ASPETTI GRUPPALI DEL LEGAME PRIMARIO

Benedetto Nadia, Simonetto Alessandra**

Psicoterapeuti, gruppoanalisti A.P.R.A.G.I. Torino, Italia.

 

Introduzione

Bion è ed è stato per diverse generazioni di psicoterapeuti un punto di riferimento per diversi motivi: attraverso i suoi scritti si poteva in qualche modo confrontarsi e scontrarsi con un pensiero libero, quindi originale, al di là dei confini italiani.

E’ sempre e comunque una lettura sconcertante, avulsa, per il nostro modo di vedere, da campanilismi che spesso soffocano la psicoanalisi italiana.

Questo convegno può dare in questo momento della storia della psicoanalisi italiana un ambito per rendere visibili i cambiamenti che si percepiscono nelle varie scuole di pensiero. Un cambiamento che era da tempo atteso e che vede tutti i colleghi finalmente anch’essi più liberi da posizioni ortodosse.

E’ con questo spirito che vogliamo proporvi un percorso clinico nei luoghi della Salute Pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, luoghi istituzionali. La politica che ha ispirato la nascita dei Servizi è quella della territorialità, del riconoscere come prioritario il legame con l’aggregato urbano che è il quartiere e non per esempio con la definizione della diagnosi patologica e la conseguente ospedalizzazione.

La lettura del lavoro di Bion "La psichiatria in un’epoca di crisi" del 1971 (tratto da Cogitations, pag. 334) ci ha dato il là per proporre a voi oggi questo nostro sforzo di dare parola ai fenomeni che abbiamo imparato a riconoscere attraverso l'esperienza di più di 15 anni di lavoro clinico.

In questo suo scritto Bion ci trasmette la sua passione e la sua preoccupazione per il genere umano.

Fino al termine della sua vita ha mantenuto viva la speranza e ha reso fattivo il suo messaggio non saturando i concetti ma passandoli, in un continuo divenire, alle generazioni future di "gestori delle emozioni inconsce".

L’operare nelle istituzioni ci pone in contatto massivo con la società di cui la "maggioranza dei suoi membri risulti psichiatricamente diseredata" pag. 341 Cogitations.

Non è un discorso soltanto sui servizi territoriali, è un discorso che dai servizi territoriali ci permette di cogliere le connessioni tra patologia e società.

Molte delle teorie che utilizziamo nel nostro lavoro clinico risultano, per certi aspetti a/contestuali.

Un nostro compito nel lavoro con le famiglie è anche quello di rendere comunicabile, a loro, il processo di autoregolazione che l’ha caratterizzata come famiglia fino all’incontro con noi.

E’ però anche nostro compito auto definirci come terapeuti in un contesto che oltre ad essere storico è politico.

Terapeuti di generazioni differenti affrontano in modo consono alla loro storia il caso, la relazione. Cercheremo di esplicitare di quali strumenti concettuali ci serviamo per comprendere il singolo.

Non è nostro compito quello di rendere puro il contesto delle relazioni, anzi è quello di sottolinearne gli aspetti trans-generazionali e trans-personali del vissuto.

 

INDIVIDUO GRUPPALE

 

La gruppoanalisi di Foulkes con il suo sottolineare il fenomeno per cui noi nasciamo in un gruppo e siamo un nodo in una rete è il secondo vertice da cui esporremo il nostro percorso clinico e metodologico.

Foulkes parte, nella sua teoresi, dal considerare la mente come un fenomeno multipersonale.

Il sedimentarsi delle modalità di relazione familiare costituirà per Foulkes la matrice di base della vita mentale dell'individuo. Da qui l'assetto mentale del terapeuta che pone il focus sia in senso diagnostico che pragmatico sullo "status mentale e relazionale collettivo" fenomenologicamente rilevante per quel gruppo familiare.

Foulkes pone come principale tecnica di lavoro nel gruppo, l'analisi attraverso il gruppo (by the group); attraverso quindi il processo che si attua dalla matrice di base per evolvere in quella dinamica.

Foulkes considera la mente come un fenomeno trans-personale e trans-generazionale, quindi posta come il sedimentarsi delle modalità relazioni familiari.

L'assetto mentale del terapeuta dipende dal modello interattivo che si attiva nella relazione col paziente e il focus dell'attenzione è posto sulle modulazioni di esso.

