Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2003-2004


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Materiali per il corso a cura degli studenti

Emozione, dissociazione e coscienza

a cura di

francesca borgogno e simona vignolo


PREMESSA

Per la maggior parte del Novecento nei laboratori non si diede credito all’emozione. Si diceva che essa fosse troppo soggettiva, troppo fuggevole e vaga. Essa veniva considerata quale antagonista della ragione. Con Edelman nasce il pensiero evoluzionistico, il primo a tener conto della regolazione omeostatica e della base neurale della mente. Egli propone un’"epistemologia a fondamento biologico" ed ipotizza che la coscienza non sia un oggetto ma un processo: in questa prospettiva è adeguata come oggetto indagabile come scienza ("Un universo di coscienza", Edelman).

Negli ultimi anni, le neuroscienze e le neuroscienze cognitive hanno finalmente approvato l’emozione; le ricerche di Damasio, per esempio, hanno dimostrato che l’emozione è parte integrante dei processi del ragionamento e della decisione, nel bene e nel male. Oggi sappiamo grazie a questo autore che le emozioni sono complicate collezioni di risposte chimiche e neurali, che formano una configurazione. Tutte le emozioni hanno un qualche ruolo regolatore da svolgere: assistere l’organismo nella conservazione della vita.

L’apprendimento e la cultura alterano l’espressione delle emozioni, conferendogli nuovi significati, ma esse restano processi determinati biologicamente, dipendenti da dispositivi cerebrali predisposti in modo innato, stabiliti attraverso una lunga storia evolutiva.

A partire dal livello del tronco encefalico per risalire verso l’alto, questi dispositivi regolano e rappresentano gli stati del corpo; nello stesso tempo influenzano la modalità di funzionamento di numerosi circuiti cerebrali. La collezione di tali cambiamenti costituisce il substrato delle configurazioni neurali che alla fine diventano sentimenti delle emozioni. Damasio ci dice ancora che le emozioni di fondo sopravvivono impavide alla malattia neurologica.

Un punto assai interessante è che di solito le emozioni di fondo sono compromesse quando è compromesso il livello fondamentale della coscienza, la coscienza nucleare.

Un esempio: gli automatismi epilettici.

Durante la crisi di assenza non vi è il senso di sé – gli eventi accaduti durante la crisi non sono stati registrati nella memoria o comunque non sono recuperabili, in altre parole il paziente manifesta alcuni aspetti elementari della mente e nella mente ha alcuni contenuti relativi agli oggetti ed al suo ritorno, ma non ha coscienza normale, questo significa che il paziente non ha sviluppato, in parallelo all’immagine degli oggetti circostanti, un’immagine intensificata degli oggetti con i quali interagisce, manca cioè il motore dell’azione volontaria. Durante tutto il tempo della crisi, per concludere, si assiste alla sospensione dell’emozione.

Le emozioni e la coscienza nucleare, insistiamo, tendono ad essere associate: sono entrambe presenti oppure entrambi assenti. Esse richiedono, in parte, gli stessi substrati neurali, per cui una disfunzione in una posizione strategica compromette i processi di entrambi i tipi.

Secondo Damasio, la mancanza di emozioni, a partire dalle emozioni di fondo fino ai livelli superiori delle emozioni, indica che sono compromessi importanti meccanismi di regolazione del corpo. Dal punto di vista funzionale la coscienza nucleare è vicina ai meccanismi che subiscono la disgregazione, è intrecciata a tali meccanismi e quindi viene compromessa insieme a loro.

Riteniamo questo esempio importante per due ragioni: primo perché nel nostro discorso è importante chiarirci in che rapporto stanno emozioni e coscienza, secondo perché la crisi di assenza e l’automatismo epilettico sono - nella valutazione categoriale - tra le ipotesi da scartare durante una diagnosi differenziale di "disturbo sensoriale somatoforme".

 

DISSOCIAZIONI SOMATOFORMI

Le dissociazioni somatoformi possono essere in particolare associate a traumi che implicano contatto fisico oppure a forme di trauma senza contatto.

La dissociazione somatoforme può essere compresa come un tipo di risposta adattativa al trauma, quando questo è vissuto come minaccia di offesa fisica alla quale non si riesce a dare una spiegazione razionale.

