Università degli Studi di Torino
Facoltà di Psicologia
Anno accademico 2001-2002

Corso di Psicosomatica

Materiali per il corso a cura degli studenti:

Psico-Oncologia

a cura di Serena Giampaolo, Elena Gualtieri e Loredana Fuggetta


Ultimo aggiornamento: lunedì 13 aprile 2015 17.26

INTRODUZIONE

Ci proponiamo di esplorare alcuni aspetti del rapporto mente-corpo considerando, nello specifico, il processo organico della patologia cancerosa e il processo mentale costituito in questo caso dalle ipotesi sull’eventuale correlazione tra la nascita e lo sviluppo del tumore e una serie di stati o fenomeni di natura psicologica.

Già nel secondo secolo d.C. Galeno esponeva una teoria secondo la quale le donne di umore melanconico avrebbero avuto una maggiore probabilità di sviluppare un carcinoma mammario rispetto a quelle di umore sanguigno.

Una teorizzazione di questo tipo persiste fino al 1700, quando l’innovazione medico-chirurgica e tecnologica si concentra sempre di più sull’aspetto cellulare dello specifico organo colpito dalla malattia, perdendo di vista la globalità dell’individuo.

La concezione materialistica e dicotomica dell’uomo si affermano, il mentale non visibile e misurabile diventa oggetto privilegiato della Psicologia, che si "avvantaggia" di quella dicotomizzazione affermandosi come disciplina autonoma.

Alla luce di questa ricerca ci sembra che la Psicologia possa offrire il suo contributo sia in una prospettiva di ricerca multifattoriale, continuando cioè ad analizzare le possibili interazioni tra gli stati mentali dei soggetti e possibili patologie sul loro nascere e sul loro divenire, secondo un’ottica preventiva, senza però incorrere in facili ottimismi; sia in una prospettiva trattamentale atta ad accompagnare il paziente e le persone che lo circondano in un percorso doloroso e intriso di cambiamenti, tentando di tenere sempre ben presente il concetto di "qualità della vita".

 

ALCUNE NOTE CLINICHE

 

-DALLO STRESS ALLA NEUROBIOLOGIA

Ci si chiede se l’essere costantemente stressati può predisporre in qualche modo alla malattia oncologica. Un esame approfondito rivela che il rapporto stress- cancro è molto complesso.

Lo stress rappresenta un cambiamento di tendenza della linea del nostro vivere quotidiano, può essere causato da eventi clamorosi o da piccoli e significativi mutamenti di rotta.

Hans Selye sostiene che lo stress non va sempre e necessariamente inteso come un evento negativo. Anzi, la rottura di un preesistente stato di equilibrio, e la conseguente reazione fisiologica innescata, sono l’indispensabile premessa per consentire l’azione dei processi adattivi all’ambiente.

Occorre allora distinguere tra uno stress "buono", (eustress), funzionale all’incremento della capacità di adattamento del singolo a fronte di mutamenti del suo ambiente, ed uno stress "cattivo"(distress), che provoca l’annientamento dell’inividuo che soccombe al mutamento.

Lo stress fisiologico attiva una risposta facilmente reversibile e non quantitativamente eccessiva, mentre lo stress patologico induce una risposta irreversibile, in quanto sproporzionata e troppo prolungata nel tempo rispetto alle effettive risorse dell’organismo che è chiamato a sostenerla.

La risposta attivata dallo stressor è di tipo neuroendocrino e si traduce nella pronta attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi- surrene, con conseguente rilascio di un " corticotropin releasing factor" ipotalamico, che determina la liberazione di ACTH dall’ipofisi e di ormoni-cortisolo e adrenalina-dalla zona corticale e midollare della surrene.

Si inducono, così, importanti modificazioni nei processi metabolici, che portano all’aumento del tasso glicemico, della gittata, della frequenza cardiaca, e del flusso venoso, inoltre l’ACTH ipofisario ha un effetto sul sistema nervoso centrale che determina un incremento della capacità di concentrazione e di attenzione.

La persona cogliendo la presenza dello stressor si mette in fase d’allarme, se il fattore disturbo persiste l’organismo entra nella fase di adattamento, producendo il massimo sforzo in termini di attivazione neuroendocrina per far fronte alla rottura dell’equilibrio omeostatico che l’irrompere dell’evento stressante ha comportato. Se lo stato di equilibrio non si ricompone e l’adattamento non si verifica l’organismo soccombe (terza fase detta di esaurimento).

Tra la comparsa dell’evento potenzialmente stressante e l’attivazione neuroendocrina ci deve essere qualcosa in mezzo : la scuola Cognitivista individua in questo qualcosa la valutazione , il filtraggio e l’attribuzione di significato. C’è in sostanza un ampio lavoro cognitivo che agisce da mediatore della reazione biologica e comportamentale: la risposta allo stress è un processo attivo, soggettivo.

Il cognitivista Singer arrivò a definire lo stressor come un vero e proprio costrutto mentale, prescindendo quindi dalle sue caratteristiche fisiche.

Un’ulteriore elaborazione si ha con l’accentuazione dell’importanza della fase di coping (far fronte a). Ciò che differenzia ciascuno nella reazione al medesimo stressor è lo stile di coping, nel quale convergono il significato attribuito all’evento, le aspettative generate da esso, la valutazione delle proprie risorse a fronte di esso, le tracce lasciate da esperienze simili in passato, le disposizioni all’azione nei confronti di esso.

Psicologicamente, uno stile di coping risulta efficace, in senso lato, se la persona riesce a ricostituire il proprio equilibrio emotivo.

Sul versante fisiologico, l’efficacia risiede nella riduzione della frequenza e dell’intensità della risposta neuroendocrina indotta dallo stressor.

Particolarmente interessante, in prospettiva oncogenetica, è ovviamente la relazione tra stress e funzionalità del sistema immunitario.

Se è vero che nella genesi del cancro interviene pesantemente una qualche forma di inefficienza del sistema immunitario, che non sarebbe tempestivo nel riconoscere e neutralizzare colonie di cellule profondamente alterate, allora un qualunque fenomeno che mostri di interferire con la piena funzionalità del sistema immunitario va considerato con la massima attenzione. Ebbene, la risposta allo stress è uno di questi fenomeni.

Due classiche ricerche sperimentali, Lazarus nel 1977 e Irwin e Bloom nel 1987 mostrano come l’efficienza della risposta immunitaria era significativamente ridotta in uomini e donne che avevano perso il loro partner qualche settimane prima dell’esperimento.

Un ulteriore spunto di esplorazione in questo campo, che è definito psico-neuro-immunobiologico ci porta a ipotizzare che alcuni neurotrasmettitori attivati da eventi stressanti entrino in gioco nell’attivazione di specifici protoncogeni (ovvero dei precursori di quei geni impazziti che hanno un ruolo fondamentale nella genesi del cancro).

 

- LA PERSONALITA’ DA CANCRO

La legittima domanda che ci si pone da secoli è se esista una configurazione di tratti psicologici che predisponga al tumore più di altre.

Negli anni ’80 un gruppo di ricercatori europei (Morris, Greer, Grossarth-Maticek, Temoshok) ha identificato una particolare cancer-prone personalità definita "Tipo C".

Il tipo C sta all’estremo di un ipotetico continuum occupato dall’altra parte da quello che alla fine degli anni ’50 altri ricercatori, in contesto non-oncologico, avevano denominato"tipo A" o Coronary-prone personalità.

Il tipo A, predisposto alle malattie cardio-circolatorie, è caratterizzato da tratti marcati e costanti di aggressività manifesta, competitività, ambizione, scarsa competenza nel riconoscimento e nella gestione delle emozioni che vengono bruscamente scaricate all’esterno e scarsa attitudine all’introspezione.