Foulkes propone una lettura del gruppo (sia familiare, che terapeutico) attraverso quello che accade qui e ora (by the group).

Il gruppoanalista pone attenzione al processo attraverso il quale il gruppo attraversa emozioni, affetti, pensieri autoriferiti o del singolo membro.

Ma anche di fronte alla coppia dei genitori si assesta nella mente del terapeuta un gruppo, un gruppo allargato, medio, piccolo a seconda di quanto vuole restringere o allargare il campo di osservazione.

Dobbiamo quindi capovolgere il pensiero riferendoci alla strutturazione di un legame primario che non discende linearmente da una relazione duale, per poi estendersi gradualmente ad acquisizioni affettive e sociali più allargate, quanto piuttosto al contrario. Vale a dire un legame primario che, da una saturazione, da una stretta coesione gruppale primaria, si apre alla possibilità di dipanare i fili delle proprie appartenenze affettive per iniziare a distinguere e quindi a distinguersi. Se fosse possibile una semplificazione lineare, si potrebbe dire che il percorso va da molti ad uno. Percorso costituito

Non solo attraverso i racconti familiari ma attraverso l' "agire" di modalità relazione identiche, ripetitive, avulse da una qualsivoglia contrattualità dinamica.

 

Quanto non si esprime consciamente nella relazione tra i genitori ed il figlio, costituisce proprio l’evento psichico e reale non trasformato e quindi trasmissibile in modo grezzo e contratto, saturo. Un bambino può solo assumerlo su di sé in modo altrettanto grezzo e spesso sintomatico (certamente quando si arriva alla consultazione con uno psicoterapeuta e prima ancora con un pediatra. Quanto si dovrebbe lavorare con i pediatri!) portando nella relazione l’espressione fisica-somatica-sintomatica di quanto resta aggrovigliato nella sua mente e nella mente di chi si relaziona a lui

Come dicevamo il bambino apprende attraverso il suo gruppo. Gli studi clinici ed in special modo quelli della Bick ci hanno chiarito i fenomeni legati alla autopercezione anche a livello epidermico dei bambini autistici, l’io-pelle è anche una metafora del funzionamento mentale caratteristico degli umani.

Abbiamo bisogno di un apparato per pensare i pensieri che sia elastico, permeabile, traspirante, regolarizzatore dei cambiamenti di temperatura: è il confine tra il dentro ed il fuori e questa può essere una metafora del nostro lavoro terapeutico e la pelle definisce anche la nostra appartenenza razziale.

Il gruppo di appartenenza stabilisce il tipo di regolamentazione tra individuo e società e può, più o meno, attenuare il rigore sociale: il gruppo-pelle.

Può tra-spirare il sociale o chiudersi ad esso.

Si sta cercando quindi di stabilire il tipo di competenze del gruppo rispetto ad un suo membro in questo caso un gruppo così detto naturale e cioè la famiglia.

 

Come dicevamo il bambino apprende attraverso il suo gruppo. Gli studi clinici ed in special modo quelli della Bick ci hanno chiarito i fenomeni legati alla autopercezione anche a livello epidermico dei bambini autistici, l’io-pelle è anche una metafora del funzionamento mentale caratteristico degli umani.

Abbiamo bisogno di un apparato per pensare i pensieri che sia elastico, permeabile, traspirante, regolarizzatore dei cambiamenti di temperatura: è il confine tra il dentro ed il fuori e questa può essere una metafora del nostro lavoro terapeutico e la pelle definisce anche la nostra appartenenza razziale.

Il gruppo di appartenenza stabilisce il tipo di regolamentazione tra individuo e società e può, più o meno, attenuare il rigore sociale: il gruppo-pelle.

Può tra-spirare il sociale o chiudersi ad esso.

Si sta cercando quindi di stabilire il tipo di competenze del gruppo rispetto ad un suo membro in questo caso un gruppo così detto naturale e cioè la famiglia.

 

GRUPPOANALISI FAMILIARE

 

L’aspetto processuale è fondante la gruppoanalisi familiare.

Il processo attraverso il quale si va costituendo il trans-personale di quel nucleo e il trans-generazionale di quella cultura di gruppo (familiare).

Lo stesso assestamento mentale del gruppo di lavoro specializzato di cui facciamo parte è processuale e avanza e si ritrae dal singolo al gruppo e dal gruppo all'individuo. E' questa messa a fuoco costante e fluida che ci permette di dare un respiro gruppale all'intrapsichico.