Dopo gli studi sull’isteria di Freud, Janet vide nelle "depressioni" o nei bassi livelli di capacità di integrazione dell’individuo, definiti dallo stesso "tensione psicologica", il retroscena dei processi dissociativi. Egli osservò che i processi dissociativi di regola attaccavano l’intero organismo, trovando espressione nei disturbi somatoformi delle sensazioni, dei movimenti, delle parole, della visione e dell’ascolto, così come nei disturbi della coscienza, memoria e identità, ossia nelle dissociazioni psicologiche.

Come possiamo rilevare il limite tra ciò che è psicologico e ciò che è somatico?

Il termine dissociazione si riferisce ad una mancanza di integrazione dei processi psicologici e somatici che non trovano spiegazione nei referti medici.

Al giorno d’oggi la dissociazione somatoforme può essere misurata utilizzando il Somatoform Dissociation Questionnarie, strumento utile sia per fini clinici che di ricerca.

Studi recenti, in particolare quelli effettuati da Glenn Waller e colleghi, sostengono l’ipotesi che le dissociazioni somatoformi sono specificatamente associate ai traumi infantili sia fisici, sia verbali, in particolare questi ricercatori hanno dimostrato che la dissociazione somatoforme è associata a traumi fisici, mentre la dissociazione psicologica è associata a traumi senza contatto.

Waller e colleghi concludono che la dissociazione somatoforme può essere compresa considerandola quale set di risposte adattative psicofisiologiche al trauma quando c’è una minaccia fisica incomprensibile, sebbene questo adattamento possa diventare patologico.

La scoperta di una forte associazione tra somatizzazione e dissociazione non dovrebbe sorprendere, in quanto i due fenomeni sono storicamente legati; essi erano infatti considerati entrambi caratteristiche preminenti dell’isteria. Briquet (1859) metteva in relazione l’isteria con una quantità di esperienze traumatiche tra cui l’abuso sessuale. Anche Freud (1896; Breuer & Freud, (1893) nei suoi primi scritti sull’isteria attribuiva i sintomi fisici a dei traumi sessuali subiti nell’infanzia. In seguito egli abbandonò tuttavia questa teoria,dopo aver deciso che i racconti dei suoi pazienti di episodi di seduzione infantile erano in gran parte un prodotto della fantasia.

Ci sembra importante prima di continuare, inserire qui il pensiero di un autore contemporaneo a Freud che insistette molto sull’importanza della nozione di trauma, Ferenczi.

Leggendo dal "Diario clinico" -ci dice Martin Cabrè- possiamo comprendere Ferenczi allorchè si domanda: "che cosa succede quando la sofferenza aumenta e supera la capacità di sopportazione del bambino? ".Il bambino è in simili casi fuori di sé; ma se non è in sé, allora dov’è?, si chiede. Là dove si trova -è questa la risposta- non c’è il tempo. (…)

Ciò che Ferenczi vuole sottolineare con queste considerazioni è che qualcosa che ha a che vedere con la mente, qualcosa di irrappresentabile anche per Freud, è in gioco nella dinamica del trauma. La reazione al dolore appartiene all’ordine del non rappresentabile ed è inaccessibile alla memoria e al ricordo. Da questa prospettiva il trauma si "presenta", non si "rappresenta" e la sua presenza non appartiene ad alcun presente , distrugge anche il presente n cui sembra introdursi. E’ un presente senza presenza , un "presente impazzito", nel quale il soggetto esce dal tempo " cercando di collocare la sua sofferenza " impossibile "in una grande unità". (…) Il ricordo , imprigionato nel corpo, lo trasforma in schiavo del suo ruolo di portavoce e martire di una parola che ha perso la voce. Le parole del bambino rimangono ,secondo l’espressione di N. Abraham e M. Torok (1978) , "sotterrate vive" e , a causa di ciò, sotto la pressione di altri eventi traumatici , si può produrre una frammentazione della personalità, ossia l’ultima risposta possibile per difendersi dalla sofferenza.

