ha un effetto di rottura della stessa discorsività logica, lasciando inappagato il nostro desiderio di fluidità e distinzione, per i continui dirottamenti che il suo stile impone al nostro pensiero e per le suggestioni imponderabili a cui lo trascina.

Questo lavoro è stato scritto a più mani, per conservare la pluralità delle voci; ciò può pertanto provocare talvolta un senso di discontinuità dovuto ad improvvisi cambiamenti di stile.

Tra gli elementi costantemente emergenti nei nostri incontri ci ha particolarmente colpito l'insistenza dell'ultimo Bion sulle antinomie fondanti l'esistenza umana: individuo-gruppo, vita-morte, pace-guerra, speranza-disperazione, fede-catastrofe, sopravvivenza-olocausto.

Abbiamo pensato quindi di portare un contributo a questo convegno su tale tema, provando - per quanto possibile - a confrontare l'ultimo Bion con l'ultimo Freud, due titani del pensiero umano, al termine della loro vita terrena.

Cominciamo con l'osservare che le due guerre mondiali che hanno funestato e sconvolto la prima metà di questo secolo hanno profondamente influito sul pensiero e sul destino di entrambi. Freud, che aveva inizialmente quasi esultato per l'entrata in guerra degli Imperi Centrali nel 1914, ben presto si rese conto dell'immane tragedia che insanguinava l'Europa. Non a caso già nel 1915 scrisse "Considerazioni sulla guerra e sulla morte", per poi, nel 1920, sistematizzare il viraggio del suo pensiero in "Al di là del principio del piacere", dove compare la sconvolgente scoperta di Thanatos.. Dodici anni più tardi, mentre Hitler prendeva il potere in Germania, avvenne il famoso scambio di lettere tra Einstein e Freud, in cui quest'ultimo, pur argomentando con la consueta lucidità, e pur fornendo qualche elemento di speranza, appare peraltro permeato da un incombente senso di sfiducia. Accenna infatti alla possibilità che guerre future provochino lo sterminio di entrambi i contendenti, e suggerisce che il processo di incivilimento potrebbe condurre all'estinzione del genere umano, per quella mistura tra disagio e orgogliosa onnipotenza che può risultare distruttiva laddove non prevalga l'etica della responsabilità.

Nell'Opera Omnia edita da Boringhieri è riportato come ultimo scritto di Freud una sua lettera, incredibilmente breve, dal titolo "Antisemitismo in Inghilterra", inviata al direttore della rivista "Time and Tide", in cui cita un vecchio proverbio francese:

Le bruit est pour le fat Il rumore è per il fatuo,

la plainte est pour le sôt la pena è per lo sciocco

l'honnête homme trompé il gentiluomo tradito

s'en va et ne dit mot se ne va senza dir parola

E' suggestivo pensare che il vecchio Freud in esilio a Londra possa essersi soffermato a considerare l'inquietante senso profetico implicito nel nome della rivista cui stava scrivendo "Time and Tide" (il tempo e la marea), proprio mentre la marea del tempo e il cancro alla mascella stavano per travolgerlo.

Nicola Perrotti parlava spesso, nelle sue lezioni, di quello che chiamava il "robusto pessimismo" di Freud, dapprima sotterraneo, e poi più evidente alla fine della sua giornata terrena.

Non ci sembra però di poter concordare pienamente con tale osservazione. Se c'è un "filo rosso" di pessimismo, possiamo anche intravedere, intrecciato, una sorta di "filo verde" di speranza. Per esempio, nell'opera tradizionalmente considerata la più pessimistica, "Il disagio nella civiltà", va considerato il mutamento del titolo (da "Infelicità" a "Disagio") e l'ariosa e poetica conclusione. "E ora c'è da aspettarsi che l'altra delle due potenze celesti, l'Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario parimenti immortale". Così finiva il libro, ma nel 1931, quando gli eventi politici andavano prendendo una piega minacciosa, Freud aggiunse un interrogativo che lascia l'antinomia pienamente insatura; "Chi può prevedere se avrà successo o quale sarà l'esito?" Ci sembra che il cambiamento del titolo e l'aggiunta dell'ultima frase, nettamente interrogativa, siano espressione di una vitale pendolarità insatura tra i termini dell'antinomia.

