Il mentale in Freud e Bion

di Goriano Rugi

 

Il punto di partenza di questa indagine è il dato di fatto della coscienza, un dato che non ha eguali e che si sottrae caparbiamente a qualsiasi tentativo di spiegazione e di descrizione. Tuttavia, quando si parla di coscienza, ciascuno sa benissimo, in base alla propria esperienza più intima, che cosa si intende.

Freud, S. 1938

La psicoanalisi reputa che i presunti processi concomitanti di natura somatica cosituiscano il vero e proprio psichico,e in ciò prescinde a tutta prima dalla qualità della coscienza.

Freud, S. 1938

Questi poeti e artisti hanno i loro metodi per registrare la loro consapevolezza di qualche tipo di influenza, di stimoli che vengono dal di fuori, dell'ignoto che è così terrificante e che stimola sentimenti così potenti che non li si può descrivere con le parole comuni. Questi sentimenti vanno considerati come percepibili solo in quanto l'essere umano ha organi talamici ed esperienze talamiche:come se la stessa mente umana, descritta in termini fisici, fosse un sistema nervoso centrale che si è sviluppato soltanto fino al talamo, di modo che non è rimasta nessuna reale comunicazione sinaptica fra il talamo e lo sviluppo ulteriore della mente, il neo-pallium o qualunque sia il termine appropriato per essa. Abbiamo bisogno di inventare una qualche forma di discorso articolato che possa avvicinarsi alla descrizione di queste realtà, di questi fenomeni che io non riesco affatto a descrivere.

Bion,W.R. 1992

Premessa

Scopo di questa relazione è delineare, nelle sue linee essenziali, la problematica connessa al tema del mentale in Freud e Bion nel tentativo di cogliere alcuni punti di contatto ed eventuali differenze nelle rispettive teoresi.

Nella mia ipotesi il pensiero di Bion sul problema mente/corpo si riconduce a quello di Freud assai più di quanto generalmente venga ammesso e si pone anzi come ideale linea di sviluppo di quello; paradossalmente, tuttavia, ne rappresenta anche un superamento radicale, e, per certi aspetti, un vero ribaltamento. Lo stretto legame tra i due autori era già stato sottolineato p.e. da Mauro Mancia che riallaccia direttamente il pensiero di Bion a quello del primo Freud, collegandoli entrambi all'interno di un dualismo interazionista (Mancia,M.1981).

In questo lavoro, tuttavia, non viene còlta la natura problematica del rapporto Freud-Bion e una "eccessiva" preoccupazione neurofisiologica sembra far perdere di vista i profondi cambiamenti introdotti da Bion. La funzione alfa, che ha il compito di trasformare le esperienze emozionali in elementi alfa mentali, difficilmente, per esempio, può essere riferita ad una cornice biologica precisa come quella che presiede al sonno REM. La sua particolare funzione "trasformativa" rende poi problematica una eventuale collocazione di Bion all'interno di una teoria di tipo interazionista, che prevede comunque una visione di tipo sostanziale di due realtà, mentale e somatica, che interagiscono tra loro, seppur nei termini "minimi" di Popper (Popper,K. Eccles,J. 1977).

Lo stesso Freud, del resto, si era dichiarato contrario ad ogni teoria dualista e nelle sue opere il concetto di mentale appare solo come sinonimo di consapevole, di conscio e non appartiene allo "psichico", che invece fa parte dei concetti di inconscio e di "realtà psichica".Quest'ultimo è complesso, controverso, e strettamente legato alle vicessitudini della teoria del trauma sessuale da cui media gli aspetti causalistici.

Per "realtà psichica" Freud intende infatti una particolare forma di esistenza che non va confusa con la realtà materiale, ma che non è limitabile neppure al solo psicologico, al puro soggettivo. Essa è piuttosto la realtà del desiderio inconscio e delle fantasie ad esso connesse, organizzate nei fantasmi originari che restano determinanti nel mondo del nevrotico. In questo senso essa appare legata all'uomo pulsionale e al corpo, ma di questa realtà somatica, al centro della eterna lotta tra Eros e pulsioni distruttive, la realtà psichica media il conflitto aprendo alla rappresentazione e al significato.

Su queste basi mi è sembrato importante esplorare i rapporti tra i concetti bioniani di "proto-mentale" ed "elemento beta " e il concetto freudiano di "inconscio somatico", talvolta frettolosamente liquidato come residuo positivista e non sempre assunto in tutto il suo valore euristico. Una maggiore comprensione di questi aspetti aurorali o "matrici" del mentale in Freud e Bion mi sembra infatti essenziale per cogliere la comune concezione "trasformazionale" e le differenze talvolta laceranti tra l'uno e l'altro.