Nella gruppoanalisi è dato grande risalto al processo comunicativo nel qui ed ora (trans-personale) e nel là e allora (trans-generazionale). L’attraversamento dei propri gruppi interni definiti in quanto aspetti fortemente identificatori dell’individuo (D. Napolitani) colgono le vicende del singolo.

 

Molta della patologia che s’incontra nella nostra attività clinica è riferibile ad una popolazione infantile che ha affrontato una socializzazione precoce rispetto al passato.

Alcuni autori ipotizzano una forte connessione tra le nuove forme del disagio giovanile (tossicodipendenza, anoressia, bulimia, borderline) e il fenomeno dell’inserimento a partire dai primi mesi di vita in comunità educative.

Ci pare quindi necessario poter riflettere sui legami che si attivano tra bambino, famiglia, famiglia allargata, istituzioni educative e la dimensione della politica per la tutela del minore.

Come dicevamo il contesto è quello della consultazione ambulatoriale.

L’attenzione è rivolta all’apertura di nuovi punti di vista da parte dei genitori sulla vicenda che li vede protagonisti.

Chi ha provato a lavorare con gruppi familiari sa quanto siano fortemente seducenti, quanta forza possano esprimere al punto da catturare il pensiero omologandolo al proprio, utilizzando quindi inizialmente una strategia che impedisce di tollerare l'esistenza di aree sconosciute. Le azioni sono veloci, le compensazioni altrettanto, il gioco collusivo dei membri di una coppia e di genitori rispetto ad un figlio è fatto di segnali fisici e di parole che tendono a muoversi nel nome del mito familiare.

Un mito che arriva da lontano, da almeno tre generazioni, cioè dalla sequenza figlio-genitore-nonno, e che si svolge lungo un arco di tempo e utilizza il tempo stesso come elemento di rinforzo. Ma la ricchezza dell'occasione che si presenta nel riattraversamento familiare e anche individuale è evidente se pensiamo che ad esempio quando si lavora con dei genitori rispetto ad un figlio problematico.

Abbiamo davanti a noi, simultaneamente, la possibilità di identificazioni con un essere figlio, anche piccolo, e quindi per gli adulti con il proprio essere stati figli, ma anche con l'invecchiamento segnalato dal figlio stesso e quindi con il proprio essere genitori..

Si apre quindi nella terapia la possibilità di riaprire questo mito nel quale l'individuale si fonde con il familiare..

 

 

In questo primo impatto è necessario dare vita ad un atteggiamento della famiglia attivo; si deve riconoscere a chi ci sta di fronte una competenza interpretativa delle relazioni umane.

Anche quando siamo di fronte ad un solo componente della famiglia si tiene conto del fatto che rappresenta comunque e in questo contesto, un gruppo più o meno consistente.

Quello che ci proponiamo è di attivare nella nostra mente una griglia riferibile ai contesti di gruppo che sono significativi per il bambino.

Per una famiglia immigrata, per esempio, il contesto di riferimento può essere ai livelli più profondi quelli del gruppo d’appartenenza del luogo d’origine e tanto più è assente a livello della quotidianità, tanto più sarà attivo come riferimento affettivo e costitutivo la costellazione dei criteri di allevamento di quello specifico gruppo di lavoro, che ha come obbiettivo il mantenere attiva la propria identità familiare.

Questo vuol anche dire che nella mente del bambino sono significative le esperienze che sono rappresentate dagli aggregati relazionali comunitari (famiglia, famiglia allargata, gruppo di comunità). Quello che ci può interessare è il processo che accompagna l'impatto che i gruppi identificatori primari del singolo hanno con la costellazione familiare che lo circonda nel qui ed ora.

La nascita di un bambino mette in azione nella madre una folla di possibili (azioni, affetti, emozioni). Il gruppo di appartenenza si muove con il suo essere cassa di risonanza.

Il concetto di risonanza definisce aspetti di trasformazione e di contenimento all’interno della relazione primaria. Utilizzando il termine risonanza nel senso dato dalla fisica si può parlare di una identificazione e di una totale assonanza emotiva che, nella relazione, produce un livello di saturazione tale da portare alla rottura del sistema stesso. E’ necessario introdurre delle dissonanze per poter non soltanto consentire evoluzione al sistema, ma anche per garantirne la salvaguardia. Analogamente una mancata trasformazione relazionale, una mancata introduzione di elementi distintivi all’interno di un legame primario, non consente alcuna distinzione dei membri, porta ad una distinzione fisica, ma non emotiva, e quindi non evolutivamente rivolta allo sviluppo di differenti soggetti .