Nato oltre quarant'anni dopo Freud, Wilfred Bion, anche per motivi generazionali, si trovò immerso personalmente nel fango e nella follia distruttiva della Ia guerra mondiale, e lo scoppio del carro armato che dilaniò e uccise i suoi soldati costituì forse il potente "segno" iniziale del suo destino di uomo e di futuro psicoanalista innovatore.

A differenza di Freud, dunque, Bion s'interroga sulla guerra dall'interno della sua personale esperienza e al tempo stesso si chiede in che modo la mente fa esperienza.

Il lavoro con i gruppi iniziato a Northfield pose Bion di fronte all'antinomia, ma anche alla continuità individuo-gruppo.

La domanda che Freud si poneva circa la vittoria di Eros o di Tanathos sembra riformulata da Bion più o meno in questi termini: "Saprà l'individuo riconoscere che non esiste più la salvezza individuale, se non in relazione alla salvezza dell'intera umanità?"

Abbiamo riletto "Seminari italiani", "La lunga attesa" e soprattutto "Memoria del futuro", con particolare attenzione all'ultimo libro della trilogia "The dawn of oblivion".

I "Seminari italiani" del luglio '77, a cui i meno giovani tra noi hanno avuto l'eccezionale privilegio di assistere e partecipare, ebbero luogo a Roma quando il "vecchio saggio" Wilfred, alto e diritto come un quercia, aveva già varcato la soglia degli ottanta anni, e forse avvertiva oscuramente dentro di sé l'imminenza della propria morte che si sarebbe verificata circa due anni dopo. Ci sembra quasi un "evento sincronico" il fatto che il presente Convegno si situi esattamente vent'anni dopo!

Nella registrazione scritta di questi seminari, che ovviamente non potrà mai rendere la vivacità, la creatività, e l'emozionalità dell'atmosfera che si attivava, sono molto presenti e strettamente collegate le antinomie vita-morte e pace-guerra.

Per es.: " ..... questa 'morte annunciata' del paziente non mi interessa di più che la sua nascita. Quel pezzettino piccolo fra nascita e morte, quello sì mi interessa. Si dice che questo particolare paziente stia morendo. Ancora una volta questo non mi interessa. Noi tutti stiamo morendo, dal momento che in effetti stiamo vivendo. Ma mi interessa se la vita e lo spazio che ci restano sono tali che valga la pena di viverli oppure no."

Ed ancora "Finora l'animale umano è stato abbastanza bravo nel distruggere i propri rivali; ogni tanto, però, non ha tanto successo: nel 1918, nel breve volgere di poche settimane questi oggetti minuscoli - i virus - uccisero più esseri umani di quanti non fosse riuscita a uccidere la guerra in quattro anni. Così la nostra capacità suicida di autodistruzione non ha quasi bisogno di essere aumentata; ci sono innumerevoli forze che aspettano di compiere questo lavoro e di mettere fine a quelle capacità creative che abbiamo."

Soffermandoci su questo inquietante atto definitorio - la nostra capacità suicida di autodistruzione - vorremmo sottolineare l'importanza della cecità, dell'inerzia, dell'incapacità di inventare modelli nuovi, della noncuranza di eventi storici trascorsi, della miopia individuale e collettiva nell'attivare processi distruttivi irreversibili che si autonomizzano accelerando l'autodistruttività. Un esempio su tutti: la "morte annunciata" della foresta Amazzonica, grande polmone verde dell'intera umanità.

Nel romanzo "La lunga attesa" ci ha colpito, nella prima parte, l'episodio della ferita al pollice del piccolo Wilfred, mentre giocava con un fucile ad aria compressa.

"Perché il cuore mi batte così, dentro il pollice?"

"La cicatrice sul pollice è ancora ben visibile, e sono passati settant'anni".

Questo episodio ci sembra emblematico della separazione, bruscamente e violentemente lacerante, del bimbo Wilfred dalla "grande madre" India, e il suo pianto disperato, immediatamente accolto dalla sollecitudine dei genitori, può considerarsi come premessa antica allo stabilirsi dell'antinomia fra speranza e disperazione. Bion conservò sempre l'attaccamento alla sua terra d'origine, da cui era stato violentemente "espiantato" all'età di otto anni e coltivò sempre la speranza di tornare in India; questo desiderio era allo stesso tempo struggente e minaccioso, e proprio quando stava per realizzarsi sopraggiunse la morte, che lo colse ad Oxford, due mesi prima della progettata partenza per Bombay.