Il tipo C, che avrebbe maggiori probabilità di andare incontro al cancro , è conformista, aderente alle norme in modo acritico, ricercante l’approvazione sociale e con un locus of control esterno, è sempre in cerca di approvazione, sottomesso, poco reattivo e defilato.Tende a reprimere costantemente l’espressione delle sue emozioni , in particolare rabbia e aggressività che al contempo non scarica su oggetti o persone del suo ambiente. Questa repressione si tradurrebbe in una iperattivazione ripetuta del suo sistema neurovegetativo che a lungo andare porterebbe alla compromissione dell’efficienza della risposta immunitaria.

Probabilmente alla base dell’instaurarsi di una personalità di tipo C si possono attribuire delle responsabilità alle figure genitoriali reali o alle loro rappresentazioni interiorizzate: dalle storie di vita di molti pazienti Tipi C emergono profili di genitori freddi, indifferenti, conformisti e fortemente inibitori nei confronti della spontanea espressione emozionale dei figli.

Spesso la disfunzione originaria alla base dell’origine del tumore precede di anni la comparsa della prima sintomatologia dello stesso e nel contempo la personalità può aver subito alcune modificazioni.

Alla luce di ciò sarebbe troppo difficile e anche semplicistico affermare l’esistenza in oncologia di un paziente "tipo" dal punto di vista della personalità

Piuttosto che un’associazione diretta tra certi modi di essere e il cancro, ci sembrano più interessanti i rapporti indiretti, che associano certe caratteristiche di personalità a certi comportamenti ritenuti a rischio: entro le categorie dei grandi fumatori e dei grandi bevitori.

Ecco allora che, per questi soggetti, il fatto di riuscire ad elaborare uno stile di coping alternativo, che permetta, ad esempio, di fronteggiare responsabilmente un problema senza più doverlo eludere annegandolo nell’alcool , per esempio, o il riuscire a esprimere le proprie emozioni liberamente, imparando a riconoscerle e a contare sul sostegno che la rete delle relazioni familiari e sociali offre, potrebbe divenire un efficace strumento per poter tradurre nel concreto il concetto di prevenzione anti-cancro di cui tanto si parla.

 

OBIETTIVI GENERALI

La Psiconcologia si propone di:

 

IL PAZIENTE

Le reazioni psicologiche alla diagnosi di cancro hanno conseguenze sull’adattamento psicosociale alla malattia, sulle complicanze psicopatologiche, sull’aderenza ai regimi terapeutici e sul decorso della malattia.

La malattia è una minaccia esistenziale, avrà conseguenze sul ruolo lavorativo, sociale e familiare e potrà provocare trasformazioni fisiche.

La reazione potrà costituire una crisi per il paziente costituita da quattro fasi:

-la fase di shock: immediatamente successiva alla diagnosi, vissuta in generale come una catastrofe. Il paziente mette in atto meccanismi di difesa quali la negazione che lo portano a dilazionare il confronto diretto con una realtà che non è pronto ad affrontare.

E’ importante in questa fase rispettare i tempi del paziente e non forzarlo ad affrontare la situazione e i suoi stati d’animo

La reazione del paziente dipende da diversi fattori:

Il coping è un processo che avviene in due fasi: la prima fase consiste nella valutazione e attribuzione di significato alla situazione stimolo; la fase esecutiva è centrata su comportamenti operativi adottati e manifestati dal soggetto.

I livelli di ansia, rabbia e depressione sono indici della reazione normale o, viceversa patologica del paziente alla malattia. Quando tali livelli sono elevati o non proporzionali agli stimoli, con manifestazioni ripetute o croniche e associati ad un funzionamento psicosociale , a relazioni interpersonali disturbate e ad una sofferenza soggettiva evidente è lecito diagnosticare l’emergere di una reazione patologica.

 

MORBILITA’ PSICHIATRICA IN ONCOLOGIA: ASPETTI EPIDEMIOLOGICI

Le situazioni avanzate di malattia sono spesso accompagnate da sintomi psichiatrici sui quali è opportuno effettuare una valutazione della natura organica al fine di ottenere una corretta diagnosi differenziale eprogettare i relativi trattamenti.

Nella fase immediatamente successiva alla diagnosi si registra una condizione di sofferenza psichica inquadrabile come disturbo psicopatologico con una prevalenza dei disturbi dello spettro depressivo.

La morbilità psichiatrica tende a ridursi in assenza di fattori di rischio, ma la necessità di terapie invalidanti e la recidiva di malattia comportano una ricomparsa di tali disturbi.

Nelle condizioni avanzate di malattia si possono registrare disturbi mentali su base organica.

I fattori di rischio per la morbilità psichiatrica nei pazienti neoplasici si dividono in tre gruppi:

Il paziente potrà manifestare sindromi da disadattamento in seguito all’evento diagnosi della patologia cancerosa che assume valenza stressante, più raramente sindrome post-traumatica da stress.

Di particolare interesse in ambito oncologico è l’emergere di sindromi fobiche e ansiose.E’ stato proposto l’inserimento, all’interno delle sindromi fobiche specifiche , del disturbo da nausea e vomito anticipatorio. Il cui meccanismo eziopatogenetico è basato su uno stato di condizionamento agli effetti collaterali indotti dalla chemioterapia. Prima della somministrazione della chemioterapia il paziente accusa gli effetti collaterali della stessa associati ad un marcato stato d’ansia. Tale disturbo è sotteso da un fenomeno di condizionamento psicofisiologico che si mantiene nel tempo e induce la comparsa del vomito al solo pensiero o rievocazione della chemioterapia.

Nel caso in cui il paziente neoplasico abbia subito mutilazioni o interventi che ne modificano l’aspetto esteriore non è raro il manifestarsi di fobie sociali

Correlate alla sindrome da disadattamento ansioso-depressivo sono le sindromi somatoformi caratterizzate da preoccupazioni ipocondriache in occorrenza di sintomi fisici e multiformi interpretati dal paziente come segnali di malattia fisica non obiettivamente riscontrabile.

Tra le sindromi affettive si possono riscontrare l’episodio depressivo e la sindrome depressiva ricorrente e persistente come la distimia. Sono queste situazioni in cui si registra dal punto di vista psicologico un abbassamento del tono dell’umore, del livello di autostima , idee di colpa e autoaggressività, disturbi del sonno , ansia e angoscia. Dal punto di vista biologico la situazione si complica in quanto sintomi quali la perdita di interessi e della capacità di provare piacere, il risveglio precoce al mattino, il peggioramento della depressione la mattino, il rallentamento o l’agitazione psicomotoria, la perdita dell’appetito, la perdita di peso, la marcata riduzione della libido possono essere imputate tanto alla sindrome depressiva quanto alla malattia cancerosa in sé.

A seconda del tipo di neoplasia, dello stadio e delle terapie effettuate possono insorgere disturbi psichici su base organica a causa di due ordini di fattori.

- fattori direttamente interessanti le strutture cerebrali, quali neoplasie primarie o metastasi cerebrali;

- fattori che indirettamente comportano disturbi del sistema nervoso centrale, quali i processi infettivi, i disturbi del metabolismo, dell’equilibrio idro-elettrolitico e della vascolarizzazione cerebrale quali chemioterapici, altri farmaci, l’immunoterapia,la radioterapia e le sindromi paraneoplasiche. Inoltre alcuni farmaci quali i chemioterapici e alcune sostanze tumorali in grado di agire a livello cerebrale comportano l’insorgenza di sintomi come l’abbassamento o l’espansine del tono dell’umore eziologicamente connessi alla sofferenza diretta delle strutture cerebrali.