Il mentale in Freud

Contrariamente a quanto sarebbe ragionevole pensare la posizione di Freud sul problema mente/corpo non è affatto scontata e definita. Essa del resto è stata variamente interpretata dagli autori che l'hanno collocata ora nel dualismo mente-corpo (Searle,J.R.1969; Sulloway,F.J.1979), ora nel dualismo di tipo interazionista ( Popper e Eccles, 1977; Mancia,M. 1981), ora nel parallelismo psico-fisico (Hinshelwood, R.D.1989), ora nel monismo materialista ( Meltzer,D. 1984).

In realtà Freud, che pur si era considerato seguace del parallelismo psico-fisico ai tempi della monografia sull'Afasia (1891), ricusò in seguito più volte questa posizione (Freud, 1915 p.51), così come sostenne di essere contrario ad ogni forma di dualismo ( Freud, 1938 p.644). E' probabile, invece, che Freud, per quasi tutta la sua opera, abbia pensato ad una forma di monismo materialista. Questa posizione, sostenuta da Meltzer e lo stesso Bion (1992), è stata però vista in senso riduttivo e deterministico. Meltzer parla di un modello neurofisiologico ed "idrostatico" in cui l'"Unità della mente" è imposta dall'equazione neuro-anatomica di mente e cervello di tipo uno-ad-uno"( Meltzer D. 1984).

Oggi forse occorre rivedere questo giudizio. Esso infatti non dà ragione di una certa ambiguità e paradossalità che Freud mantenne intorno al problema mente\corpo e che verosimilmente testimonia una profonda consapevolezza della complessità dei problemi epistemologici connessi. In fondo ciò che Freud lasciò insoluto è proprio ciò che ancora agita i moderni filosofi della mente, ovvero la natura della coscienza. Freud, che rimase sempre contrario alla equiparazione tra psiche e coscienza, lasciava a questa una piccola parte : "Niente altro che quella di un organo di senso per la percezione delle qualità psichiche " ( Freud, S. 1899 p.560).

Così Freud evitava di definire la natura della coscienza, lasciandola piuttosto ai filosofi e all'opinione popolare (Freud S. 1938, p.586). Sappiamo del resto che per il padre della psicoanalisi lo psichico è l'inconscio, ma la natura dell'inconscio resta paradossale. Esso può essere conosciuto "soltanto in una forma conscia, dopo che si è trasformato o tradotto in qualcosa di conscio "( Freud, 1915,p.49). La questione della sua natura, se psichica o somatica, resta a lungo aperta.Tuttavia, alla fine della sua opera, Freud sembra decidersi per una natura somatica dell'incoscio,e quindi dello psichico, lasciando alla coscienza la caratteristica di "una qualità (o attributo) dello psichico, incostante per giunta" (Freud, S. 1938,p.644).

Ciò può sembrare lontano dall'odierna psicoanalisi, che ruota intorno a posizioni ermeneutiche, ma avvicina paradossalmente il pensiero di Freud alle concezioni materialistiche oggi dominanti sul problema mente/corpo. L'asserzione freudiana che la consapevolezza sia una qualità transitoria dello psichico è poi del tutto sovrapponibile alla recente ipotesi di Dennett (1969) per il quale la consapevolezza è una specie di fenomeno emergente che nascerebbe solo come caratteristica di una sufficiente complessità o raffinatezza di azione.