Come non ricordare analoghi "luoghi mentali" nella vita di Freud: Roma ed Atene?

Osserviamo allora quanto sia complesso lo sforzo di mantenere la compresenza di culture diverse, di livelli embricati di realtà psichica soggettiva ed oggettiva, presente e passata, cui comunque si appartiene.

La cicatrice sul pollice, ben visibile anche dopo settant'anni, ci fa pensare, espandendo il discorso sul filo delle libere associazioni, a quante cicatrici siano ancora presenti nei "pollici" dell'umanità, pronte a riaprirsi e virulentarsi, per esempio nei terribili conflitti etnici dell'epoca contemporanea, ma anche pronte ad una funzione vitale sul filo del ricordo. Non a caso Freud nel "Mosè" aveva usato la metafora della cicatrice per sottolinearne il valore positivo quale traccia che rende visibile il luogo della rottura e che mantiene aperta la mobilità psichica. Riprendendo questa metafora, Adorno parla del carattere come di un sistema di cicatrici integrate dalla sofferenza.

Sempre ne "La lunga attesa" Bion introduce alla fine un interrogativo, esattamente come aveva fatto Freud per la già citata frase finale de "Il disagio nella civiltà". Per Bion l'interrogativo è il seguente "Che può fare un poeta contro la fissione nucleare?".

Vediamo cioè ancora una volta la capacità ed il coraggio di tollerare l'enorme squilibrio di forze tra la fragilità del pensiero poetico - piccolo animale immaturo - e l'immensità delle potenze distruttive che lo minacciano.

Proviamo ora a parlare di "Memoria del futuro", la più controversa e la meno compresa delle sue opere che Bion nel Prologo afferma essere, con atto definitorio, una "narrazione fantastica della psicoanalisi", e che a noi oggi appare, confusamente, quasi come la confluenza di tutte le correnti di pensiero che hanno traversato Bion nella sua lunga vita, adombrando il possibile sviluppo di una nuova sintesi sorgiva, alla luce della ividiabile saggezza raggiunta.

Il titolo originale ci appare volutamente ambiguo "A memoir of the Future". In realtà "memoir" non significa "memoria" , eppure certamente evoca il concetto di "memoria". Memoir, in inglese, è una parola non molto comune, per di più usata raramente al singolare che può pronunziarsi sia "mem'war" che "mem wôr", e cioè sia alla francese che all'inglese. Viene subito in mente la lontana ascendenza di W.B. dagli Ugonotti francesi della Dordogne, di cui andava talmente fiero da chiamarsi a volte, per scherzo, Bion (pronunziato alla francese!), a sottolineare ancora una volta la sua appartenenza multiculturale.

Dal confronto tra vari dizionari emerge che il termine Memoir al plurale significa "narrazione a partire da esperienze e memorie personali", mentre al singolare, come qui appare, significa più generalmente "una biografia scritta senza speciale considerazione per la completezza". In italiano, molto opportunamente, il titolo è stato tradotto come "Memoria del futuro", a sottolineare sia l'ambiguità semantica che la potenza evocativa. Inoltre se colleghiamo la prima parola del titolo della trilogia con l'ultima parola del titolo del terzo volume della trilogia stessa, ne risulta la perfetta antinomia "Memoria - Oblio".

Tale dialettica tra memoria ed oblio è anche uno dei fili conduttori più significativi della comprensione della forma della storia nel pensiero freudiano. Nel "Mosè e il monoteismo", sua ultima grande opera, il fenomeno del tempo che ripete il suo passato spiega il carattere coattivo degli eventi collettivi ed il continuo alternarsi di ritorni e ripetizioni, oblio e ricordo. La "verità" dell'evento traumatico è fissata nel tempo passato, mitico e primitivo, ma i suoi effetti agiscono nel presente conferendo continuità alla vita emotiva degli uomini nel prolungarsi di processi e contenuti psichici da una generazione all'altra. A questo proposito i versi di Goethe tanto spesso citati da Freud "Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero" rendono più chiara tutta la difficoltà degli uomini a farsi attori, sia pure di frammenti della propria esistenza psichica, che va ben oltre il tempo della vita singola, sottolineando la doppia appartenenza del soggetto alla collettività attuale ed alla collettività storica.