Non sono rari nei pazienti neoplasici stati confusionali e delirium, a seguito di chemioterapici, o demenza con conseguente alterazione delle funzioni della memoria, calcolo, apprendimento, capacità critica, giudizio e linguaggio in assenza di alterazioni della coscienza.

Di particolare rilevanza sono i disturbi della sessualità, comprendenti disturbi del desiderio sessuale, disturbi dell’eccitamento sessuale, disturbi dell’orgasmo o disturbi da dolore sessuale.

La neoplasia può interferire con la risposta sessuale e con la capacità riproduttiva danneggiando l’apparato genitale o il suo controllo neurologico, vascolare o ormonale o ancora può determinare difficoltà o impossibilità alla conduzione della vita sessuale in modo indiretto, a causa del dolore, del malessere generale, dell’astenia, dell’immobilizzazione del desiderio sessuale.

Il disturbo sessuale può essere correlato ai disturbi d’ansia e depressivi .

La perdita dell’attrattività sessuale può essere legata alla modificazione fisica secondaria alla malattia, ad esempio a seguito di un intervento chirurgico demolitivo. Possono insorgere preoccupazioni relative allo svolgimento dell’attività sessuale, come la ripresa della malattia o la possibilità di contagio. Possono verificarsi cambiamenti degli atteggiamenti verso la sessualità, a causa della perdita della fertilità o della modifica delle priorità. A livello di coppia , problemi possono insorgere a seguito dei cambiamenti dei ruoli o della risposta emozionale e sessuale del partner verso la condizione del paziente.

 

LA VALUTAZIONE DEL PAZIENTE

La valutazione del paziente in psico-oncologia avviene su diversi fronti:

- la valutazione del supporto sociale: identifica l’insieme dei possibili sostegni, emotivo-affettivo, pratico-materiale, derivanti dai rapporti interpersonali. Tale variabile è importante nel modulare le risposte emozionali allo stress, nel favorire il mantenimento della salute psichica, e nell’adattamento alla malattia.

- la valutazione della reazione emozionale e dell’adattamento alla malattia: indaga la valutazione dell’evento-malattia, l’elaborazione del suo significato, la ristrutturazione cognitiva che il soggetto effettua di fronte alle richieste determinate dalla situazione (valutazione primaria), in base alle reali possibilità di risoluzione del problema (valutazione secondaria), in funzione del contesto nel quale il paziente si trova, delle proprie caratteristiche di personalità e del supporto ricevuto per il raggiungimento di tale obiettivo. Comprende la valutazione dello stile di coping del paziente.

- la valutazione delle funzioni cognitive: soprattutto nelle fasi avanzate della malattia o a causa di effetti collaterali dei farmaci sul sistema nervoso centrale è possibile incorrere in disturbi mentali caratterizzati da compromissione e alterazione delle funzioni cognitive (intelligenza, attenzione, memoria, linguaggio, abilità costruttive, calcolo e astrazione).

- la valutazione della sofferenza psichica: riguarda la valutazione della sintomatologia di sofferenza psicologica rappresentata dalla presenza di somatizzazioni, ossessività-compulsività, sensibilità interpersonale, depressione, ansia, ostilità, fobie, ideazione paranoide, psicoticismo, stress.

- la valutazione della qualità della qualità della vita.

Alcuni dei principali strumenti di misura in psico-oncologia descritti per aree di impiego.
Area  Nome N° item Impiego
Sintomi psicopatologici Hospital Anxiety Depression scale 14 +++
Symptom Check-List 90-R 90 ++
Brief Symptom Inventory 53 +
Profile of Mood States 58 ++
Funzioni cognitive Mini Mental State Examination 30 +++
Cognitive Capacity Screening Examination 30 0
Adattamento Mental Adjustment to Cancer Scale 40 ++
Psychosocial Adjustement to Illness Scale 46 ++
Illness Distress Scale 22 +
Supporto sociale Social Provision Scale 24 +
Social Support Questionnaire 27 +
Functional Social Support Questionnaire 8 +
Qualità della vita Quality of Life Index 6 +++
Scale analogiche visive variabile ++
Rotterdam Symptom Check List 38 ++
Functional Living Index for Cancer 22 +++
EORTC Quality of Life Questionnaire 30 ++

 

TRATTAMENTO PSICOLOGICO E PSICOTERAPEUTICO:

Per alcuni quadri psicopatologici (episodi depressivi maggiori, disturbi psico-organici o psicotici, gravi disturbi d’ansia) il trattamento con psicofarmaci costituisce la terapia di elezione. Per altre categorie diagnostiche (disturbi dell’adattamento, disturbi di personalità), caratterizzate da sintomi di ansia e depressione di entità più moderata, interventi psicologici specifici o integrati (psicoterapie e psicofarmaci) si sono rivelati efficaci e decisivi sia nel migliorare la qualità della vita e lo stato d’animo sia nel prevenire il rischio di complicanze psichiatriche più gravi.

I diversi modelli di intervento condividono alcune costanti terapeutiche, quali.

Tra gli interventi individuali è possibile attuare una distinzione tra interventi cognitivo-comportamentali e interventi ad orientamento psicodinamico.

Gli interventi cognitivo comportamentali utilizzano trattamenti specifici per combattere disturbi quali anoressia, insonnia, nausea e vomito, dolore direttamente o indirettamente connessi alla malattia cancerosa o dovuti agli effetti collaterali e anticipatori delle cure chemioterapiche.

Le terapie comportamentali hanno lo scopo di analizzare e modificare schemi, risposte disadattive o patologiche mediante opportuni metodi di intervento basati su decondizionamento e apprendimento. Tra esse ricordiamo la tecnica del biofeedback che permette al soggetto il controllo volontario di certe funzioni fisiologiche .

Terapie quali la tecnica del biofeedback, del rilassamento e dell’immaginazione guidata hanno dimostrato di riuscire a migliorare l’attività delle cellule natural killer e la reattività linfocitaria ai fitogeni e ad aumentare il numero di linfociti periferici circolanti.

Le terapie cognitiviste pongono in rilievo come aspettative, pensieri, credenze, e convinzioni siano decisive nel determinare o influenzare le modalità di reazione psicologiche e somatiche a determinate situazioni. Fattori legati alla valutazione cognitiva della diagnosi di cancro e del trattamento concomitante possono amplificare la sintomatologia e le convinzioni disadattive dovranno perciò essere ristrutturate.

La terapia psicologica adiuvante di Moorey e Greer, ad esempio, si focalizza su problemi specifici con l’obiettivo di ridurre l’ansia e la depressione e di migliorare l’adattamento mentale al cancro inducendo un positivo spirito combattivo, tramite l’individuazione di pensieri automatici negativi, l’insegnamento di nuove strategie di coping e la ristrutturazione cognitiva affiancate dall’utilizzo di tecniche più squisitamente comportamentali quali quelle di rilassamento , programmazione di attività ed esposizione a situazioni ansiogene e a compiti graduati.

La terapia immaginativa di Simonton , annoverabile tra le terapie cognitive, tenta di raggiungere i medesimi obiettivi affiancando all’uso delle tecniche di rilassamento la visualizzazione di immagini mentali (tipiche sono quelle suggestive e discusse di training in cui i soggetti vengono addestrati a visualizzare in modo vivido le proprie cellule immunitarie vincenti contro le cellule neoplasiche)

Le tecniche del problem solving possono poi essere impiegate per la risoluzione di problematiche specifiche quali dolore, nausea e vomito anticipatori, anoressia, insonnia.