Ciò dovrebbe far pensare che la posizione di Freud sul problema mente/corpo non sia affatto ingenua, né che esprima soltanto il desiderio di far accettare la psicoanalisi dalla comunità scientifica dell'epoca, ma che rifletta piuttosto dei nodi epistemologici non ancora risolti e per alcuni autori non risolvibili (Nagel,T.1986). Contrariamente al giudizio di Meltzer, è probabile allora che Freud, pur optando per una posizione materialistica, abbia contribuito ad uscire dagli aspetti più ingenui di tale posizione, legati al positivismo, aprendo di fatto ad una concezione ben più complessa e non del tutto chiarita. Alcuni autori pensano ad esempio che in Freud vi sia un modo sufficientemente ambiguo di trattare il problema mente /corpo, tale da poter situare la psicoanalisi ora nel versante delle scienze biologico-naturali, ora in quello delle scienze ermeneutiche (Corsi Piacentini, T. et alii, 1983). Etchegoyen, per esempio, ha sottolineato recentemente che in Freud è già presente il conflitto che tuttora lacera la psicoanalisi; il conflitto natura vs cultura, che vede gli psicoanalisti divisi tra coloro che vogliono mantenere la psicoanalisi entro l'ambito delle scienze naturali e coloro che vogliono condurla nell'ambito dell'ermeneutica. Per i primi la realtà psichica corrisponde a fatti o dati che il linguaggio esprime nella relazione transfert/controtransfert e che possono essere spiegati attraverso la ripetizione; per gli altri la realtà psichica si esaurisce nel significato che l'analista e l'analizzando costruiscono nell'orizzonte della relazione analitica, attraverso il gioco del linguaggio, nel cosiddetto circolo ermeneutico ( Etchegoyen, H.1993). E' mia opinione, tuttavia, che Freud avesse cercato proprio di evitare questa scissione,e che la sua "ambiguità" traduca piuttosto la consapevolezza della natura paradossale e misteriosa del rapporto mente/corpo, ma anche la ferma convinzione che l'unica strada possibile per una psicoanalisi "scientifica" fosse quella di una psicoanalisi ancorata al corpo. In questo senso tutta l'opera di Freud può essere letta come un ciclopico e drammatico tentativo di comprendere i fenomeni psichici e mentali rimanendo all'interno di una concezione monistica e materialistica. La strada percorsa da Freud rimarrebbe così più sul terreno accidentato del paradosso che sulla comoda via della scissione. Se questo è vero è possibile concepire le strategie di Freud per affrancarsi dall'organico, rimanendo materialista, come un tentativo di gettare le basi per una teoria delle trasformazioni. Freud stesso ipotizzò che il tormentato passaggio della rappresentazione dal sistema Inc in quello ad esso contiguo (Prec), avvenisse attraverso un "cambiamento di stato, una trasformazione del suo investimento" ( Freud, 1915). In ogni caso nella sua teoresi

l'articolarsi del concetto di pulsione con la rappresentazione psichica conduce ad una concezione dell'apparato psichico in cui l'attività mentale si sgancia dalla ripetitività biologica, dando luogo ad uno sviluppo libero da patterns fissi, ma il corpo resta comunque il teatro del conflitto e si configura come il substrato materiale da cui tutti i processi mentali prendono le mosse attraverso la simbolizzazione. E questo, forse, è proprio il processo chiave che nell'opera di Freud apre la strada per la teoria delle trasformazioni. In una sintesi efficace Riolo sottolinea come Freud usò il termine "simbolizzazione" in due accezioni: una "segnica", che appartiene al normale processo di pensiero, in cui il simbolo rappresenta l'oggetto e connette la mente e la cosa; una "realistica",che appartiene al pensiero patologico, in cui il simbolo sostituisce l'oggetto e viene trattato come se fosse una cosa: "Possiamo considerare il primo genere di simbolizzazione come una trasformazione delle esperienze sensoriali ed emozionali in pensieri, evoluzione analoga a quella che si realizza nel sogno. Il secondo viceversa, come una trasformazione di una esperienza psichica in esperienza sensoriale: il collasso di un pensiero in un organo" (Riolo,F. 1987). La grande lezione freudiana è stata allora quella di scoprire le leggi dell'inconscio o piuttosto quelle regole di trasformazione che permettono di transitare da una zona all'altra, dai processi primari ai secondari, ma soprattutto i processi di significazione e di simbolizzazione che, a partire da Freud, hanno trasformato l'inconscio somatico e il corpo in una grande metafora aperta ai processi di mentalizzazione.

Il mentale in Bion

Come generalmente viene riconosciuto Bion collega lo sviluppo della capacità di pensare ad una "particolare ed ineffabile vicenda della relazione" che permette la tolleranza della "non cosa", ovvero del "non seno". Come in Freud l'"assenza dell'oggetto" resta alla base della formazione del pensiero, ma in Bion diventa essenziale anche la "qualità dell'oggetto assente". L' "assenza" cioè diventa tollerabile quando una sufficiente reverie abbia permesso lo sviluppo della funzione alfa e quando il senso di frustrazione per l'assenza dell'oggetto non si sia trasformato in panico o "terrore senza nome" (Gaburri,E. 1982).