Tale prospettiva transgenerazionale è poi enormemente amplificata da Bion nelle conseguenze collettive di quella vastissima area emozionale che sfugge ad una presa mentale e che si irradia nel sociale. L'eredità arcaica di cui l'uomo è materiato non si limita all'umano storico e mitico, ma raggiunge, producendo un effetto inquietante di vertigine conoscitiva, addirittura i livelli embriogenetico e paleontologico.

Ne "L'Alba dell'oblio", in molti dialoghi tra i più disparati personaggi Bion insiste sulla necessità di mantenere vive le tracce primitive di conoscenza dando loro spazio e senso, ma al tempo stesso, da un vertice parallelo ed opposto, avverte la minaccia di un loro potenziale sopravvento che impedirebbe lo sviluppo.

Tra le suggestioni più belle ripensiamo al mal di pancia di Soma, espressione di una potenziale comunicazione, ed al muco ed alle lacrime, residui liquidi sia di una vita primordiale acquosa sia della più recente intra-uterina, la cui essenza comunicativa si perderebbe inevitabilmente se curati da un dottore o liquidati come catarro, ma che, lasciati lievitare senza il limite della comprensione, impedirebbero di respirare, di annusare e di vedere.

Bion valorizza, anzi addirittura vitalizza il legame tra passato e futuro, creando un continuum tra esperienze conoscitive primordiali e strumenti attuali più raffinati. Sempre ne "L'alba dell'oblio" ad es. è lo P.A. che recupera l'antico "annusare la puzza del pericolo" per condividere il sentimento del paziente. Ed ancora il senso della continuità circolare e in divenire è evidente nel dialogo in lingue reciprocamente straniere tra "settantacinque anni" e "Somite tre": "Penso che è la prima volta che riesco a raggiungerti. Anche adesso non riesco ad immaginare come ciò che dico possa essere abbastanza adeguato al viaggio da qui alle mie origini ittiche".

Tale incessante movimento, derivante dalla compresenza di livelli arcaici e livelli più evoluti della mente nel suo esperire il mondo, conduce Bion a parlare di "deriva catastrofica", concetto che potremmo rappresentare con l'immagine di un peduncolo che fluttua nel caos primigenio alla ricerca del suo punto di inserzione. La "deriva catastrofica" è costitutiva della relazione del soggetto col mondo e, sempre in qualche modo all'orizzonte di essa, comporta l'oscillazione, altrettanto costitutiva, PsD, che dà conto sia della frammentazione caotica che del dispiegarsi di infinite e diverse possibilità di sviluppo, di punti di appoggio e di radicamento. Evoluzione e destrutturazione si compiono pertanto nel segno della catastrofe; senza di essa avremmo un mondo contenitore rigido di esseri deterministicamente programmati, come "visitors" estranei a se stessi.

Bion traccia le linee di un mondo primordiale dove il soggetto nascente è esso stesso un miracolo di sopravvivenza ed è perciò continuamente sul punto di una dissoluzione, eppure dotato di una possibilità di dare senso, raggiunta, perduta e recuperata innumerevoli volte; è qui che la catastrofe si articola con la fede, intesa come salto nel vuoto e slancio verso il futuro. La fede è indicata da Bion come la nostra capacità di andare oltre la conoscenza (K) ed esperire l'impatto della realtà emozionale (F in O). La deriva catastrofica, accolta al centro della relazione soggetto-oggetto, diviene allora il luogo della sintesi di senso tra catastrofe e fede.

In parole più semplici, questo discorso sembra rimandare ad una spinta vitale che informa di sé la materia vivente, in una sorta di richiamo al Bergson dell'élan vital, al Freud di "Aldilà del principio del piacere" e soprattutto al Freud del "Mosè", che, interrogandosi sul destino del mondo, sottolinea l'inermità dell'essere umano, la Hilflogigkeit, l'impotenza primaria ad aiutarsi da sé: ciò rende necessario sia la costruzione di quel concentrato eccezionale di verità storiche che è la religione, sia anche la fede nella sacralità della vita, mediata culturalmente dai custodi e garanti della nostra esistenza. Se il Mosè è il testamento spirituale di Freud, l'Alba dell'oblio è il testamento spirituale di Bion, dove viene esplicitamente sottolineato il profondo rispetto per l'esperienza mistica autentica, che è cosa ben diversa dalla religione, che è priva di mediazione culturale, ricca di immediatezza, irriducibile a categorie psicoanalitiche, in quanto espressione di un vertice "altro" dal quale l'uomo tenta con strumenti diversi la ricerca della verità. Per esempio, nel cap. 7° de "L'alba dell'oblio" il personaggio "Priest" dice, rivolto al personaggio "P.A." "Potremmo accordarci sul fatto che entrambi tendiamo alla ricerca della verità, anche se i nostri sentieri spesso sembrano separarsi?"