Le tecniche di rilassamento e i programmi di modificazione cognitiva e di gestione delle contingenze possono apportare significativi miglioramenti al bisogno di sonno e di cibo, possono incrementare la qualità e la quantità di cibo e di sonno assunti.

Tra le terapie psico-dinamiche , quella di Leshan è dedicata in particolar modo alla fase avanzata della malattia, quando il paziente non ha più energie per lottare il terapeuta ha il compito di riconoscere l’impotenza curativa del suo trattamento e di focalizzarsi sulla possibilità di alleviare la sofferenza del malato , accompagnandolo verso un trapasso tranquillo, permettendogli di elaborare i vari lutti e le diverse separazioni che il paziente affronta anticipatamente nel profondo del suo animo essendo consapevole anticipatamente del destino infausto che di lì a poco lo attende.

Altri interventi terapeutici sono poi costituiti dai gruppi di mutuo aiuto che consentono un costruttivo confronto con chi condivide le proprie situazioni di vita.

 

PSICONEUROBIOOLOGIA DEL CANCRO

Il cancro e più in generale i tumori vengono concepiti oggi come una malattia genetica a livello cellulare, legati in parte a eventi mutazionali, in parte a componenti ereditarie. La scoperta degli oncogeni, dei protoncogeni, dei geni tumore-soppressore e l’identificazione del loro ruolo in alcuni primi tipi di neoplasie umane ha permesso di intravvedere i meccanismi della crescita neoplastica.

I protoncogeni sono geni, presenti nel genoma umano normale, localizzato nel nucleo delle clellule, che spesso svolgono funzione positiva di regolazione di processi di crescita, proliferazione e differenziazione cellulare

Gli oncogeni sono geni in grado di indurre o mantenere la trasformazione cellulare, codificano le oncoproteine e hanno proprietà tipiche delle crescita tumorale in quanto non sono in grado di arrestare questa proliferazione.

Secondo una teoria, vari tipi di agenti come radiazioni, cancerogeni chimici o alterazioni di cromosomi possono alterare un protoncogene in un oncogene; secondo altri orientamenti nel passaggio da protoncogene ad oncogene non si situerebbe una mutazione vera e propria ma un aumento dell’espressività del primo.

I geni tumori-soppressore sono gli anti-oncogeni con funzione di trattenere la crescita cellulare dell’organismo, se sono inattivati la cellula prolifera in modo abnorme e incontrollato.

E’ possibile ritenere che fattori psichici e stress siano in grado di influenzare insorgenza e decorso di alcune neoplasie attraverso tre tipi di meccanismi:

I fattori di rischio quindi per l’insorgenza di patologie cancerose possono essere individuati

- nelle cellule: i protoncogeni, normalmente presenti nel DNA sarebbero i progenitori degli oncogeni potenziali;

- L’ambiente: potenziale espositore a fattori cancerogeni;

- fattori psiconeurobiologici: psiche e comportamenti con mediazione diretta o attraverso svariati meccanismi biologici (neurali, neuroendocrini, immunitari) possono influenzare crescita e decorso del cancro.

* * * * *

LA FAMIGLIA

L’IMPATTO DELLA MALATTIA SULLA FAMIGLIA

E’ possibile considerare la famiglia come un "organismo"dotato di una propria omeostasi.Partendo da ciò possiamo considerare la neoplasia su un livello differente rispetto alla "semplice"malattia fisica del paziente;essa diventa infatti un motivo di rottura di legami e rapporti familiari prima stabili.

La reazione all’evento da parte della famiglia risulta essere parallela al decorso della malattia nel paziente distinguendosi in tre fasi:

- shock: fase di trauma e di angoscia ,incapacità momentanea di razionalizzare il problema

- negazione: rifiuto di quanto sta accadendo,disperazione e sentimenti di perdita verso il proprio caro

- accettazione: le difficoltà vengono affrontate e si aprono le porte a nuovi equilibri e nuove speranze .Quest’ultima fase è più marcata nel caso in cui il paziente si appresta alla guarigione;in caso di ricaduta invece,la famiglia ,si trova costretta ad affrontare nuovamente le fasi precedenti e ad elaborare la fase del lutto. L’adattamento alla malattia non è uno standard ,molti sono infatti i casi di disgregazione e dissoluzione familiare dovuti al cancro.

Possiamo analizzare l’impatto della malattia sul rapporto di coppia nel caso di neoplasia di uno dei membri;l’effetto sui figli nel caso di malattia di un genitore;gli effetti su genitori e fratelli nel caso di patologia dell’ètà infantile.

-Effetti sulla coppia:la neoplasia può produrre reazioni molteplici all’interno della coppia,queste vanno dalla capacità di affrontare la malattia e condividere la proprie esperienze fino alla negazione da parte di uno dei componenti della coppia.Ciò dipende dal rapporto precedente tra i due partner.E’ interessante notare come l’effetto della malattia vada fortemente ad intaccare la sfera sessuale.Il sostegno da parte del partner sano dipenderà inoltre dal sostegno offertogli dal malato in una vera e propria interazione circolare.

-Effetti sui figli:le reazioni figliali dipendono da diverse variabili; la situazione di lunga durata della malattia del genitore,lo scarso adattamento del genitore alla diagnosi e alla terapia,la povertà di informazioni che il figlio ha ricevuto,etc. Accanto a queste però,di maggiore importanza,è la fase di sviluppo psicologico del figlio,essa é in parte correlata all’età,alla personalità e al precedente rapporto con genitori.Da 3 a 10 anni i bambini solitamente hanno reazioni di depressione,separazione,ansia e sentimenti di colpa ritenendosi in parte causa della malattia;Da 10 a 13 anni frequenti sono sentimenti di autoresponsabilizzazioni per tamponare le insicurezze della famiglia e rabbia per la perdita del sostegno familiare;Da 13 a18 anni il desiderio di libertà crea sensi di colpa legati alla consapevolezza di dovervi rinunciare per sostenere la famiglia.In alcuni casi,la locazione del tumore funge come variabile nel rapporto genitori-figli nelle future esperienze dell’adolescente.

-effetti sulla famiglia(casi di neoplasia infantile):nei genitori si rilevano marcati stati d’ansia,depressione ,colpa e impotenza.E’ soprattutto la madre a dover gestire una dualità di sentimenti generata dall’idea dell’ineluttabilità della morte del figlio e dalla necessità di sostenerlo.

Anche i fratelli sani si trovano a dover gestire sentimenti ambivalenti verso il fratello malato e i genitori;gelosia e rabbia per il sentirsi escluso sussistono in lui insieme al senso di colpa per i sentimenti provati.

Diverse variabili influenzano le reazioni emotive della famiglia alla malattia di un figlio:modalità di comunicazione tra i membri,presenza di un disturbo psicologico in uno dei genitori e supporto sociale sono tra le più importanti.

L’osservazione delle reazioni di un nucleo familiare alla malattia non può prescindere dall’osservazione del rapporto tra i suoi membri e lo staff medico.Solo dopo questo potremmo addentrarci nell’osservazione più puntuale della famiglia stessa.In linea di massima si possono individuare diversi aspetti che si vanno ad intrecciare e creano in modo complesso la reazione del nucleo famigliare alla neoplasia.

-Stadio dello sviluppo della famiglia:la famiglia,come un individuo, "cresce"nel corso del tempo.Anche se mediamente un nucleo con maggiore "anzianità di servizio"è più solido,esso non è a riparo da problematiche interne dovute al dramma che sta vivendo,logicamente nuclei di diversa età avranno in tendenza reazioni differenti.

-Organizzazione familiare:le principali modalità di funzionamento familiare sono due ma racchiudono tra loro le più svariate alternative.

