RICORDI IN CERCA DI UN PENSATORE

M. Francesconi Pavia

D. Scotto di Fasano

Pensieri da pensare e pensieri da conservare.

Come è noto, Bion è l'autore del celebre aforisma, pensieri in cerca di un pensatore, che abbiamo parafrasato nel titolo in ricordi in cerca di un pensatore, per introdurre il filo conduttore del discorso che proponiamo sulla teoria del pensare e che vorremmo svolgere tenendo lo sguardo binocularmente rivolto anche alla attenzione attualmente data, o ridata, alla memoria.

Gli studi recenti nelle neuroscienze (Edelman,1992) hanno contribuito a rendere definitivo quel processo di condensazione in corso da tempo fra l'apparato per pensare i pensieri (Bion) e ciò che potremmo chiamare l'apparato per conservare i pensieri, cosicché oggi possiamo vederli come una cosa sola.

E' merito di Modell l'aver coniugato gli studi di Edelman con la psicoanalisi, forse in un matrimonio apparentemente anche troppo felice, sull'onda, crediamo, di una sorta di complesso di insufficiente scientificità di cui la psicoanalisi soffre da sempre.

Il punto che ci interessa particolarmente è quello in cui Modell (1990) si occupa della coazione a ripetere, sottraendola all'area controversa della pulsione di morte e affermando che essa non è "passivamente tollerata, ma rappresenta una forma di azione simbolica.(...) La coazione a ripetere rappresenta una coazione a cercare una identità percettiva tra gli oggetti presenti e quelli passati".

Pur riconoscendo che una bramosia dell'inorganico ci è oggi abbastanza aliena e che necessitiamo di una adeguata valutazione della complessità dell'ambiente mentale fatto di contenitori e di contenuti (Borgogno, Viola;1994), resta, a nostro avviso, tuttavia inspiegato perché il conflitto fra novità e ripetizione debba scegliere fra azione e pensiero.

Se da un lato si conferma come fondamentale il concetto di identità percettiva, dall'altro, il fatto che tale identità sia cercata nell'azione e non nella fantasia resta una modalità meno vantaggiosa e, a volte, addirittura anticonservativa, nonostante l'agire e il ripetere mantengano un valore parziale di comunicazione e di ricerca di contenimento (argomento molto complesso e studiato, si veda, ad esempio, Barale 1996).

Riteniamo che l'identità di percezione, o meglio, di rappresentazione (.1), sia concettualizzabile come elemento di base della teoria del pensare e non solo della memoria ed inoltre che abbia una sua "storia" precedente.

Cercheremo quindi di seguire le varie ricategorizzazioni del concetto di identità percettiva per arrivare a proporre un modello del pensare e del Sé che sia compatibile con una dimensione oscillatoria continua (come PS<->D in Bion) della conferma o della smentita della identità percettiva.

Da Freud a Bion.

Nel "Progetto di una Psicologia scientifica", già visto da M. Mancia (1987) quale modello metaforico del funzionamento mentale, Freud spiega sogno e allucinazione come transito in senso retrogrado dello stimolo verso l'apparato percettivo, se è impedita la scarica attraverso la motricità.

E' però detto chiaramente (p.236-237) che "scopo e finalità di tutti i processi di pensiero è dunque di stabilire uno stato di identità...". Il giudizio "è, alla sua origine, un processo di associazione tra gli investimenti dall'esterno e quelli derivati dal corpo stesso dell'individuo, una identificazione di informazioni, o investimenti, provenienti da phi [neuroni percettivi] e dall'interno".

Possiamo allora considerare la freudiana necessità di scarica, come una profonda esigenza di comparazione fra un qualcosa che appartiene alla mente del soggetto, da un lato, e il dato di realtà, dall'altro. Nel sogno il dato di realtà non è disponibile, nella psicosi non è accettato, ma in entrambi i casi, pur con le differenze che qui non è possibile discutere (.2), viene sostituito da un prodotto autogenerato dalla mente.