La descrizione ferencziana dell’ " identificazione con l’aggressore " suggerisce l’ immagine di un’invasione dell’Io del bambino. L’aggressore – dice Ferenczi – travalica il linguaggio e lo spazio dell’ Io del bambino, dando esclusivamente la parola alla passione. ( passione e pazzia sembrano così dal suo punto di vista sembrare la stessa cosa…)

Sono dovuti passare molti anni affinché l’importanza di queste affermazioni potesse essere ammessa e considerata…

Fortunatamente noi oggi stiamo scrivendo questa ricerca e possiamo riportare queste considerazioni a conferma della nostra speculazione su emozione, coscienza e dissociazione.

Ci siamo infatti domandate anche noi cosa succede e perché ci sono situazioni in cui la nostra coscienza si separa dal nostro corpo – per esempio sono comuni le esperienze di depersonalizzazione e derealizzazione durante una violenza sessuale - , e cosa succede quando c’ è il rischio che l’esperienza traumatica ci segni così profondamente e inaspettatamente da non permettere più a noi stessi di riconoscerci come facenti parte della nostra storia. Crediamo che ci sia dentro di noi una spinta " di vita" che decida di scollegare momentaneamente il nostro Sé corporeo, per salvarne la rappresentazione nella memoria…

Ai nostri giorni è più semplice trovare dati e teorie che spieghino e in un certo qual modo vadano a confermare ciò che pensiamo accadere:con le ultime teorizzazioni psicobiologiche possiamo per esempio andare a indagare l’incapacità di elaborare da un punto di vista cognitivo le intense emozioni evocate da un evento traumatico e gli effetti della risposta ad uno stress biologico prolungato. Attraverso una riconsiderazione del lavoro di Pierre Janet, van der Kolk e van der Hart (1989) hanno contribuito a chiarire alcuni meccanismi che potrebbero essere all’origine delle caratteristiche cliniche del PTSD ( Disturbo post-traumatico da stress)

Secondo Janet (1889) sono le "emozioni veementi" che accompagnano le esperienze estreme a renderle traumatiche; queste emozioni fanno sì che i ricordi dell’esperienza siano dissociati dalla coscienza, e vengano immagazzinati come sensazioni somatiche ed immagini visive. E’ ora chiaro che le emozioni intense interferiscano con il funzionamento dell’ippocampo e di conseguenza con l’integrazione delle esperienze ad esse associate negli schemi di memoria preesistenti; al contrario, i ricordi di queste esperienze sono organizzati a un livello sensomotorio attivo o iconico, il che potrebbe spiegare l’emergere di sintomi somatici, incubi, flashbacks o episodi di riattualizzazione comportamentale nei soggetti affetti da PTSD. E’ inoltre sempre più chiaro che i ricordi somatosensoriali delle esperienze traumatiche possono essere richiamati dall’attivazione del sistema nervoso autonomo: il sistema noradrenergico viene attivato più facilmente ,in particolare da circostanze che assomigliano a quelle dell’evento traumatico originale; ciò provoca una secrezione di noradrenalina e un aumento anormale della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca. E’ stato inoltre ipotizzato che queste risposte neurobiologiche acute a un evento traumatico possano provocare modificazioni permanenti della trasmissione sinaptica nei siti cerebrali del tronco e in quelli limbici e corticali; queste modificazioni hanno un effetto negativo sull’apprendimento, l’estinzione e la discriminazione dello stimolo.

Ci chiediamo ora: allora non sarà per questo che in certe situazioni la nostra coscienza preferisce staccare la spina piuttosto che ritrovarsi con tutto il sistema in cortocircuito? E ancora, se una donna dovesse rivivere una scena di violenza totalmente gratuita tutte le volte che chiude gli occhi e/o quando si appresta ad avere un rapporto sessuale consenziente, e andasse tutto fuori squadro… potrebbe avere speranze di ritrovare una dimensione vivibile per la sua vita? - tutto questo chiaramente senza minimamente pensare che dissociandosi succeda un miracolo, anzi… . Ma i problemi crediamo siano di natura diversa, o per lo meno, crediamo che non vadano a intaccare l’apparato neurobiologico che ha per riferimento l’ippocampo -.(vedi Appendice).

Anche se l’associazione tra somatizzazione e dissociazione è stata sepolta all’interno del DSM-III con l’evoluzione dell’isteria nella categoria diagnostica dei disturbi somatoformi, la separazione dell’isteria dai disturbi dissociativi ci aiuta a chiarire la distinzione tra somatizzazione e conversione.

INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO

La "di-associazione"degli aspetti cognitivi dagli aspetti somatici viene descritta co precisione nella terza edizione del DSM.

Le precedenti versioni del DSM hanno mantenuto i sintomi "isterici" sotto la stessa etichettatura (nevrosi isterica, conversione o tipologia dissociativa nella seconda edizione del DSM) ed hanno anche mantenuto un modello teorico psicodinamico rispetto a quello più neutrale della nosologia descrittiva.

Sebbene la decisione da parte della commissione del DSM III di passare da una teoria particolare ad un modello più neutrale sia stata generalmente considerata come un passo avanti , essa ha anche prodotto una separazione teoricamente ed empiricamente ingiustificata dei sintomi dissociativi.

Quelli che con maggior chiarezza si riferiscono ad aspetti cognitivi e affettivi sono etichettati sotto il termine "disturbi dissociativi".

Quelli che si riferiscono ad eventi esperiti come somatici (ad esempio controllo motorio, sensazione) sono stati catalogati nella categoria di "disturbi somatoformi" e posti insieme ad altre condizioni pseudo-somatiche come l’ipocondria.

Come indicato teoricamente ed empiricamente in precedenza, questo cambiamento da parte del DSM è difficile da giustificare

Le associazioni tra somatizzazione, dissociazione, alessitimia e trauma hanno condotto all’idea che la dissociazione funge da meccanismo di difesa contro i ricordi emotivamente dolorosi,e che i sintomi funzionali somatici sono manifestazioni dirette delle emozioni e sensazioni associate con gli eventi traumatici.

Questa era l’idea di Janet (1889),il quale propose che i ricordi delle esperienze traumatiche fossero immagazzinate al di fuori della coscienza ed espressi nella forma di sintomi somatici.

Alla fine degli anni ottanta diversi studi hanno dimostrato un’associazione tra disturbi somatoformi e storie di traumi infantili: per esempio Krystal ,van der Kolk e van der Hart (1989) hanno osservato che emozioni intense suscitate da un trauma possono interferire con l’elaborazione cognitiva dell’esperienza, così che gli affetti vengono codificati ad un livello sensomotorio ed attivo piuttosto che in una modalità semantica e linguistica.

Questo deficit alessitimico impedisce all’individuo di stabilire un collegamento conscio tra i sintomi somatici e l’esperienza traumatica originaria. I ricordi dell’esperienza o delle esperienze traumatiche e degli affetti ad esse associati sono rimasti imprigionati in una modalità protosimbolica, e vengono agiti compulsivamente mediante comportamenti morbosi anormali, sintomi somatici e preoccupazioni ipocondriache. "Le persone che somatizzano negano gli aspetti psichici della (propria) condizione." [Tyrer,1973]

Il diniego impiegato è di natura primitiva e corrisponde alla rimozione primaria ,la quale coinvolge una restrizione e un blocco del funzionamento cognitivo e non risponde nella maniera abituale all’interpretazione delle difese:dissociazione, rimozione primaria il diniego primario rappresentano,oltre a essere dei meccanismi di difesa, anche un deficit dell’elaborazione cognitiva degli affetti dolorosi e un’incapacità di assimilare gli eventi traumatici nella loro totalità. Sono le emozioni "non-mentalizzate" e non regolate, piuttosto che gli eventi veri e propri ,che sono alla base dei sintomi somatici.

Queste sono le ultime scoperte dei teorici contemporanei che oggi cercano, dopo anni di querelle , di trovare un modello che renda la natura multifattoriale e interazionale dell’eziologia dei disturbi.

Aggiungiamo un passaggio e terminiamo ,vorremmo riportare una metafora , quella della gazzella e del leone,a noi suggeritaci dalle pagine di Liotti nella "Dimensione interpersonale della coscienza":

"si pensi ad un animale (ad esempio una gazzella) aggredito da un predatore ( ad esempio un leone) e che non possa più sfuggire ad esso. Se la gazzella entra in uno stato di anestesia/amnesia mentre è tra le zampe del leone e se il leone, prima di poter finire la preda, viene in quel momento messo in allarme dal sopravvenire di un evento per lui pericoloso (potremmo immaginarci l’avvicinarci di un branco di elefanti al galoppo o di un fulmine che si abbatte su di un albero vicino), la gazzella potrà più facilmente organizzare il proprio comportamento di fuga se è scattato in lei un meccanismo che riduce la percezione del dolore ed il ricordo della paura."