La prima modalità è l’ipercoinvolgimento,la famiglia tenderà in questo caso ad essere iperprotettiva e invadente nei confronti del malato e dello staff medico.La seconda modalità è il distacco che comporta scarsa partecipazione e disinteresse nei confronti del membro malato.La struttura familiare ottimale è nel mezzo di questi due tipi e presenta caratteristiche di coesione ed intimità,espressione aperta delle emozioni,mancanza di conflitti importanti etc.

-Storia familiare:ciascuna famiglia articola, nel corso della sua esperienza,convinzioni e modalità di risposta agli eventi,ciò determina la storia della famiglia stessa.La reazione della famiglia a precedenti eventi ad alto impatto emotivo e le possibili precedenti esperienze di perdita influenzano il modo di risposta del congiunto sano alla malattia.La situazione è più complicata se la storia familiare è costellata da perdite e lutti per cancro,poiché più difficile risulterà la gestione delle problematiche e dei cambiamenti legati alla malattia.Un ulteriore fattore favorente la comparsa di disturbi dell’adattamento alla neoplasia è la presenza di problemi psicopatologici individuali e/o familiari quali crisi,discordie nella coppia,modelli comunicativi patologici etc.

-Variabili culturali e supporto sociale:le variabili culturali(popolazione d’origine,costumi e tradizioni,religione)influenzano lo stile comunicativo all’interno della famiglia,l’adattamento al cancro,la relazione con lo staff e le istituzioni.Un importante variabile da considerare è il sesso del paziente che si ammala.Importanti ricerche hanno dimostrato che le donne tendono a richiedere aiuto soprattutto a livello emozionale,mentre gli uomini richiedono soprattutto supporto pratico e materiale.Tali dati si integrano con quelli emersi dagli studi sul supporto sociale,che hanno da tempo sottolineato come la possibilità di ricevere aiuto dalle relazioni interpersonali faciliti il superamento delle difficoltà collegate agli eventi stressanti.Il supporto che i familiari percepiscono dalle strutture oncologiche e dei servizi sanitari rappresenta una variabile importante,che implica una maggiore attenzione al significato affettivo,informativo e pratico che assume la relazione tra staff e famiglia.

Un altro punto importante dell’approccio centrato sulla famiglia è il periodo di alto impatto emotivo che va dalla fase terminale alla morte del paziente e alle fasi successive a questa.La fase antecedente la morte del congiunto è nota come lutto anticipatorio e tende a differenziarsi dalla fase di lutto propriamente detto.

-Lutto anticipatorio:nella malattia cancerosa la perdita è anticipata nel corso dell’aggravarsi e nella fase terminale della malattia.Durante tale periodo la famiglia presenta meccanismi difensivi molteplici che vanno dall’abbandono del paziente alla negazione della morte stessa.Importante risulta quindi ,in tale periodo,l’assistenza alla famiglia,essa permette una maggiore attenzione al lutto anticipatorio,favorendo l’uso di strategie di sostegno al nucleo familiare.

-Il lutto come processo fisiologico:il lutto è una reazione "fisiologica" e "normale"che evolve lentamente secondo un processo detto "lavoro del lutto" caratterizzato da alcune fasi nel corso delle quali si presentano sintomi emozionali,cognitivi,comportamentali e somatici.

1-Fase di torpore o di stordimento:anche se la morte è stata anticipata,il soggetto,prova incredulità e disorientamento mista ad angoscia che spinge a negare la realtà dell’evento;

2-Fase dello struggimento:il soggetto proietta le sua rabbia verso l’esterno(sui medici,sul destino crudele etc.)

3-Fase della disperazione:data dalla consapevolezza della perdita e della comparsa di sentimenti di tristezza,dolore,inutilità,chiusura in sé,sovrapponibili a quelli di uno stato depressivo reattivo

4-Fase dell’accettazione e della riorganizzazione:il soggetto riprende gradualmente contatto con la propria esistenza e investe sul futuro ricostruendo un’immagine interiore non più solo dolorosa del proprio caro. L’intero processo dura, di solito ,tra gli otto e i dodici mesi.

Il periodo del lutto può però assumere caratteristiche patologiche sia nel senso della durata(superiore all’anno)che delle manifestazioni; si parla perciò di lutto patologico o complicato.

Si evidenziano sintomi di tipo somatico con aspetti cronici(cefalea,disturbi gastro-intestinali,dolori fisici),preoccupazione intensa con sintomi dispercettivi,assunzione di atteggiamenti e comportamenti tipici del congiunto,reazioni di rabbia sproporzionata.Tali complicanze possono assumere i quadri di una vera e propria malattia,somatica o psichica.Tra i disturbi psichici il più frequente è la depressione maggiore,tra i disturbi somatici,si evidenziano soprattutto malattie cerebro e cardiovascolari e malattie infettive.

Un ultimo aspetto importante è la reazione al lutto da parte dei bambini;questi vivono gli eventi che stanno accadendo,dando ad essi dei propri personali significati e reagendovi di conseguenza. I bambini possono iniziare a presentare disturbi del comportamento,problemi di rendimento scolastico,fobie e stati d’ansia che spesso vengono mal interpretati e che invece sono modi di reagire alla perdita.Inoltre se un bambino perde un genitore questo può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi psicologici in età adulta,in particolare,la depressione. Un intervento di prevenzione a questo livello è dunque auspicabile.

 

INTRVENTI PER LA FAMIGLIA

Le strutture sanitarie pongono spesso poca attenzione alla famiglia del paziente spesso vista come di ostacolo al trattamento.Il familiare spesso non si rassegna al fatto di doversi tenere in disparte lasciando che sia la struttura a prendersi carico del paziente.Inoltre è comune la tendenza ad agire diversamente ,a livello comunicativo,nella relazione tra operatore e familiare e tra operatore e paziente. E’ comune che l’operatore tenda a dare informazioni chiare al familiare,raccomandandosi di non farne più di tanto menzione al paziente.Lo stesso incontro con il familiare avviene a volte,in maniera segreta,quasi a definire un campo neutro.Il paziente,in questo modo,può fraintendere i messaggi che riceve,può sentirsi ingannato,incompreso,può constatare che il proprio grado di controllo degli eventi è molto scarso.

Nelle fasi terminali della malattia,durante l’attacco terapeutico,la famiglia assume poi ulteriormente un ruolo marginale dal momento che deve limitarsi ad attendere l’evento finale senza poter far nulla.In queste circostanze,il momento del fallimento delle cure e della comunicazione di ciò alla famiglia diventano estremamente difficoltosi.Si cerca perciò di considerare l’opportunità di un maggior coinvolgimento dei familiari non solo nelle fasi di comunicazione diagnostica,ma anche della pianificazione delle cure e dell’eventuale fallimento di queste.Il riavvicinamento alla famiglia dovrebbe essere basato sui seguenti aspetti:

-Sul presupposto che la famiglia rappresenta un potente strumento "terapeutico"che può agire tanto più efficacemente quanto più è aiutata a superare le difficoltà.

-Sul fatto che in caso di prognosi negativa e di morte del paziente il resto della famiglia non può

essere abbandonata a sé.

Tre sono le regole da seguire per agire sul sistema paziente-famiglia.

- Istituzione di un sistema terapeutico multidisciplinare caratterizzato dalla collaborazione attiva fra le diverse figure professionali e dall’integrazione fra le competenze.Tale sistema dovrà interagire con quello paziente-famiglia.

- Necessità di una buona conoscenza delle variabili "critiche"chiamate in causa nella reazione emozionale della famiglia al cancro e sulla quale si costruisce un profilo di adattamento o disadattamento al cancro.