Quando invece l'Io è in attività, può operare, con il suo segno di realtà, una azione di inibizione su quella tendenza a "creare" allucinatoriamente un oggetto psichico, che esporrebbe il soggetto alla dolorosa "delusione" di cui parla Freud. (p.224)

La mente è dunque vista dal fondatore della psicoanalisi solo in rapporto con un suo prodotto: percezione, sogno o allucinazione. E' però già presente in nuce quello "scarto" che Bion teorizzerà successivamente nel rapportare assenza dell'oggetto e pensare. Dice infatti Freud: nel caso che "in presenza di un investimento di desiderio emerga una percezione non coincidente in alcun modo con l'immagine mnestica desiderata...sorgerà ... un interesse a conoscere tale immagine percettiva. (...) Fintanto che le cariche coincidono, esse non forniscono l'occasione per l'attività di pensiero. Per contro le parti non coincidenti suscitano interesse e possono dare spunto ad attività di pensiero". (p.234-235)

Se passiamo ora a considerare il lavoro di Bion "Una teoria del pensare" (Bion,1962), ritroviamo proprio la stessa tripartizione fra oggetti percepiti/assenti/allucinati. Non potendo qui riepilogare e "volgere in prosa" le concettualizzazioni di Bion(.3), ricordiamo solo come egli descriva la Preconcezione come un elemento virtuale, un precursore, che solo nell'incontro con "qualcosa" che lo completi dà origine ad un vero elemento psichico. Se questo "qualcosa" è una percezione di un oggetto della realtà (Realizzazione) si ha una Concezione, ovvero una consapevolezza rigida di un determinato oggetto e solo di quello, se, invece, è l'assenza, riconosciuta e tollerata, dell'oggetto (Realizzazione negativa) si ha un Pensiero.

Se la realtà è rifiutata, si entra nel funzionamento psicotico della mente, distruggendo lo stesso apparato per pensare i pensieri e creando allucinazioni, anche da Bion, si noti, immaginate effetto di un flusso retrogrado evacuativo dalla mente agli organi percettivi e poi agli oggetti esterni (1967).

Bion, inoltre, sottolinea chiaramente la necessità umana di comunicazione e afferma che "uno degli obiettivi più importanti del comunicare consiste nello stabilire una correlazione" (1962), cioé tentare il "congiungimento di un settore di dati sensoriali con un altro. Se i dati messi in correlazione tra loro vengono ad armonizzare, la sensazione che si accompagna a questo fatto è quella di essere nel vero: si desidera allora dare espressione a tale sensazione attraverso un enunciato, analogo ad una proposizione di certezza. Se invece non si riesce a portare a compimento la congiunzione tra i vari dati sensoriali (...) si prova allora uno stato di debilitazione: questo fatto suggerisce che la carenza di verità sia qualcosa di molto simile alla carenza alimentare". (ibidem).

Bion dice anche che la "verità di un enunciato non comporta necessariamente la coesistenza di una realizzazione corrispondente all'enunciato".(ibidem). Questa frase indica, forse in modo un po' enigmatico, un concetto molto importante: il vissuto di verità non ha nulla a che fare con la verità "oggettiva", o presunta tale. Quando uno psicotico, alla fine di un racconto apertamente delirante, chiede: "ma lei mi crede?" non vuole una risposta affermativa e un nostro co-agire le conseguenze del delirio, ma desidera veder riconosciuto il fatto che la sua allucinazione (percezione inesistente) o la sua trasformazione delirante (relazione inesistente) sono veramente sperimentate da almeno una parte della sua psiche.

Per pensare, quindi, sia per Freud che per Bion, non sarebbe tanto importante ottenere un oggetto in un modo o nell'altro, o scaricare tensione psichica, quanto poter disporre di una esperienza di confronto, da un lato fra qualcosa che ha a che fare con lo stato cognitivo e affettivo della mente - il già noto, il ricordo, la categorizzazione - e, dall'altro, un termine nuovo che non può essere mancante e corrisponde a quanto possiamo conoscere della realtà, o alla consapevolezza della assenza di un elemento reale, o, infine, all'allucinazione, se si rifiuta la realtà stessa.

Non avremmo quindi un preesistente apparato di elaborazione che usa i ricordi come materiale, ma ricordi o, meglio, categorizzazioni, predisposti alla ricerca di un confronto con un oggetto psichico. Come dice Corrao, nella nostra mente ci sono non precise memorie, ma "mezzi per riorganizzare impressioni passate, per dare al mondo della memoria, un mondo incoerente e frammentato come i sogni, una realtà concreta". (1992).