Solo così nel "luogo vuoto" dell'oggetto assente potrà svilupparsi la prima forma di pensiero, come legame nella fantasia che va al di là della gratificazione pulsionale e ne permette il differimento. La nascita del simbolo viene così a coincidere con lo sviluppo dell' "apparato per pensare" e la capacità di tollerare la "non-cosa" diventa un elemento essenziale della capacità simbolica. La"capacità materna di reverie" si avvicina al concetto winnicottiano di "holding materna", ma se ne differenzia in quanto implica anche la capacità di "trasformazione" degli elementi primitivi proiettati. La madre non si pone solo come "oggetto che serve", ma anche primariamente come "oggetto che pensa" il bambino e al posto del bambino, che introietta, infine, oltre agli elementi "trasformati" o "pensati", anche la funzione stessa del pensare.

Questa funzione "misteriosa",che Bion indica come funzione alfa, è quindi relazionale nella sua origine; per questo mi sembra più utile considerarla una funzione globale della personalità, sganciata da strutture cerebrali specifiche. Essa sta alla base del processo di mentalizzazione, che Bion descrive secondo la ben nota metafora digestiva,e produce elementi alfa che corrispondono ad immagini visive (ideogrammi) e costituiscono elementi mentali idonei "ad essere impiegati nel pensiero-del-sogno e nel pensiero inconscio della veglia"(Bion,1992 p.188). Gli elementi alfa sono dunque "metaboliti di base", essenziali per la memoria e l'apprendimento, e quindi per le operazioni di pensiero cosciente, ma anche per la formazione dell'inconscio. Per Bion infatti "Ogni uomo deve poter 'sognare' un'esperienza mentre gli capita, sia che gli capiti nel sogno sia che gli capiti da sveglio"(Bion, 1962) e in Cogitations (p.148) precisa che "non si può permettere a qualcosa di diventare inconscio se prima non si è applicato alfa a quel qualcosa. L'incapacità di avere delle immagini visive di ciò che sta avendo luogo vuol dire che l'esperienza emotiva non può essere preservata né nel conscio, né nell'inconscio."

Questo punto è essenziale, in quanto apre una profonda differenza tra l'inconscio freudiano e l'inconscio bioniano; "somatico" il primo, "mentale" il secondo: solo ciò che è stato trasformato dalla funzione alfa può diventare inconscio, che quindi è mentale sin dall'inizio. Mentre in Freud (1915 p.51) i processi inconsci sono di per sé "inconoscibili" e "inaccessibili" e solo "a patto di svolgere un certo lavoro, possiamo trasformarli e sostituirli con processi coscienti", in Bion può diventare inconscio solo ciò che è stato preventivamente trasformato dal lavoro-del-sogno-alfa. Un vero e proprio rovesciamento di prospettiva, quindi, per cui non è più l'inconscio che produce il sogno, ma il sogno che produce l'inconscio, mentre l'opposizione tra pensiero diurno e pensiero notturno si dissolve in un continuum.

Conscio e inconscio divengono allora il prodotto di una differenziazione operata dalla funzione alfa "che, dando luogo ad elementi alfa, costruisce una barriera di contatto" (Bion, 1962,p.100), la quale segna il punto di separazione fra elementi consci e inconsci e genera la distinzione tra loro in un continuo processo di formazione.

Ne consegue che il conscio e l'inconscio cessano di essere due provincie psichiche per diventare stati transitori e reversibili dell'esperienza mentale, situazione che Freud aveva potuto solo intuire.

Bion quindi riformula in una teoria coerente e complessa le idee di Freud sulla nascita della coscienza. Già nel Progetto (1895) Freud aveva delineato quella che potremmo definire la nascita della coscienza in un passo straordinario in cui associa memoria, grido e dolore.La prima categoria di ricordi coscienti è infatti legata alla percezione di un oggetto che crea dolore e fa gridare. In Bion il rapporto percezione-coscienza permane , ma il motore della mente divengono le emozioni e la "memoria" viene ridotta all'esperienza cosciente di richiamare i ricordi, che intrude e distrugge la vera realtà psichica. Questa è chiamata anche "memoria sognante" (dream-like memory) e viene a costituire la vera "stoffa di cui è fatta l'analisi", i veri "fenomeni della vita mentale, i quali sono senza forma, intangibili, invisibili, inodori, senza gusto" (Bion,1970,p.95) e che in una delle ultime "Cogitation" (1978) Bion dice di non riuscire a descrivere.