- Identificazione di una figura significativa del sistema familiare o extra-familiare sulla quale agire per l’attivazione delle funzioni di supporto.

Se la famiglia può confrontarsi con più esperti(oncologo,infermieri,chirurgi)può aumentare la sensazione dei familiari di un sistema a rete che protegge e sostiene.Benché il lavoro in equipe sia più faticoso i vantaggi che derivano dall’integrazione dei compiti,dallo scambio di informazioni,dall’appoggio che ciascun membro può dare all’altro, rappresenta un punto fermo dell’attività clinica.

Per stabilire i punti forti e quelli deboli del sistema familiare è necessario porsi come osservatori esterni e farsi alcune domande a cui è opportuno rispondere.

E’ importante identificare una figura chiave all’interno della famiglia, questa sarà la più rappresentativa ,quella che "intermedierà"l’approccio terapeutico.Possiamo individuare delle tecniche di intervento per i familiari suddividendole secondo il criterio delle modalità tecniche:

- Interventi informativi ed educazionali per i familiari: è necessario definire in maniera chiara i modi di comunicare con l’intera famiglia ;questo deve avvenire a partire dal personale ospedaliero che deve

1-Informare chiaramente sulle regole del reparto

2-Identificare figure a cui ci si possa rivolger per domande e chiarimenti

3-Coinvolgere la famiglia nella cura del paziente

4-Essere realista differenziando desideri e speranze

- Interventi di counselling e sul lutto per i familiari:il decorso della malattia fino alla morte del paziente concede agli operatori tempo per una maggiore pianificazione degli interventi sulla famiglia ,cosa fondamentale nel trattamento del lutto.Se il dialogo con la famiglia è importante nella malattia lo è ancora di più nella fase del lutto,questo a partire dal momento della "notizia",che deve essere data secondo canoni e criteri che rispettino l’importanza della perdita. William Worden ,che si è interessato del tema del lutto ,ha elencato dieci principi di counselling familiare:

1-Aiutare i familiari a realizzare la perdita

2-Aiutare i familiari ad identificare i sentimenti e ad esprimerli

3-Aiutare a vivere senza il congiunto

4-Aiutare i familiari a evitare la chiusura in sé

5-Dare tempo al tempo

6-Interpretare i comportamenti del familiare come normali reazione

7-Far comprendere che ciascuno reagisce a modo proprio

8-Supportare in maniera continuativa

9-Valutare i meccanismi difensivi dei familiari

10-Identificare eventuali problemi e disturbi del processo di lutto

- Interventi psicoterapeutici in senso stretto: di vario tipo a seconda dei soggetti e delle problematiche su cui intervenire:

1-Terapia di coppia:in alcuni casi la sofferenza psicologica del coniuge sano oltre a quella del malato suggeriscono l’intervento psicologico;in molti casi le difficoltà sono di natura sessuale,lo psicologo deve intervenire tenendo conto dei problemi preesistenti nella coppia ,della locazione del tumore e dell’entità della difficoltà.

2-Terapia di gruppo:è stato dimostrato come il trattamento in gruppo delle problematiche della coppia(casi di volontariato e gruppi di auto-aiuto)sia di beneficio per la risoluzione delle stesse grazie al confronto con altre persone afflitte da problemi simili e al reciproco sostegno.

Un altro tipo di terapia di gruppo è quella tra familiari che ,confrontando situazioni e sentimenti simili,riescono a elaborare meglio il senso di colpa,la frustrazione etc. Ciò risulta molto utile nel trattamento di famiglie di bambini leucemici.

3-Terapia della famiglia:si rende necessaria in caso di marcate disfunzioni intrafamiliari. Vista la difficoltà del caso è richiesta la presenza e l’azione di uno psicologo formato che abbia già avuto esperienze passate con famiglie con un membro malato di cancro.

4-Terapia del lutto complicato:si rende necessaria in situazioni in cui il lutto assuma caratteristiche patologiche.Gli interventi ,a questo livello,sono vari e l’obiettivo primario è la risoluzione del conflitto di separazione favorendo il completamento del processo del lutto.Sono state messe a punto varie strategie ,in alcune lo psicologo stimola il paziente a pensare la perdita subita ,a ricordare e a esprimer i propri sentimenti e ad accettare gradualmente la scomparsa(Clerman ,Warden).In altre lo psicologo si pone invece in un ascolto partecipe ma neutrale focalizzando l’attenzione e l’interpretazione sulla separazione e sulle conseguenti reazioni emotive (Mangini e Pavan).

* * * * *

LO STAFF

I PROBLEMI PSICOLOGICI DELLO STAFF

Il confronto con il tema della morte è un’esperienza centrale per chi lavora in oncologia, e questo, unito alle tematiche cui si farà cenno dopo, contribuisce a far sì che medici e infermieri che operano in questo campo siano soggetti "a rischio" di una particolare forma di stress lavorativo tipica delle cosiddette professioni di aiuto, definita burn out (letteralmente "sentirsi bruciati"). Quest’ultima costituisce l’ultima fase di un processo difensivo reattivo a condizioni di lavoro stressanti, caratterizzata da uno stato di esaurimento fisico ed emotivo, un senso di ridotta realizzazione personale, ridotta produttività nel lavoro e un deterioramento nelle relazioni con i pazienti.

 

I FATTORI ASPECIFICI DI STRESS LAVORATIVO IN ONCOLOGIA

Aspettative nei confronti del lavoro

Una prima fonte di stress è stata individuata nel significato personale attribuito al lavoro . Quest’ultimo assume un valore particolare nella misura in cui soddisfa bisogni, consci e inconsci, e risponde a certe motivazioni come la competenza, l’esercizio del potere, la stima dei superiori.

Situazioni in cui il lavoro è percepito come la fonte principale di relazioni interpersonali e con aspettative eccessive e irrealistiche, connotate talvolta da una vena di onnipotenza, dopo un’iniziale fase di entusiasmo, portano a sperimentare un pesante senso di frustrazione per la caduta dell’autostima legata al mancato raggiungimento di mete fortemente idealizzate.

Tipo di personalità

Vari autori hanno identificato tipi di personalità a rischio di stress lavorativo.

Più vulnerabili al burn-out sarebbero per esempio soggetti con pattern comportamentale di tipo A, caratterizzato da ambizione, aggressività, competitività, stile interattivo di tipo antagonistico, e con difese psicologiche inadeguate, quali tendenza all’impulsività, bassa autostima.

Più in generale, maggiormente predisposti al burn-out sarebbero 5 tipi di individui(Freudenberger):

1 i consacrati al lavoro

2 i superimpegnati che usano il lavoro come sostituto della vita sociale

3 le personalità autoritarie

4 chi considera se stesso come indispensabile

5 chi si iperidentifica con i pazienti

L’Università di Chicago ha messo a punto una scala (scala di Hardiness di Kobasa)in grado di valutare la disposizione all’impegno, la tendenza al controllo e la disposizione alla sfida, tratti caratteristici di queste 5 tipologie di personalità.

Fattori culturali

Le aspettative eccessive verso il lavoro, di cui abbiamo appena parlato, hanno certamente radici nella nostra cultura, quella occidentale, così fortemente improntata alla competitività, al successo, e assai individualistica e meritocratica.

Proprio la motivazione al successo, l’essere il "numero uno", per chi lavora con malati gravi, dove il lavoro di equipe è fondamentale, costituisce un elemento di frustrazione e tensione che potrebbe predisporre al burn-out.