Quindi: la gazzella dissocia per non subire un deficit causato dallo stress in caso di "ultima chance";

la donna invece dissocia perché il trauma a cui è sottoposta "gratuitamente" non trova in lei possibili spiegazioni, inoltre il ricordo del trauma potrebbe provocare serie conseguenze.

Liotti ci fornisce un buon spunto per definire i casi di dissociazione adattativa, e riuscendo a riportare il nostro pensiero sui concetti evoluzionistici …

Anche Jerome Bruner, nel "La ricerca del significato " , sostiene con fermezza che la costruzione del significato ha un ruolo centrale nella psicologia umana, e ci fa osservare come il Sé emerga dalle interazioni tra persone in un ambito culturale, sotto l’influenza di narrazioni.

Insomma ,di dissociazioni e di riflessioni e di cause e concause ce ne sono tante, e tanti sono stati i tentativi per cercare di fare un po’ di chiarezza su come funzioniamo normalmente e "sotto pericolo" … non sappiamo dare una risposta univoca alla nostre domande, quindi abbiamo preferito riflettere con voi e con quanti prima di noi l’hanno fatto …

Ci piace lasciarci con un grande pensatore del nostro secolo, Edelman, che forse ci dà un monito e uno stop sulla nostra brama di conoscenza:

"Fino a quando non si saranno costruiti artefatti dotati di coscienza e capaci di parlare i metodi biologici continueranno a essere troppo rozzi per poter stabilire correlazioni tra l ‘attività neurale di un "pensatore puro", impegnato in un processo di ragionamento, e il significato dei suoi pensieri .

 

APPENDICE

MODELLO DI LE DOUX

Si devono a Joseph Le Doux ed al suo laboratorio gli studi fondamentali sull’emozione della paura e sul ruolo centrale dell’amigdala (la sua opera principale è "The emotional brain. The misterious underpinning of emotional life". Simon and Shuster, New York 1996-tradotto in italiano con il titolo "Il cervello emotivo. All’origine delle emozioni".Baldini e Castoldi, Firenze, 1998):

Nel pensiero di Le Doux si possono evidenziare in particolare tre temi:

Il concetto di sistema limbico;

Il rapporto tra emozione e cognizione;

La questione della plasticità cerebrale in relazione alle psicoterapie-gli ipotizzabili effetti somatici di una cura non "chimica", ma verbale.

CONTRIBUTO SULL’EMOZIONE (traduzione Regina Pally)

La paura contribuisce ad aumentare il ritardo nella reazione al pericolo.

Tutti gli animali reagiscono con la paura agli stimoli estremamente avversi, come gli shock, inoltre ogni specie è vulnerabile ad alcuni stimoli specifici che provocano la paura in quella specie, ad esempio i topi reagiscono con la paura agli spazi aperti.

Nonostante la specificità degli stimoli, le strutture cerebrali, gli ormoni, le reazioni del sistema nervoso autonomo ed i comportamenti della paura sono simili in tutti gli animali, perciò la paura studiata nei topi o nelle scimmie può ragionevolmente essere usata per capire gli aspetti della paura negli esseri umani.

L’esperimento classico sul condizionamento della paura fatto nei ratti implica l’accoppiamento di uno stimolo inizialmente neutrale, come un suono, con un leggero battito del piede. L’animale (sottoposto a questa stimolazione) mostra immediatamente una reazione di paura che comprende il "freezing", dei sussulti improvvisi, defecazione, accresciuto ritmo cardiaco e cortisolo.Dopo una singola esposizione l’animale è condizionato ad interpretare il suono come avverso e nelle occasioni successive risponderà con la stessa paura alla semplice stimolazione acustica.

Anche gli esseri umani mostrano lo stesso rapido condizionamento a shock moderati.