Parlare di mentale del resto non significa aver risposto alla domanda di che cosa sia il mentale, che già implica una concezione sostanzialista, quanto piuttosto inferire una particolare condizione o stato della nostra esistenza di cui al momento possiamo dare solo delle descrizioni operative, legate per esempio alla realtà della seduta psicoanalitica. E' questo, mi sembra, il senso del concetto bioniano di O, come cosa in sé, realtà ultima del mondo interno ed esterno, ignota e inconoscile in quanto tale; essa può essere "riconosciuta e sentita" solo attraverso il suo farsi fenomeno, nelle sue "trasformazioni", e il processo di essere all'unisono con essa. Bion del resto non crede neppure che la mente sia definibile; ogni "definizione ragionevole" comporta infatti la restrizione ad una "congiunzione costante"- afferma in Memoria del Futuro.

Tuttavia ammette che per uno psicoanalista è importante assumere che ci sia una realtà o una realizzazione che si avvicini al termine "mente". Bion quindi assume che ogni psiche abbia una controparte fisica nel sistema nervoso centrale, ma sottolinea che, diversamente dal cervello, la mente non ha alcuna circonvoluzione. Quindi propone di usare il termine "mente" come un termine "senza significato", utile per parlare o scrivere su ciò che non si conosce, "per segnalare il 'luogo dove' potrebbe esserci un significato". In questo senso la "mente" assume significato a causa di quanto rivela o non rivela (Bion, W.,1975).

Cosa sono dunque per Bion i fenomeni mentali? In realtà Bion non si preoccupa di dare una risposta in termini sostanziali, forse non crede che si possa mai arrivare a conoscere la natura di un fatto mentale in sé. Le ultime opere, del resto, appaiono voler dissipare ogni pregiudio sostanzialista già nella de-costruzione del linguaggio e nella deriva poetica; la psicoanalisi, scrive, è "relazione a prescindere dagli oggetti relati", "Il seno è un punto, la bocca un altro punto, ciò che conta è la loro relazione. I punti non dovrebbero usurpare il posto che spetta alla relazione." In Trasformazioni (1965) afferma che non si potrà mai conoscere quali sono i fatti in sé, che indica con il "segno O". Il paziente che entra e dà la mano è un fatto esterno, una realizzazione, che fino a quando sarà utile considerare come una cosa in sé e non conoscibile (nel senso kantiano), sarà indicato col segno O. Il fenomeno corrispondente al fatto esterno, quale esiste nella mente del paziente, viene invece rappresentato col segno Talfa, in quanto fa parte della trasformazione del paziente.

E' questo che possiamo conoscere, ma solo a patto che l'O in questione sia comune all'analista e all'analizzando e quindi disponibile per la trasformazione da parte di entrambi. Bion quindi descrive come un fenomeno in sé, non mentale, possa diventare mentale e assumere un significato, quando entri nel campo di esperienza comune analista-paziente di modo che possa venire elaborato e trasformato. Tuttavia Bion descrive anche il processo opposto di quando un fenomeno o elemento mentale diventa una cosa in sé. Questo è ciò che avviene nello psicotico, che non è capace di "pensare", nel senso di manipolare le parole e i pensieri in assenza dell'oggetto,e che non ha ricordi, ma solo "fatti nudi e crudi",e in cui le allucinazioni sono "cose-in-sé", non-pensiero (Bion, 1965, p.64-63).

Bion quindi opera una precisa distinzione tra "apparato per pensare i pensieri "e il "pensare." Il primo viene concepito come il risultato di una sorta di ristrutturazione funzionale del cervello che inizialmente è devoluto a compiti diversi dal pensare e che solo successivamente si è adattato ad albergare i pensieri. Esisterebbe cioè una sorta di proto-cervello, che attraverso un processo evolutivo si trasforma in cervello come mente (mind), con la funzione di contenere ed elaborare i pensieri.

Tuttavia " pensare i pensieri" non è semplice. Esso implica accogliere dentro di sé dei contenuti "estranei"; i pensieri infatti sono "antecedenti" all'apparato per pensare e di fatto ci perseguitano e ci deprimono costringendoci ad una tensione crescente per raggiungere un autentico processo di pensiero.

La capacità di pensiero del resto non viene assunta una volta per tutte; essa implica vari passaggi e deve essere continuamente riconquistata. Essenziale appare il passaggio dal "pensiero tecnologico" al "pensiero che si assume la responsabiltà del pensiero",che implica la capacità di assumere i propri contenuti e in particolare la responsabilità di pensare la violenza, l'aggressione e la morte (Neri, C. 1995).