Gravità della patologia

E’ stato dimostrato, in studi recenti, che la gravità della malattia è un fattore significativo nello sviluppo del burn-out nell’equipe curante. In particolare, situazioni "difficili" sarebbero: l’elevata mortalità e morbilità dei pazienti; l’alta frequenza di decisioni "di vita o di morte"; cure terminali; l’infliggere dolore come parte del trattamento

Percezione della competenza e dell’efficacia verso il lavoro

Secondo alcuni la motivazione all’efficacia sarebbe una peculiarità degli esseri umani, che, secondo questa prospettiva, sentirebbero la necessità di percepire la propria competenza nell’agire sull’ambiente e di verificare che il proprio operato sia efficace nel produrre i cambiamenti desiderati sui pazienti.

Secondo i modelli che si basano sulla motivazione all’efficacia è importante porre attenzione su alcuni aspetti che potrebbero costituire fattori di insoddisfazione e di rischio nello sviluppo del burn-out:

1 assenza di feed-back significativi, per esempio assenza di procedure standardizzate per la valutazione degli effetti di una certa strategia terapeutica, o assenza di riunioni periodiche di supervisione per la discussione sul lavoro di reparto;

2 sottovalutazione del contrasto tra i propri criteri di competenza ed efficacia e quelli della struttura in cui si lavora, ad esmpio organizzazioni eccessivamente burocratizzate dove i salari sono appiattiti, le risorse economiche scarse e in cui quello che conta sembra essere in numero di ore di lavoro settimanali.

3 assenza di risorse adeguate disponibili nella struttura in cui si lavora, come mancanza di fondi, personale in organico insufficiente.

3 obiettivi mal definiti

Aspetti relativi all’organizzazione definitiva

Istituzioni lavorative fortemente burocratizzate, sovraccarico di lavoro rispetto al tempo, ruoli e mansioni non chiaramente definiti, turni lavorativi irregolari e imprevedibili, mancanza di supporto all’interno del proprio gruppo di lavoro possono determinare disinvestimento emotivo e ritiro da relazioni con pazienti e colleghi.

 

I FATTORI SPECIFICI DI STRESS IN ONCOLOGIA

Gli aspetti positivi che sostengono la motivazione al lavoro si scontrano continuamente contro una serie di fattori che talvolta possono essere così stressanti da portare a disturbi seri nel rendimento lavorativo e nella vita personale:

L’adattamento normale del personale alla malattia dei pazienti

E’ stato riconosciuto e descritto un processo di adattamento che caratterizza chi comincia ad occuparsi di malati di cancro.

La prima fase è costituita inizialmente da sintomi acuti di tristezza e ansia che si attenuano dopo i primi sei mesi di pratica. Successivamente un controllo razionale aiuta ad ignorare miti e superstizioni sul cancro e le conoscenze e le abilità tecniche consentono di fronteggiare la pressione emotiva ed organizzativa del lavoro.

La seconda fase riguarda un "adattamento emozionale profondo" che si svolge in tempi più lunghi e concerne il patteggiamento con il problema della malattia grave e della morte.

Il cancro, infatti, espone il personale curante all’impatto con l’ineludibile tema della propria mortalità. Alcuni cercano di negarlo a costi psichici piuttosto alti, altri non si sottraggono al confronto con paure e dubbi esistenziali sul senso del proprio lavoro. Questi sentimenti sono normali ma è comunque importante riconoscere che si sta attraversando il travaglio di una revisione interiore.

Caratteristiche della malattia e del trattamento

Il cancro è estremamente diffuso. L’insorgenza è imprevedibile, ognuno di noi oggi è sano ma domani potrebbe diventare egli stesso un paziente. Lo staff medico non è esente da questi timori ovviamente.

Altra caratteristica ansiogena della malattia è l’incertezza della prognosi: più lungo è il corso della malattia con una scarsa risposta alle terapie, maggiore è lo stress e il sentimento di impotenza di chi cura il paziente.

Il trattamento, chemioterapico, radiante o chirurgico ha effetti collaterali pesanti quali nausea, vomito, dolore acuto, sterilità e altri che non lasciano indifferente chi li somministra.

Un altro aspetto è la posizione di marcata dipendenza del paziente, la cui entità muta a seconda di vari fattori, tra cui per esempio .il supporto della famiglia.

La crescita e la diffusione del tumore si può accompagnare ad alterazioni della personalità e ad un deterioramento fisico. E’ particolarmente penoso per il medico confrontarsi con le trasformazioni e il deterioramento fisico di chi si è conosciuto quando la malattia non aveva ancora intaccato la sua integrità.

Impossibilità di ritirarsi dalla relazione

I curanti non possono eludere la richiesta di interazione dei pazienti, che diventa pressante nei momenti critici della malattia: ad essi la modalità difensiva di ritirarsi da una relazione carica di contenuti ansiogeni non è concessa.

La malattia del paziente rievoca esperienze personali

Sentimenti di lutto, impotenza e colpa sperimentate in passato per una malattia propria o di un proprio caro possono riesacerbare e rendere più stressante il lavoro clinico.

La rabbia e la colpa

Nonostante oggi si facciano "miracoli" per alcune forme tumorali, il decorso di alcune malattie può essere molto frustrante per pazienti e medici.

La rabbia è una risposta frequente quando un paziente si presenta troppo tardi per il trattamento, quando rifiuta di curarsi o peggiora improvvisamente. Sono sentimenti comprensibili in questi casi ma irrazionali perché esistono situazioni cui è impossibile far fronte.

Mancanza di preparazione per fornire una cura globale

I corsi di laurea e specializzazione sono centrati sugli aspetti tecnici della cura di malattie, ma nella pratica clinica il medico cura persone ammalate.

Comunicare una diagnosi di cancro, aiutare i familiari ad essere un supporto per il malato richiedono al medico e agli infermieri una conoscenza generale delle dinamiche psicologiche ed una capacità di gestire relazioni cui non sono sempre preparati.

Meccanismi di difesa nei confronti dell’identificazione con il paziente

Oggetto di curiosità per alcuni studiosi è stata la motivazione della scelta di diventare medico, e così un’angoscia di morte inconscia o fortemente negata, la tendenza a costruire un’immagine di sé onnipotente e la presenza di tratti ossessivi che favoriscono atteggiamenti di ipercoscenziosità sarebbero i tratti caratteristici di chi sceglie la professione medica.

Comportamenti quali risposte evasive alla richiesta di dialogo da parte del paziente, bugie palesi sulla diagnosi, freddezza e cinismo nella relazione possono essere manifestazioni del desiderio di difendersi dal rischio di una immedesimazione con il paziente che non si è in grado di elaborare.

Reazioni difensive eccessive, quindi, possono creare ostacoli nella relazione medico-paziente e sarebbe pertanto opportuno che egli ne fosse consapevole per riconoscerle e gestirle adeguatamente.

 

IL BURN-OUT NELLA PRATICA DELL’ONCOLOGIA: DIFFUSIONE DEL FENOMENO E STRUMENTI DI MISURAZIONE

Il burn-out è un processo complesso che si presenta sotto forma di una vera e propria sindrome con sintomi fisici e psichici.

Sintomi fisici, i principali:

Sintomi psichici:

Le ricerche in questo campo si avvalgono di diverse modalità di misura, quali per esempio il Burn-out Assessment, che permette di valutare sia le dimensioni principali della sindrome (esaurimento emotivo, spersonalizzazione, ridotta realizzazione) che la fase di sviluppo in cui il soggetto si trova.