Il legame correlativo, se si esprime certamente nella necessità di un contatto interpersonale, rappresenta dunque una funzione specifica del pensare, la funzione metaforica della mente, (Francesconi,1993) in analogia con le definizioni di "funzione psicoanalitica della mente", data da Hautmann (1981) e Di Chiara (1985) alla attività del pensare.

Come osserva R. Bodei nella sua introduzione a "Naufragio con spettatore" di Blumenberg (1979): "Le metafore sono paragonabili a forme di cicatrizzazione, sono il segno di una ferita, di una anomalia del pensiero concettuale, che viene avviata a guarigione, riconnessa al tessuto circostante", ma -aggiungiamo- solo se questa anomalia è intesa come esperienza dell'assenza dell'oggetto concreto, pur in presenza di un legame con l'oggetto stesso. E' infatti essenziale che la funzione metaforica non venga identificata con il puro simbolismo (si pensi all'uso di un simbolismo segreto nella psicosi) ma con l'intergioco, contemporaneo senza essere confuso, di almeno due livelli di realtà sovrapposti e non riducibili ad un unico contesto: la moneta spezzata non cessa di essere una moneta, ma acquisisce contemporaneamente una proprietà significativa, diversa dal suo valore economico o dal suo metallo costituente, in funzione della condivisibilità di quel significato con almeno un altro individuo in grado di riconoscerlo.

E' quanto afferma Modell (1996) quando studia approfonditamente i livelli multipli di realtà, ma riferendosi solo al procedimento analitico, allorché si aiuta il paziente a passare da metafore fallite ("degradate") a vere metafore.

Ciò è senz'altro vero, ma, a nostro avviso, non è che un caso particolare delle bioniane trasformazioni, o l'evoluzione di quelle che la Segal ha definito equazioni simboliche. (.4)

La "tortura fatta di ricordi".

Se il setting analitico e il transfert - per fortuna non sempre definibili con le parole del paziente di Bion (1967) che abbiamo posto a titolo del paragrafo - restano il luogo privilegiato della mobilità fra i multipli livelli di realtà illustrati da Modell, si può provare a generalizzare tale mobilità all'intero funzionamento psichico.

A tale scopo, rielaborando ipotesi fatte da Wisdom e riprese da Grinberg (1976), distinguiamo un Sé nucleare e un Sé periferico in analogia alla struttura dell'atomo, con il suo nucleo e la sua orbitale elettronica. Questa rappresentazione non va intesa né in senso morfologico né in senso evolutivo, come progressiva coesione dell'immagine di Sé, ma come modalità metaforica di rappresentare lo psichismo.

Essa richiama la descrizione fatta da Bion, per la patologia, degli oggetti bizzarri, con nucleo e alone (1967). Se il concetto di nucleo è di uso abituale e si riferisce ad un centro, dove l'identità del Sé è più salda e persistente, noi vogliamo invece soffermarci proprio sulla configurazione periferica: il Sé orbitale.

E' in questa area che pensiamo si giochi l'equilibrio metaforico di cui abbiamo parlato: se in condizioni normali ciò che è più chiaramente Non Sé può essere pensato con sufficiente sicurezza come "fuori di Sé", esiste, invece, una vasta area con caratteri intermedi, probabile "luogo" di oggetti interni che vengono a trovarsi collocati in una sorta di nuvola di probabilità, in una dimensione transizionale Sé/Non Sé. (.5)

Per esemplificare: un abito (o meglio la sua rappresentazione oggettuale) sarebbe certamente vissuto come appartenente al Sé, se qualcuno lo danneggiasse mentre viene usato, ma questo non impedirebbe di essere simultaneamente considerato un oggetto Non Sé, se paragonato al corpo. O, ancora: un film può essere visto solo se è accettata sia la finzione che la permanenza del senso di realtà.