Solo la trasformazione come possibilità di distinzione di un pensiero soggettivo dalla matrice gruppale del corpo familiare consente di accedere ad un pensiero simbolico.

 

Il gruppo di appartenenza quindi amplifica il suono (di solito il più inconscio) che quell'aggregato (o se volete del gruppo specializzato di lavoro) in quel momento deve esprimere per scongiurare la sensazione di vuoto. Vuoto di prospettive: la nascita è caos, e confusione, rimescolamento di ruoli.

Altro aspetto rilevante è come l’essere individuo e quindi portatore di originali modi di relazionarsi sia più o meno riconosciuto dai propri gruppi di appartenenza.

Rimanendo nella prospettiva di aprire delle connessioni di senso nell’impatto con la sofferenza delle famiglie ci possiamo chiedere quale sia il rimando tra questi diversi ambiti relazionali.

Non molti anni fa i gruppi di appartenenza avevano anche un riscontro territoriale o per semplificare si creavano spontaneamente gruppi di riferimento e vi era più che adesso una corrispondenza tra la localizzazione auto-riferita mentalmente e il sito abitativo.

Oggi ci pare di capire, pur non avendo nessuna conoscenza sociologica in merito, le appartenenze sono molto più svincolate dal territorio.

Possiamo definire habitat comunitari le modalità di allevamento attraverso le quali i gruppi familiari si organizzano per gestire il bambino.

Da un breve esame della casistica dell’ultimo anno e mezzo la metà circa dei casi presenta una notevole frequenza di tre rappresentanti delle tre generazioni che convivono e condividono tranches di quotidianità.

Si può parlare quindi di gruppi interiorizzati nella mente gruppale che è attivamente alle prese con complessità separate nel senso che spesso il legame tra i diversi nuclei (genitori, nonni, scuola) è il bambino. E' un legame, un trattino tra 2-3-4 elementi ed è saturo, non può permettersi trasformazioni se non trascurando nel processo il suo habitat comunitario. E' un legame psichico dell'individuo (nella mente del bambino risuona) che risuona desideri e distruttività collettivi. E' un legame che agisce sul bambino nel senso che c'è un gruppo che pensa i pensieri del singolo e lascia ad esso la funzione di agirli, di renderli fattivi.

Per il gruppo è una questione di esistenza esistere come appartenenza, per il singolo il bambino è un fatto di sopravvivenza.

Sottolineiamo i termini QUESTIONE e FATTO per evidenziare la differente qualità espressiva del contesto: da una parte si continua ad esistere (forse anche per la prima volta) attraverso una continuità immaginaria, dall'altra si sopravvive in relazione alla soddisfazione di bisogni primari e solo di essi.

Queste riflessioni ci rimandano alla fondamentale relazione e connessione tra interno ed esterno. Tra mondo interno e mondo esterno, connessione che vede nel concepimento e nella gravidanza la maggiore contiguità psicofisica.

Durante una gravidanza una donna sperimenta il rapporto psicofisico più intimo (dopo quello provato con la propria madre) e contemporaneamente sperimenta la sensazione di differenza, di distanza contenuta in questa stessa intimità. Il bambino interno deve essere inteso non soltanto come bambino fantasticato, ma anche come parte di sé potente e creativa, come unione simbiotica che può aprirsi ad una relazione esterna. E' il momento in cui l'interno e l'esterno sono più contigui, in cui corpo e fantasia si confondono. E i genitori hanno bisogno di trovare una sorta di "aria di famiglia" per poter tollerare l'inquietudine e per riappropriarsi di quanto, inevitabilmente ad un certo punto mostra la propria distanza fisica da sé. Nel lavoro con coppie sterili che danno la loro disponibilità per l'adozione di un bambino, moltissime collocano molto lontano nel tempo, addirittura in adolescenza o comunque certamente durante la loro relazione di coppia anche iniziale il desiderio di avere un bambino adottivo. Sembrava quasi che le loro conversazioni da innamorati riguardassero solo i bambini, adottivi oltre tutto più che i figli biologici, proprio a testimonianza nella necessità di costruire un passato che contenesse già il presente, in modo da dare continuità, da evitare fessure discontinue (in questo caso sancite dalla sterilità o da drammatiche serie di aborti) in una trama che deve essere necessariamente armonica ed omogenea per non creare distacchi eccessivamente dolorosi.