Per quanto riguarda la diffusione del fenomeno, questionari di vario tipo hanno evidenziato come, tra i medici e gli infermieri che si occupano di oncologia, circa il 50% pensa che il burn-out sia inerente alla pratica stessa dell’oncologia, e una percentuale tra il 56% e il 62% trova estremamente stressante lavorare in questo campo e riferisce di sperimentare una quota di burn-out nella propria vita professionale. Va poi sottolineato come i soggetti più giovani riferiscano di sentirsi maggiormente colpiti dal problema della morte, esprimendo nel complesso una maggiore difficoltà nel gestire il contatto con il paziente.

Quest’ultimo dato, evidenziando la correlazione tra alti livelli di stress e giovane età dei medici, fa pensare al fatto che esperienza, competenza tecnica ed età siano alcuni dei fattori che permettono fisiologicamente di trovare col tempo la giusta distanza da questi stressor.

Tutto ciò sottolinea la necessità di riconsiderare seriamente il problema della formazione post-laurea dei medici e la creazione di strumenti di supporto per il personale medico più giovane.

 

INTERVENTI PER LO STAFF E TRAINING PER IL PERSONALE

Grandi passi sono stati fatti dal 1965, quando la psichiatra Kubler-Ross cercò di organizzare il primo seminario rivolto a medici sulla morte e sull’esperienza del morire, che parve allora una richiesta "sconcertante". Oggi invece è ampiamente riconosciuto il bisogno di training specifici e di conoscenze psicologiche di base per chi lavora con pazienti malati di cancro, e vari autori hanno sottolineato come la mancanza di una formazione psicologica adeguata possa indurre a reazioni difensive nell’impatto con il malato.

I principali interventi per lo staff che lavora in ambito oncologico sono:

 

Possibili criteri di selezione del personale in oncologia

Procedura utilizzata in altri settori, non è generalmente prevista nel campo della sanità per molteplici cause (politiche, amministrative, tecniche…), e anche per questo esistono pochi studi che suggeriscano linee-guida da seguire per selezionare gli operatori più adatti.

I possibili criteri potrebbero essere più o meno:

Training formativi in psico-oncologia

Questo problema, a lungo sottovalutato, è oggi affrontato anche nel nostro Paese.

Indagini recenti hanno evidenziato che le domande più frequenti di formazione attuate dal personale curante riguardano una richiesta di aiuto personale per sé e di aiuto per rapportarsi con il paziente nei momenti critici della comunicazione della diagnosi e della fase terminale. Questi training , va sottolineato, non hanno l’obiettivo di far diventare psicologi gli oncologi o gli infermieri ma di fornire loro un aiuto concreto, da cui anche il paziente trarrà benefici.

I corsi di formazione in oncologia durano al lungo, da sei mesi a due anni, e prevedono parti teorico-didattiche (lezioni, convegni) ed altre pratico-esperenziali (tirocinio, simulate videoregistrate).

Il primo e più autorevole training in psico-oncologia fu avviato presso il Memorial Sloan-Kettering Cancer Centre di New York nel 1977. In Italia, invece, le esperienze di questo tipo sono ancora poco diffuse, e mirano a fornire conoscenze di base mediche, psicologiche e psichiatriche relative alle patologie tumorali, integrando in tal modo aspetti non sufficientemente trattati nei rispettivi corsi universitari. L’osservazione nei reparti ospedalieri, infatti, offre a psicologi e psichiatri la possibilità di un’esperienza diversa della realtà della malattia, delle cure e dell’ambiente stesso di cui i paziente parlano come oggetto di angoscia, disperazione, rabbia o speranza. I gruppi di discussione, poi, sono un’occasione di riflessione e lavoro comune.

Dunque, gli specifici interventi per medici e infermieri ospedalieri si possono così sintetizzare:

Seminari per specializzandi in oncologia

Agli inizi degli anni ’70 presso il National Cancer Institute of Bethesda iniziò una serie di seminari per giovani oncologi in formazione, centrati sugli aspetti della relazione medico-paziente e sulle difficoltà e i problemi cui poteva andare incontro il primo.

L’esperienza, che continuò per molti anni, è interessante per l’uso di testi di letteratura, di psicologia dinamica, di filosofia esistenziale come strumenti di riflessione. Ogni partecipante, a turno, presenta una relazione su una delle indicazioni bibliografiche in elenco, sulle cui applicazioni pratiche si discuterà in un secondo momento. Il formato seminariale (circa dieci partecipanti) è stato preferito in base alla convinzione che i medici raramente discutono i propri sentimenti relativi ai pazienti in presenza di non medici e tollerano male certe situazioni, come alcuni tipi di gruppo, in cui si sentono trattati più da "pazienti" che da discenti. I partecipanti, al termine del ciclo seminariale (cinque mesi) sapranno affrontare con maggior capacità il rapporto con pazienti in fase avanzata e terminale di malattia, anche grazie a una migliore conoscenza dei possibili meccanismi di difesa e di quanto sia arido negare l’aspetto emozionale della malattia.

Workshop per migliorare la comunicazione con i pazienti

E’ stato dimostrato come medici ed infermieri utilizzino sistematicamente una serie di "tattiche" per distanziare se stessi dalla sofferenza emozionale dei pazienti al fine di preservare il proprio sé, già sotto pressione, da un ulteriore carico che non sarebbero in grado di gestire. Molti temono, infatti, che entrare nel merito delle reazioni psicologiche possa creare più problemi che benefici e scatenare emozioni incontrollabili.

E’ importante tuttavia considerare che per riconoscere il disagio psichico è necessario stabilire un dialogo con il paziente che non ponga barriere ad una comunicazione efficace; è stato osservato, a proposito, che solo una minoranza di pazienti parla spontaneamente al medico delle proprie preoccupazioni.

Più nello specifico, l’agenda di ogni workshop è costituita dagli otto problemi ritenuti più difficili da gestire in base al giudizio espresso dai partecipanti secondo un punteggio di problematicità.

Gruppi di supporto per il personale

Una semplice e chiara definizione di questi gruppi è stata data da Lederberg: si tratta di "…membri dello staff che si raggruppano per discutere su argomenti inerenti al lavoro con un conduttore che incoraggia la discussione".

Concepiti per aiutare e gestire ambienti di lavoro altamente stressanti come unità di terapia intensiva o reparti per malati di AIDS, si sono rivelati utili per chi lavora in oncologia e deve fronteggiare il peso di continui temi di perdita, deterioramento fisico, dolore, morte.

Gli obiettivi generali riguardano la possibilità di migliorare la comunicazione sui problemi di lavoro e la loro gestione, aumentare l’autostima, ridurre le tensioni emozionali non necessarie, in particolare, per quanto concerne i fattori organizzativi:

I fattori individuali per prevenire il burn-out:

 

CONCLUSIONI

Nel nostro Paese purtroppo alcuni problemi di fondo, relativi sia all’organizzazione generale del sistema sanitario che alle caratteristiche specifiche della figura dell’oncologo e dello psicologo, sono tali da rendere estremamente difficile la realizzazione di tali programmi per lo staff.

Capita ancora spesso di sentire medici che consigliano ai propri pazienti di non recarsi dallo psicologo perché sarebbe inutile, e d’altro canto, alcuni atteggiamenti improntati ad un eccesso di psicologismo da parte degli psicologi non hanno fatto altro che accentuare nei medici perplessità e diffidenze su una eventuale collaborazione.

Quello che sarebbe auspicabile, dunque, oltre che arricchente per sé e per il paziente, è un’integrazione tra i due ruoli, chissà…

BIBLIOGRAFIA

- La Mente e il Cancro. Insidie e risorse della psiche nelle patolologie tumorali. Massimo Biondi, Anna Costantino, Luigi Grassi 1995-Il pensiero scientifico editore. 

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© 2001 Silvio A. Merciai