I pensieri possono così promuovere lo sviluppo della mente, che si espande ed evolve la sua capacità di vivere le esperienze, quando, anzichè evacuarli è in grado di con-tenere i pensieri, di dargli forma e comunicarli. Per questo Meltzer (1984) può dire che in Bion "la mente si autocostruisca, pezzo per pezzo, 'digerendo' le esperienze".

Il rapporto tra il "pensiero" come processo e "l'apparato per pensare"è dunque complesso e segue il modello contenitore/contenuto che Bion astrae dallo sviluppo del concetto kleiniano di identificazione proiettiva. Questa non è più solo una fantasia onnipotente, ma un meccanismo per comunicare le emozioni più primitive e pertanto un'operazione che occupa una spazio mentale comune a due o più menti in relazione emotiva tra loro; in questo senso essa apre la possibiltà di pensare "la mente" come qualcosa che si estende 'oltre' i limiti del "soggetto".

Tuttavia per Bion occorre anche una funzione ordinatrice e sintetica in grado di operare sugli elementi frammentati della mente.Questa funzione è individuata nell'interazione dinamica tra posizione schizo-paranoide e posizione depressiva, che la Klein aveva descritto come condizioni riferite ad un assetto del sé. In Bion PS e D diventano situazioni della mente, che può così oscillare da uno stato sospeso di confusione caotica ad un ordinamento intorno ad un "fatto scelto". La funzione reciproca PS _ D viene dunque a situarsi al centro della teoria della mente e rappresenta la fondamentale, pervasiva presenza della capacità mentale di dividere e unire.

La funzione contenitore/contenuto "costruisce " dunque i pensieri sotto forma di elementi dispersi, la funzione PS_D ordina e armonizza gli elementi sparsi contribuendo alla scoperta dei significati e quindi alla capacità di pensare. Tra queste due funzioni Bion non sembra indicare una priorità dell'una o dell'altra, anche se nel suo tentativo di identificare i livelli più elementari dell'esperire, sembra infine lasciare da parte il meccanismo contenitore-contenuto, come se quest'ultimo potesse interferire con la personalità nel suo confronto diretto con se stessa. La tendenza dell'Io a cercare un contenitore può infatti risultare troppo precoce e soffocare il ritmo incessante di disintegrazione e reintegrazione, che quindi risulta un movimento più originario, un "elemento innato proprio del ritmo dell'Io"(Eigen,1985).Ciò sembra avere a che fare con le idee che Bion elabora sul pensiero creativo e su quello che chiama "effetto distruttivo della sintesi creativa" (Bion,1966). Il pensiero creativo e quindi ogni trasformazione, in quanto creazione di nuove idee e relazioni, è un processo catastrofico, dis-integrante per l'identità dell'individuo, come per quella del gruppo a cui appartiene. L'Io integrato, prodotto dal processo PS_D, è quindi una configurazione egemone e provvisoria, che deve la sua identità all'esclusione permanente di tutte le idee, sentimenti, emozioni, che potrebbero, se accolte, farlo esplodere. Esso quindi funziona da contenitore che può espellere o schiacciare le idee che minacciano di nascere, o può accettare di espandersi al punto di assimilarle e consentire di mandarlo in pezzi (Riolo,F.1989).

Bion giunge infine ad indicare nella "produzione dei segni" le fasi più precoci dello sviluppo del pensare attraverso PS_D (Bion,1963). Questi segni sono costituiti da e rimandano a componenti elementari o "materiali" psichici forniti di qualità affettive grezze, che chiama elementi beta, e che rappresentano la primissima matrice dalla quale si può supporre che sorgano i pensieri. Per Bion la lingua primigenia si basa quindi sul segno con una carica emotiva, che rinvia ad elementi grezzi, indifferenziati e la nascita del pensiero appare allora come una sorta di scrittura a partire dal caos di una catastrofe originaria. In Cogitations gli elementi beta vengono descritti come " impressione sensoriale non assimilata", "oggetti morti e irreali", "oggetto che dovrebbe essere non esistente e quindi impossibile da discutere"; con espressioni cioè che rivelano estrema indifferenziazione e rarefazione fino al "non dicibile", tanto che Matte Blanco, nella sua "incapacità" di conciliarli con il suo sistema, definiva gli elementi beta una "ferita aperta" (Matte Blanco,1981).