Noi riteniamo che un'area orbitale ben differenziata consenta inoltre di sperimentare temporaneamente un "qualcosa di sé" (una funzione satellite) come collocato nell'Altro, senza perdere il senso di luogo principale e stabile posseduto dal nucleo del Sé: l'alternanza fra il mio punto di vista e il tuo punto di vista è probabilmente un incessante meccanismo oscillatorio della mente, basato su di un principio di predominio alternante, tipo figura/sfondo, come il PS<->D di Bion. Esso è costruttivo e relazionale solo se è vissuto metaforicamente. Uno spostamento "concreto" (.6) non è tollerabile, è vissuto come mutilazione del Sé, probabilmente avviene laddove la distinzione fra nucleo e orbitale è priva di significato.

Allora il Sé si frammenta e si disperde nello spazio, come accade nella parte psicotica della mente, oppure diffonde in una posizione oltrefrontiera da dove "guarda" quel che resta del Sé (per esempio il corpo) dal punto di vista dell'alieno.

In fondo, l'istinto di morte potrebbe essere l'istinto di vita del (Sé) nemico.

Nel funzionamento normale, invece, i processi di identificazione e proiezione non patologica (.7) possono avvenire proprio attraverso questa fisiologica oscillazione della qualità Sé o Non Sé attribuita agli oggetti interni periferici. Ripetiamo che non c'è confusione nell'oscillazione, perché in un certo istante "siamo" in un vertice, l'attimo dopo in un altro, con le parole di S. Beckett (1951): "una volta mare, una volta faro", come ci capita osservando i disegni "reversibili" degli psicologi della Gestalt.

Ricordiamo infine che il funzionamento mentale che abbiamo descritto presuppone la capacità di muoversi nella tridimensionalità, concetto caro soprattutto a Meltzer e a Resnik. (Si veda anche Riolo,1987).

Il solo funzionamento bidimensionale (identificazione adesiva, imitazione, falso sé, Io pelle, ecc.) tende a non distinguere fra oggetto e immagine: virtuale e reale si sovrappongono in un mondo piatto. Chi vuole trovare un precedente letterario può leggere Flatlandia, scritto da Abbott (1882) oltre un secolo fa. Come Abbott nel suo universo immaginario, anche noi siamo convinti dell'esistenza di una modalità mono- o meglio a-dimensionale della mente, che sperimenta ogni "punto" come un centro a sé stante, autosufficiente e ignaro del resto. Pensiamo che questa immaginaria diffusione gassosa di "molecole di mente" nello spazio, vicina a quanto Ogden (1989) descrive come posizione autistico-contigua e che abbiamo chiamato (1994) Sé a nuclearità indifferente, sia la base del funzionamento autistico della mente, dove (in teoria) non ha significato parlare di un individuo che possa riconoscersi come tale, dove il Sé può fluttuare dentro e fuori dai propri confini, fra gli oggetti, nello spazio e usa le sensazioni forti (dolore, stereotipia, grido) come nuclei di cristallizzazione per tentare una pur fugace integrazione. (.8)

Se tale descrizione interessa solo aree limitate del campo psichico di un soggetto, si resta nella normalità o si hanno ridotti livelli di espressione clinica, come nel caso di una paziente, che per anni si rappresentava in sogni e metafore come "turista", mostrando un'immagine errante di sé, curiosa ma aderente in modo superficiale alle situazioni e tendenzialmente non separata dal luogo di origine. Il passaggio ad un diverso assetto è stato testimoniato dalla comparsa dell'autorappresentazione come "sommozzatore". Le più ovvie interpretazioni circa profondità e protezione risultavano non significative: si è evidenziata poi la necessità di condensare nell'immagine l'estrema pressione di forze convergenti necessarie alla coesione del Sé e la possibilità di avere un giusto tempo negli spostamenti di livello per non correre il rischio di improvvise riespansioni dispersive rappresentate dalla minaccia di una "embolia gassosa al cervello".

Chissà se la mente può fuggire fin sulla Luna, come accadde al senno di Orlando, ma se in quel caso l'eroe poté recuperarlo semplicemente inspirandolo dall'ampolla in cui era stato rinchiuso ...

e ne' suoi bei discorsi l'intelletto

rivenne, più che mai lucido e netto...

per noi terapeuti le cose non sono generalmente così facili e ci resta solo lo spazio, più esiguo e faticoso, per tentare di lenire un poco quella che per Pessoa (1982) era un'indigestione nell'animo capace quantomeno di mantenere i pazienti, o soprattutto loro, sulla terrazza della casa del vivere, purtroppo in una stagione assai inclemente.