Questa saturazione anche della propria storia, consente di percepire in modo meno estraneo, e quindi potenzialmente meno minaccioso ogni elemento che produce una frattura rispetto ad una ipotetica linearità evolutiva, o meglio ad una ipotetica coesione gruppale.

 

L’appartenenza non passa attraverso la condivisione di compiti e interessi né lavorativi né culturali né economici.

Complessità separate a cui si cerca di dare coerenza: quello che un tempo si delineava come obbiettivo terapeutico e cioè l’integrazione di vari aspetti della personalità oggi necessita di un investimento attivo nella ricognizione dei legami, nella mappatura del territorio da parte del bambino.

Cosa avviene quando questa separatezza non viene articolata in modo congruo?

Sappiamo sia dagli studi classici che dalle recenti scoperte di verifica empirica che il neonato ha come suo bagaglio genetico la capacità di utilizzare più canali di comunicazione contemporaneamente e anche di diversa componente mediale (cioè utilizzando i cinque sensi, ecc.) e questa competenza si perde con il passare del tempo incanalando il tutto verso lo strumento linguistico.

Siamo quindi attrezzati fin dalla nascita a contemplare nella nostra esperienza diretta universi complessi.

La crescita psicologica è permessa dall’attivazione di un gruppo di lavoro specializzato che nelle varie culture può comprendere madre, padre, nonni oppure madre, nonna materna, padre in una serialità che è legata ai processi di identificazione culturali di quel particolare nucleo o più in generale di quella cultura regionale.

A volte i nuclei familiari non hanno gruppi significativamente affettivi come riferimento e allora sarà più rilevante una referenzialità immaginaria.

I modelli identificativi sono riferibili ad un virtuale gruppo di appartenenza che non corrisponde alla realtà dei legami esistenti.

 

I gruppi di appartenenza quindi significano per l’adulto e per il bambino spazi di percorso mentale, punti di riferimento che possono orientare nella complessità relazionale che viviamo tutti nel quotidiano.

Cosa significa quindi in termini di introiezione di modelli relazionali un conteso di vita abitato dalla separatezza?

 

Prima di tutto gli aspetti di apertura che citavamo all’inizio: possibilità di giocare diversi ruoli, confrontarsi con il "diverso da", stabilire quindi reti comunicative relazionali svincolate dall’identità forte del gruppo familiare d’appartenenza, ottimizzazione del rendimento in quanto c’è una settorializzazione del tempo scandito (tempo del lavoro, della famiglia, del tempo libero, della scuola, degli amici, ecc.) specializzazione parossistica delle competenze.

Si può pensare che la separatezza dei luoghi mentali la versabilità del vivere urbano "renda" in termini di produttività, ma in un linguaggio più vicino a noi si constata la tendenza ad una "massificazione" dell’esperienza individuale o in altre parole ad una strisciante de-personalizzazione.

Cosa succede quando questa separatezza non viene articolata in modo congruo dal gruppo famigliare?

Se possiamo definire schematicamente il ruolo della famiglia possiamo dire che è quello di dare speranza alle nuove generazioni nel futuro che le attende (Meltzer).

Questa speranza è il motore affettivo della libera iniziativa, della creatività illusoria del potersi permettere d’inventarsi un mondo in contatto costante con l’ambiente e che da esso trae gli stimoli per auto riorganizzarsi (Marturana e Varela).

Quindi ci troviamo ad affrontare sempre più disagi relativi alla difficoltà di auto localizzarsi all’interno dei diversi gruppi di riferimento. Il bambino, il paziente non si sente contenuto sia in senso attivo che passivo "non so chi mi contenga,cosa io possa contenere". Si localizzano al limite, al confine, tra gruppi contigui genitori-nonni, genitori-insegnanti.

Con questi fenomeni che si collocano tra individuo, gruppo e collettività ci troviamo a utilizzare una modellistica anche bioniana nel senso che se anche non ci aiutano a "teorizzare" ci danno invece degli strumenti per osservare in modo più originale e soprattutto mettono in moto dei processi di riflessione sul riconoscere la specificità di quel gruppo familiare per esempio in quel determinato contesto ambientale.