Gli elementi beta comunque sembrano corrispondere a "fatti non digeriti" che si producono quando la funzione alfa lavora sotto il principio di piacere ( anzichè di realtà) o per una eccessiva identificazione proiettiva; allora l'esperienza emotiva viene evacuata secondo il principio freudiano per cui la psiche tende a ridurre gli accumuli di affetto per ottenere sollievo. Le emozioni cioè non vengono digerite mentalmente e anche se sono trasformate in immagini (ideogrammi) è per la loro evacuazione. Quando infatti l'esperienza e gli stimoli non sono stati trasformati da alfa, essi restano nomi senza significato per "mancanza di associazioni", immagini visive usate come contenitori per espellere idee ed emozioni non desiderate. Tale processo avviene anche nell'individuo normale, di fronte a stimoli troppo intensi, e generalmente nello psicotico, che per un difetto della funzione alfa è incapace di digerire mentalmente l'esperienza emotiva. Lo psicotico inoltre non è in grado di apprendere dall'esperienza, in quanto non facendo alcun lavoro-del-sogno-alfa, non può far sì che il materiale percepito in modo conscio venga ad essere "immagazzinato mentalmente, in modo tale da essere passibile sia di raffigurazione sia di astrazione"(Bion,1992,p.89).

Per vivere ed apprendere dall'esperienza occorre quindi saper sognare e potremmo dire che Bion ha dato spessore alle espressioni "la vita è un sogno " e "i poeti e gli artisti sono dei sognatori".Questi hanno infatti la capacità di digerire e sognare fatti ed esperienze che altri non hanno; di porsi di fronte al terribile e all'ignoto e di renderlo "visibile" agli altri attraverso le loro opere ( ibidem p.152). Infine Bion ammette che gli elementi beta "sono essenziali al funzionamento dell'identificazione proiettiva" e alla "comunicazione delle emozioni all'interno del gruppo" (Bion, 1992,p.188-9).

Ciò implica dei collegamenti imprevisti e complessi tra elemento beta e sistema proto-mentale.

Già a partire da Esperienze nei Gruppi ( 1961) Bion era approdato all'ipotesi di un "sistema protomentale" nel tentativo di spiegare perchè dei tre gruppi in assunto di base soltanto uno fosse attivo in un particolare momento, mentre gli altri due rimanevano confinati ad un livello protomentale, in stretto rapporto con i processi corporei. Bion definisce "il sistema protomentale come qualcosa in cui il fisico e lo psicologico o mentale si trovano in uno stato indifferenziato". Da questa matrice nascono i fenomeni che a livello psicologico possono essere indagati come sentimenti e anche gli stati emotivi propri degli assunti di base che pervadono e dominano la vita mentale del gruppo.Questa ipotesi viene interpretata da Meltzer come una "concezione della vita di gruppo entro l'individuo", "una sorta di vita primitiva, forse tribale nelle profondità della mente, che può emergere come comportamento di gruppo o, al contrario, esprimersi attraverso processi corporei"(Meltzer,D.1982). Meltzer si dice colpito in modo ossessionante da questa che pur considera una "fantasiosa congettura", in cui le parti più primitive del sé pensano con il corpo e obbediscono a leggi che sono più vicine alla neurofisiologia che alla psicologia. Alla stessa maniera il funzionamento del gruppo in ab si sbarazza delle più importanti caratteristiche della mentalità individuale - come l'osservazione, il pensiero, il giudizio- e i suoi membri obbediscono alle direttive dell'assunto di base dominante. Meltzer quindi prospetta una analogia tra gli assunti di base e le radici dei gravi disturbi psicosomatici da lui indicati come "soma-psicotici".Una analogia che Gaburri definisce "inquietante"e che nelle sue parole implica che "gli elementi beta protomentali del bambino... riacquisterebbero delle proprietà maligne e potrebbero incistarsi materialmente nel biologico"(Gaburri,E. 1982).

In questo modo il "sistema proto-mentale, che presiede alla vita mentale di gruppo e l"elemento beta",che ha a che fare con impressioni sensoriali non assimilate e l'evacuazione di emozioni indesiderate, vengono a saldarsi in una inquietante omologia con gli aspetti più primitivi della vita mentale. Il complesso sistema teorico di Bion che prevede la "trasformazione" continua dell'esperienza emozionale e della percezione della realtà in un processo di mentalizzazione che A.Ferro (1996) chiama di "alfabetizzazione degli elementi beta",sembra allora gettare una medesima inquietante luce su quanto avviene nelle catastrofi della malattia individuale, così come in quelle "tribali"e collettive della nostra quotidianeità.