N O T E:

.1: Anche Edelman (1992) sente l'esigenza di distinguere categorizzazione percettiva e categorizzazione concettuale. Si veda però, già in Freud (1899), nell'Interpretazione dei sogni, l'uso dei termini identità di percezione (p.516) e identità di pensiero (p.548). Omettiamo per ragioni di spazio di fare riferimento a M.Klein, E.Jones e a molti altri, come M. Milner (1955), che si chiede: "Non siamo spinti(...)dal fondamentale bisogno di scoprire l'identità nella diversità, senza di cui l'esperienza diviene caos?". Anche l'affine concetto bioniano di Unisono meriterebbe una trattazione qui impossibile.(Cfr.3)

.2: Si veda, per cominciare, lo stesso Progetto (p.239 e ss).

Anche altre situazioni potrebbero prestarsi a riflessioni attinenti, basti pensare a quella figura "ambigua" tra identità e differenza che è il "Doppio" (cfr. Petrella,1993).

.3: Riassumiamo qui, con i limiti della schematicità e di una personale rielaborazione, gli elementi principali del lavoro di Bion sul "pensare" del 1962:

->Realizzazione ->Concezione

/ \

Preconcezione => Concetto \ / ->Frustrazione -> Pensiero

Preconcezione: corrisponde al concetto kantiano di pensiero vuoto; ha un significato di precursore da saturare, di predisposizione.

Concezione: è il risultato dell'incontro di una preconcezione con un dato reale (realizzazione). Le concezioni sono obbligatoriamente connesse con una esperienza di soddisfacimento.

Pensiero: incontro di una preconcezione con una frustrazione. La preconcezione si confronta qui con l'assenza,ad esempio del seno per il neonato,che sperimenta il non seno come qualcosa di interno. A questo stadio non siamo ancora di fronte al pensare, ma a quella che viene chiamata una realizzazione negativa, che corrisponde alla denominazione bioniana di non-cosa (diversa dalla assenza pensata, in quanto conserva la concretezza di una presenza, la "presenza dell'assenza", il "cattivo non-seno interno", l'oggetto "malignamente vivo", a seconda dei vari Autori, ma sempre con un carattere persecutorio e concreto). Solo se vi sono le condizioni per lo sviluppo di una sufficiente capacità di tollerare la frustrazione "il non-seno diventa pensiero: questo pensiero mette a sua volta in azione un processo - la facoltà di pensare". Si ricorda anche che con il termine concetto Bion intende uno stadio di maggiore generalizzazione delle concezioni o dei pensieri, che possono così applicarsi non solo al caso particolare, ma ad una categoria ed essere contrassegnati da un nome.

Si può arrivare allora alle funzioni:

A) ESPLICITAZIONE: in origine sistema per trattare i dati sensoriali in modo da essere disponibili per la coscienza. E' un sistema primitivo di codificazione interna, che evolverà poi verso il linguaggio vero e proprio.

B) COMUNICAZIONE: è una necessità, basata in origine sulla Identificazione Proiettiva realistica (normale), ha come obiettivo il trasmettere a qualcun altro (che può viverne l'arrivo con un sentimento persecutorio a sua volta necessitante di una specifica elaborazione) la propria esperienza mentale di correlazione, meglio definita dal concetto di:

CONSENSO:

- come esperienza intrasoggettiva:

a)Esperienza sensoriale correlata: quando due o più dati di conoscenza vengono ad armonizzare (Verità cognitiva = unità dell'oggetto)

b)Esperienza emotiva consensuale: quando due o più stati emozionali possono riconoscersi rivolti ad un unico og- getto (Verità emotiva = riconoscimento dell'ambivalenza)

- a livello intersoggettivo (comunicazione vera e propria):

la sensazione di "verità interna" che deriva dalle espe- rienze individuali sopra descritte porta a desiderare di darne espressione e di cercare condivisione (societarismo). In testi successivi Bion definirà Unisono tale esperienza consensuale, basata sul presupposto di aver riconosciuto e di mantenere la differenziazione Sé/Altro, a differenza della fusionalità che tende a negare tale distinzione.