Con fenomeni "limite" siamo sempre più a contatto e forse sempre meno preparati a riconoscerli.

Il rapporto individuo-gruppo-individuo è uno dei crocevia nei quali si sta a nostro parere anche giocando il futuro della psicoanalisi.

 

Come dicevamo il bambino apprende attraverso il suo gruppo. Gli studi clinici ed in special modo quelli della Bick ci hanno chiarito i fenomeni legati alla autopercezione anche a livello epidermico dei bambini autistici, l’io-pelle è anche una metafora del funzionamento mentale caratteristico degli umani.

Abbiamo bisogno di un apparato per pensare i pensieri che sia elastico, permeabile, traspirante, regolarizzatore dei cambiamenti di temperatura: è il confine tra il dentro ed il fuori e questa può essere una metafora del nostro lavoro terapeutico e la pelle definisce anche la nostra appartenenza razziale.

Il gruppo di appartenenza stabilisce il tipo di regolamentazione tra individuo e società e può, più o meno, attenuare il rigore sociale: il gruppo-pelle.

Può tra-spirare il sociale o chiudersi ad esso.

Si sta cercando quindi di stabilire il tipo di competenze del gruppo rispetto ad un suo membro in questo caso un gruppo così detto naturale e cioè la famiglia.

 

 

Solitamente un gruppo familiare arriva ad una consultazione in due condizioni diverse:

la prima è quella di una famiglia "in crisi" con la percezione quindi che qualcosa non stia funzionando in termini relazionali e avendo individuato in un membro del nucleo o fuori dal nucleo l'origine di tale cattivo funzionamento, avendo quindi già costruito individualmente o collettivamente una causalità, senza poter risolvere la propria crisi utilizzando risorse che fino a quel momento avevano consentito di superare le difficoltà emergenti. Il gruppo familiare si trova quindi di fronte a qualcosa di insolito e non può appellarsi a modelli di interazione o a costruzioni abituali. Le sue conoscenze non sono sufficienti. La sensazione è quella di un sistema che si è inceppato perché si rivelano limitate le proprie costruzioni.

La seconda condizione è quella, ancora più problematica, di una famiglia nella quale uno o più membri esprimono un disagio sintomatico ma senza che questo venga da nessuno connesso con l'intero gruppo familiare. Non esiste crisi quindi del nucleo, ma un sintomo da comprendere, diagnosticare, curare ed estirpare, secondo un procedimento lineare e chirurgico. La famiglia non ha alcun dubbio rispetto all'armonia delle proprie relazioni interne, la richiesta quindi corrisponde alla negazione del dubbio.

A questa seconda tipologia appartengono quasi sempre le famiglie che chiedono una consultazione legata a difficoltà di un bambino o di un adolescente, anche se forse si sta ampliando la disponibilità alla comprensione ed alla cultura che ciò che accade ad un bambino non può non essere correlato con l'ambiente che vive intorno a lui.

 

E’ necessario trattare il gruppo familiare come un circolo di proiezioni reso molto complesso dai legami assolutamente specifici di tipo biologico (o meglio ancora di filiazione) La famiglia si costituisce grazie alla continuità nel tempo che unisce una generazione dopo l'altra attraverso un legame di appartenenza che la rende una istituzione, un luogo di esperienze percettive e relazionali fondative.

 

Potremmo guardare alla casistica ponendo come punto discriminante il fatto che il gruppo d’appartenenza sappia nel suo complesso adempiere alle richieste di regolazione tra il dentro e fuori del singolo.

Se riprendiamo la metafora che vede il gruppo come un organismo, esso si va definendo almeno su due fronti: quello fisiologico sopra espresso ma anche istituzionale.

 

Ritornando a Bion si è sempre interessato delle connessioni tra quello che accadeva nella stanza d’analisi e la realtà fuori da essa.

Questo suo interesse lo ha portato ad una forma di sintesi artistica nella proposta che lui fa nel suo libro "Memorie del futuro" dove lui stesso ricerca situazioni naturalmente forti per far comprendere al lettore cosa di quello che sta provando è anche psicoanalisi.

Come le qualità cognitive ed affettive della relazione siano trasformabili più o meno rigidamente affinché, pensiamo, il genere umano possa emanciparsi dal demonio delle passioni autodistruttive.

 

 

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