Per concludere direi allora che Freud e Bion sono rimasti sempre all'interno di una teoria monistica e materialistica, benchè paradossalmente siano stati entrambi ossessionati dal "mentale" e dal suo prodursi nella relazione umana. Nessuno dei due però ha mai voluto dare al "mentale" una attribuzione sostanziale diversa da quella della materia, limitandosi entrambi a descrivere i processi trasformativi con i quali è possibile entrare in contatto con questi fenomeni mentali, per esempio nell'analisi.

Il sistema proto-mentale, in quanto descrizione di una matrice "indifferenziata" tra fisico e mentale, al di quà della stessa distinzione soggetto /oggetto e individuo/gruppo, sembra condividere la natura della pulsione freudiana e individuare la zona in cui si salda più strettamente psicoanalisi individuale e gruppale. Dal sistema proto-mentale emergono infatti gli stati emotivi propri degli assunti di base che ne danno una prima organizzazione, così come i fantasmi originari "corrispondenti" -seduzione, castrazione, scena primaria- configurano le pulsioni e la realtà psichica.

L'elemento beta, materiale psichico grezzo, non differenziato,e che non può essere né pensato né reso inconscio, è espressione della capacità dell'individuo di disfarsi delle emozioni non desiderate, allontanandole dalla coscienza. Esso viene collegato all'oblio, ma non alla rimozione, e presiede alla comunicazione non verbale delle emozioni all'interno del gruppo attraverso l'identificazione proiettiva.

Il concetto di "barriera di contatto ", che deriva dal lavoro della funzione alfa, permette poi di osservare la realtà psichica non più in termini di conscio e inconscio, ma "dei cambiamenti di stato, del farsi e disfarsi del pensiero, degli attraversamenti dalla mente al corpo, dei movimenti di integrazione e di disintegrazione " ( Riolo, F. 1983). Ciò che appare importante allora sono le trasformazioni da un livello di simbolizzazione in un altro (Corrao, 1982),come dal somatico al simbolico, ma anche viceversa, e dall'inconscio al conscio. Da ciò la centralità del concetto di barriera, come "espressione di una posizione osservativa vòlta a cogliere le relazioni, i contatti, i transiti, cioè i movimenti degli oggetti nel campo" (Riolo, 1983), ma anche come modello di una concezione del mentale che pur ricollegandosi a Freud ne amplifica enormemente la portata. Se in Freud, infatti, è la pulsione e l'inconscio somatico che si trasformano in mentale, in Bion è l'emozione e gli elementi beta, "oggetti composti di cose in sé," non pensieri. In questo modo Bion sembrerebbe non allontanarsi dalla teoria mente/corpo di Freud, portandola piuttosto ad un alto grado di sofisticazione attraverso lo sviluppo della teoria delle trasformazioni. Trovo pertanto improprio collocare Freud e Bion all'interno del dualismo di tipo interazionista, e se dovessi trovare un referente provvisorio e approsimativo, anche se suggestivo,delle loro teorie sul rapporto mente/corpo all'interno dell'attuale filosofia della scienza, mi riferirei al Modello di Organizzazione dell'uomo di E.H.Hutten , per il quale " Mente e Corpo rappresentano livelli differenti di organizzazione dell'essere umano; e la relazione tra i due livelli è mediata, primariamente, dal flusso di informazione e dal significato"(Hutten, E.H. 1981).

 

Abstract

L'autore cerca di delineare la teoria del mentale in Freud e Bion sotenendo due ipotesi di fondo:a) che la concezione del problema mente/corpo in Freud sia stata troppo facilmente ricondotta a quella positivista e sottovalutata nei suoi aspetti innovatori; b) che la concezione bioniana del mentale si pone come ideale linea di sviluppo di quella freudiana pur apportandone sostanziali modifiche per quanto riguarda la natura dell'inconscio,la funzione del sogno e delle emozioni. In particolare vengono analizzati gli aspetti comuni riconducibili ad una teoria generale delle "trasformazioni"del somatico in mentale e viceversa, che tuttavia secondo l'autore non implica un dualismo di tipo interazionista, quanto piuttosto una teoria dei diversi stati di organizzazione della materia.Sono quindi considerati i rapporti tra percezione e nascita della coscienza così come emergono nel Freud del Progetto e nel Bion di Cogitations. Una particolare attenzione viene rivolta ai processi di sviluppo del mentale secondo il modello contenitore /contenuto quale funzione relazionale che apre ad una concezione di "campo" come "stato mentale condiviso".Sono infine delineati i rapporti tra elemento beta e sistema proto-mentale.

 

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