Consideriamo ora le parole finali di tutta la trilogia, due parole soltanto, ironiche, amare, e inquietanti, seguite da un punto esclamativo: Happy Holocaust! A prima vista sembrerebbe una chiusura totalmente disperante sul futuro dell'umanità, eppure l'ambiguità ironica dell'aggettivo "Happy" ci ha stimolato, con un volo pindarico circolare, a collegare queste due ultime parole alla prima parola del titolo "The dawn" - l'alba, e cioè a collegare l'olocausto come fine globale con l'alba del principio possibile di qualcosa di nuovo, un pensiero sorgivo al di là del pensato. Come l'immagine del "Bambino delle stelle" al termine di "2001 Odissea nello spazio", che nel libro corrisponde alla frase finale, stupendamente insatura, "Forse gli verrà in mente qualcosa di nuovo".

Nel capolavoro di Stanley Kubrik l'alba dell'umanità è rappresentata dalla trasformazione di un osso spolpato in clava distruttiva, che roteando nei millenni si trasforma nell'astronave che nasconde nella sua pancia il computer assassino inventato dall'uomo.

Si potrebbe aggiungere che l'alba del pensiero e della socialità venga rappresentata dalla perturbante immagine del monolite mentre l'alba di una nuova possibile umanità, finalmente cosciente della sacralità della vita, venga poeticamente adombrata dal fotogramma finale del "Bambino delle stelle".

L'immagine dell'alba compare più volte ne "La lunga attesa" di Bion, per es., all'inizio del capitolo sulla guerra: "L'alba di quella libertà a cui da tanto tempo agognavo" o "L'azione doveva iniziare all'alba".

Qui l'alba assurge a dignità di titolo: "L'alba dell'oblio". Ma che cos'è l'oblio se non il reciproco della memoria? In quale fiume Lete dobbiamo avere il coraggio di immegerci per guadagnare forse una nuova alba? Ci sembra che l'oblio suggerito da Bion abbia a che fare con uno dei più grandi "scandali" da lui proposti, icasticamente espresso nelle parole finali del suo libro "Attenzione e interpretazione" e cioè "No memory, no desire, no comprehension" scritte tutte a lettere maiuscole nell'edizione originale inglese.

Questo violento triplice NO viene poi temperato e reso più soft nelle traduzioni e nelle varie esegesi del pensiero bioniano, per esempio con "sospensione calibrata". Ma ciò risulta fuorviante in quanto tendente ad edulcorare questo senso di rottura.

Proponiamo di espandere il concetto dalla pratica psicoanalitica alle antinomie fondanti l'esistenza umana, utilizzando proprio il termine oblio

Prima di tutto, allora, oblio di quella memoria storica che condiziona culturalmente le guerre tra gli uomini, a partire da una clava e a finire con una bomba termonucleare. E ancora: oblio del desiderio, diventato impossibile, di potersi salvare dall'apocalisse annunciata in quanto individui e pertanto esseri biologicamente finiti, destinati a morire, ma anche aventi una protogruppalità interna che si prolunga al di là del singolo.

E infine: oblio della comprensione, cioè oblio dei contenitori culturali calcificati, comprese le teorie psicoanalitiche conchiuse, e pertanto ossificate.

Se riusciremo a tuffarci nel Lete di questo triplice oblio forse potremo vedere l'alba di qualcosa di nuovo, un pensiero sorgivo, un'idea nuova, una diversa umanità.

Ci piace interrompere (non concludere) queste libere associazioni con una citazione di Francesco Corrao, che è stato per così dire il profeta di Bion in Italia; la citazione è pubblicata nell'introduzione ai "Seminari Brasiliani" ed è la seguente: "Credo che Bion sia uno di quegli uomini rari, come Socrate e Freud, come Sant'Agostino e Einstein, capaci di accettare la dimensioni relativistiche dell'uomo, ed al tempo stesso di scoprire processi conoscitivi assolutamente nuovi e con essi aprire orizzonti inaspettati di esperienza e di speranza."

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