Una volta stabilito, il condizionamento alla paura è relativamente permanente, come dimostrato negli studi sull’estinzione. Quando il suono è presentato frequentemente in assenza di shock, la reazione di paura alla fine si estinguerà. La risposta, comunque è soltanto inibita, non cancellata completamente.

Se il ratto viene esposto ad altri stress senza legami con i precedenti, come la deprivazione di acqua, la paura condizionata del suono ritornerà all’intensità originaria.

I dettagli sui circuiti della paura risultano evidenti negli studi che si occupano di soggetti con regioni cerebrali lesionate sottoposti ad esperimenti di condizionamento.

 

IL RUOLO DELL’AMIGDALA E LA CORTECCIA

L’amigdala, essenziale nelle reazioni di paura condizionata, è il luogo di maggior rilievo deputato all’elaborazione degli imput e degli output.

Nell’azione svolta dall’amigdala vengono identificate due vie principali:

una rapida e breve via sottocorticale;

una lenta e lunga via corticale.

Ognuna di queste vie dà luogo ad un identico output, la reazione della paura, ma in risposta a stimoli diversi.

Nella via (1) l’informazione sensoriale è diretta dal talamo direttamente all’amigdala, la reazione della paura scatta rapidamente in risposta a stimoli semplici.

Nella via (2) l’informazione sensoriale è diretta dal talamo alla corteccia ed all’ippocampo e in seguito proiettata all’amigdala. In questo percorso la reazione della paura viene esplicitata più lentamente e in risposta a stimoli più complessi.

Ciò che maggiormente colpisce gli scienziati è il fatto che la corteccia uditiva, che è richiesta nella consapevolezza conscia degli stimoli uditivi, non è richiesta per la paura condizionata!

Quando la corteccia del ratto è lesionata avviene ancora il condizionamento alla paura, perché la via sottocorticale (1) rimane intatta, persino quando l’animale non può consapevolmente udire il suono.

L’implicazione è che l’emozione può essere scatenata da situazioni delle quali la persona non è consapevole.

La via corticale può inibire la reazione di paura scatenata dalla via sottocorticale.

Questi studi implicano che, sebbene le prime reazioni di paura al trauma non possono mai scomparire completamente, la consapevolezza conscia può aiutare a diminuire queste risposte di paura.

Studi confermano il ruolo dell’amigdala nella paura umana.

 

IL RUOLO DELL’IPPOCAMPO

L’ippocampo fornisce informazioni circa la posizione contestuale.

Gli indizi contestuali permettono agli animali di imparare ad evitare il pericolo.

Queste scoperte implicano che i suggerimenti spaziali attivano la paura nelle situazioni che non sono per lungo tempo pericolose, ma nelle quali l’animale è soltanto nello stesso luogo in cui era durante un evento traumatico.

Questo spiega il perché le vittime di una violenza evitano assiduamente la situazione specifica in cui furono assalite.

Nessun deterioramento dell’ippocampo può far generalizzare la paura ad altri luoghi. Oltre al ruolo nella memoria, l’ippocampo regola anche l’arousal emozionale perché è implicato nella regolazione di cortisolo.

Gli eventi emozionalmente traumatici portano a livelli molto alti di cortisoloche possono realmente danneggiare le cellule ippocampali. ( Brenner 1995, Salpolsky 1996). Perciò, una diminuzione dell’attività ippocampale può portare ad una carenza nella regolazione del cortisolo e un deterioramento nella memoria delle situazioni traumatiche.

Viceversa l’attività dell’amigdala aumenta durante l’arousal emozionale (Corodimas).

Queste scoperte implicano che allo stesso tempo lo stress "frena" la memoria conscia esplicita di un’esperienza traumatica e può accrescere la memoria emozionale inconscia di quell’esperienza.

 

RUOLO DELLA CORTECCIA PREFRONTALE

La corteccia prefrontale, in relazione alla sua funzione di working memory, anticipa la conseguenza di varie opzioni di risposta e considera ciò che sarebbe possibile sbagliare se un piano fallisse.

L’ansia umana può essere l’alto prezzo dell’abilità di anticipare il pericolo e di pensare. Gli animali inferiori soffrono le conseguenze delle scelte sbagliate, ma non si preoccupano in anticipo.