Sembra possibile, a nostro avviso, ipotizzare una analogia fra quanto precede e il succedersi di figure metaforiche nel pensiero bioniano:

- Esplicitazione <-> Conduttore del Gruppo di Lavoro:

in entrambi i casi l'obiettivo è rendere utilizzabile l'esperienza mentale della realtà,evitando il permanere in un'area di non pensabilità (anche se non totalmente priva di valore funzionale, come l'IP e l'Assunto di Base) e di incapacità trasformative linguistiche.

- Consenso intrasoggettivo <-> Mistico:

predispone la possibilità di accogliere e difendere la verità, ma ancora con il carattere prevalente di esperienza interna e iniziatica.

- Consenso intersoggettivo <-> Artista:

passaggio alla comunicazione efficace della verità basata sulla relazione interpersonale e sulla permanenza nel tempo anche transindividuale. E' inoltre molto ricca la dimensione simbolico/metaforica.

.4: Inoltre, nel riflettere sui testi di Modell, a noi sembra necessario evitare di considerare (come in "Psicoanalisi in un nuovo contesto";1984) la metafora come giunzione fra biologico e psichico ("Gli affetti sono al punto di incrocio tra biologia e storia" p.147), di introdurre un dualismo pulsionale di dubbia utilità ("Pulsioni dell'Es/Pulsioni delle relazioni oggettuali" p.174), di svuotare il senso degli oggetti interni ("concetto troppo fragile per sostenere il peso di osservazioni cliniche relative a processi che si verificano fra due persone. Il Sé come struttura interiorizzata appartiene ad un unico contesto" p.203). In "Per una teoria del trattamento psicoanalitico" (1990) il discorso è più articolato e ci trova maggiormente concordi, anche se non riteniamo necessariamente confusivo il ruolo dell'identificazione proiettiva, che potrebbe essere invece una forma analoga di ricerca di identità percettiva esclusivamente a livello inconscio.

.5: Peraltro il concetto di pensieri intermedi (die Zwischengedanken), come rileva Kaës(1993),è centrale già nell'opera freudiana ed appare ancora una volta in continuità non solo con la dimensione transizionale di Winnicott, ma anche con l'oscillazione Sé/Non Sé - Reale/Irreale come parametri interni di valore in Edelman, e con l'importanza già data da Bion alla contrapposizione fra Verità e Falsificazione negli atti mentali. Non possiamo, inoltre, dettagliare la questione posta dalla distinzione Vero/Falso; si vedano Bion (1967) p.175 e p.182 e Money-Kyrle (1978) p.606. Naturalmente va tenuta ben distinta la "Bugia", come occultamento o deformazione intenzionale della Verità.

.6: Anche se, ovviamente, stiamo sempre parlando di eventi psichici. Cogliamo l'occasione per ripetere di voler evitare qualunque tentazione di riduzionismi al nurobiologico, che facilmente si rivelano incongrui. Si veda, ad esempio, come il tentativo di Edelman di considerare il sistema Sé "alloggiato" nell'apparato limbico-troncoencefalico e quello Non Sé nelle strutture talamo-corticali sia quantomeno in contraddizione con le emisomatoagnosie (parti del corpo non riconosciute come proprie), dovute a lesione corticale.

.7: Collochiamo qui ad esempio l'identificazione proiettiva normale, mentre quella evacuativa appartiene probabilmente al livello di cui abbiamo parlato poc'anzi.

.8: A lavoro concluso e inviato nella sua versione preliminare, abbiamo potuto prendere conoscenza del volume di D.Anzieu (1994) sul pensare. I modelli esposti hanno molte analogie, ma anche molte differenze, con le rappresentazioni fluttuanti del Sé e del pensare qui esposte, ma non è ovviamente possibile in questa sede discuterle in dettaglio.

B I B L I O G R A F I A

Abbott E.A.(1882): Flatlandia.Racconto fantastico a più dimensioni. Adelphi Milano 1966.

Anzieu D. (1994) : Il pensare. Dall'Io-pelle all'Io-pensante. Borla Roma 1996.

Barale F.(1996):Si prega di chiudere un occhio/gli occhi. Appunti su agire e ricordare. Riv. di Psicoanalisi XLII 3 p. 425

Beckett S.(1951): Molloy. In "Trilogia". Einaudi Torino 1996.

Blumenberg(1979): Naufragio con spettatore. Il Mulino Bologna 1985.

Bion W.R.(1962): Il pensare:una teoria. In "Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi". Astrolabio Roma 1995.

Bion W.R.(1967): Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Armando Roma 1970.

Bion W.R.(1980): Discussioni con W.R. Bion. A cura di F. Bion Loescher Torino 1984.

Borgogno F.,Viola M.(1994): Pulsione di morte. Riv. di Psicoanalisi XL 3 p.459.

Corrao F.(1992): Modelli psicoanalitici. Laterza, Bari.

Di Chiara G. et al.(1985): Preconcezione edipica e funzione psicoanalitica della mente. Riv. di Psicoanalisi XXXI 3 p.327.

Edelman G.M.(1992): Sulla materia della mente. Adelphi Milano 1993.

Francesconi M.(1993): Violenza e tragedia classica. In "Il sonno della ragione" a cura di M.Rampazi e D.Scotto di Fasano Dell'Arco Milano.

Francesconi M.(1994): Sulla peculiarità dell'agire nello stato autistico della mente. In "Atti convegno: Agire per non pensare, non crescere, non vivere" Minerva Medica Torino.

Freud S.(1895): Progetto di una psicologia scientifica. OSF 2 Bollati Boringhieri Torino.

Grinberg L.(1976): Teoria dell'identificazione. Loescher Torino 1982.

Hautmann G.(1981): Il mio debito con Bion: dalla psicoanalisi come teoria alla psicoanalisi come funzione della mente. Riv. di Psicoanalisi XXVII 3-4 p.558.

Kaës R. et al.(1993): Trasmissione della vita psichica tra generazioni. Borla Roma 1995.

Mancia M.(1987): Il sogno come religione della mente. Laterza Bari.

Milner M.(1955): Il ruolo dell'illusione nella formazione del simbolo. In "Nuove vie della psicoanalisi" Il Saggiatore Milano 1966.

Modell A.H.(1984): Psicoanalisi in un nuovo contesto. Cortina Milano 1992.

Modell A.H.(1990): Per una teoria del trattamento psicoanalitico. Cortina Milano 1994.

Modell A.H.(1996): La ricontestualizzazione degli affetti nel processo psicoanalitico. Setting (Quaderni A.S.P.) I 1 p. 82.

Money Kyrle R.(1978): Scritti. Loescher Torino 1985.

Ogden T.H.(1989): Il limite primigenio dell'esperienza. Astrolabio Roma 1992.

Pessoa F.(1982): Il libro dell'inquietudine. Feltrinelli Milano 1986.

Petrella F.(1993): Il Doppio: un tipo di crisi dell'identità. In "Turbamenti affettivi e alterazioni dell'esperienza" Cortina Milano.

Riolo F.(1987): Proton pseudos. Riv. di Psicoanalisi XXXIII 3 p. 397.

 

Abstract

Oggetto del lavoro sono alcune considerazioni sui temi della coazione a ripetere e della identità percettiva.Questi concetti,riproposti da Modell come punto di giunzione - insieme alla Nachträglickeit - fra modelli attuali di neuropsicologia(Edelman)e psicoanalisi,vengono studiati nella loro evoluzione a partire dal freudiano "Progetto di una Psicologia scientifica" attraverso il testo "Una teoria del pensare" di Bion.Viene anche proposto di utilizzare la distinzione fra Sé nucleare e Sé orbitale,fatta da Grinberg anni fa,come supporto di un movimento oscillatorio continuo (in analogia al PS<->D di Bion)caratteristico della funzione correlativa della mente,quella funzione,cioé,che collega reciprocamente i sistemi di valore interno con il mondo esterno. Una "funzione metaforica" della mente risulta pertanto in continuità con i "pensieri intermedi" (Zwischengedanken) di Freud e appare centrale non solo nei processi mnemonici, ma anche nell'intera attività del pensare.


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