Silvio A. Merciai

Sono psichiatra e psicoanalista
membro dell'I.P.A.e della S.P.I.



Silvio A. Merciai
Penso che la vitalità della psicoanalisi si alimenti della sua capacità di essere in dialogo con le discipline contermini,
in particolare le neuroscienze e la ciberpsicologia,
ed a questo tema ho dedicato molti anni della mia attività di ricerca,
in collaborazione con Beatrice Cannella, compagna di studi e di vita.
Ne ho parlato nel corso dell'intervista rilasciata ad Amedeo Falci
che è pubblicata sul sito della SPI
ed è disponibile anche qui
e della quale riprenderò qui alcune parti


La psicoanalisi in dialogo
Non so se la psicoanalisi sia in grado di mettere dialetticamente a confronto i suoi paradigmi, modelli e quadri teorici con gli apporti di campi disciplinari esterni ad essa - come mi chiedeva Amedeo - ma certo in tutti questi anni di studio mi sono convinto che avesse ragione Eric Kandel quando diceva, già venticinque anni fa, che questa apertura al dialogo è indispensabile se vogliamo che la psicoanalisi mantenga la sua vitalità.

Più che la filosofia e le discipline umanistiche, da sempre più consentanee alla formazione psicologica, occorre, a mio avviso, che la psicoanalisi si avventuri – più di quanto abbia fin qui fatto – per i sentieri affascinanti delle neuroscienze, da un lato, e dell’informatica, dall’altro, lasciandosene contaminare senza troppa paura di perdersi.

Le suggestioni di questi anni di frequentazione dei testi di neurobiologia sono state molteplici e per me appassionanti.
Penso alle teorie computazionali del codice predittivo ed all’elaborazione assai complessa che ne ha fatto Friston, ma soprattutto alle prospettive aperte delle cosiddette neuroscienze cognitive: affective neuroscience – lo studio sperimentale degli affetti e delle emozioni, della motivazione e del piacere – e social neuroscience – i meccanismi del nostro essere essenzialmente relazionali, dal ben noto fenomeno del mirroring alle teorie sulla sincronizzazione proposte dalle neuroscienze dell’affiliazione di Ruth Feldman.
Ma penso anche alle conquiste della biologia della mente: l’epigenetica (i lavori sulla trasmissione intergenerazionale del trauma, come quelli di Galit Atlas, e più in generale tutta la letteratura sul trauma, a partire dalle suggestioni del lavoro di Bessel Van der Kolk) e le conoscenze in ambito di microbioma, che stanno aprendo importanti prospettive nel campo della fisiopatologia e della possibile terapia di alcune forme di depressione; e penso anche alla recente frontiera degli studi sulla possibile integrazione nel lavoro psicoterapico delle sostanze psichedeliche.

E poi c’è tutto il dominio della rivoluzione informatica, che spesso pare lontana o astrusa ma tale, a mio parere, non è.
Penso, per esempio, al tema della psicoterapia online che non nasce con le emergenze della recente pandemia (i primi studi negli Stati Uniti erano degli anni ’50 del secolo scorso; in Italia Paolo Migone, Roberto Goisis ed io stesso ne scrivemmo già alla fine degli anni ‘90) ma che è rimasta per decenni nell’ambito del non-detto e del non-scritto (la terribile paura dell’anatema del questo non è psicoanalisi!) e tale, temo, sembra ora destinata a rientrare, scampato il pericolo.

Eppure da tempo autori come Todd Essig avevano cercato di introdurre nel mondo psicoanalitico i temi della rivoluzione informatica e delle possibilità aperte dallo sviluppo delle telecomunicazioni (fui attivo fruitore della sua The Psychoanalytic Connection che fu vivace e fiorente dal 1993 al 2009) ed ora ci stanno spronando ad essere parte attiva (engaged participation, Psychoanalytic AI Activism) dell’adozione critica degli strumenti dell’intelligenza artificiale e delle loro ricadute in generale sulla nostra cultura: il progressivo sostituirsi del texting all’incontro diretto o allo scambio vocale, il nostro progredire da sonnambuli verso la dimensione dell’intimità artificiale in un mondo in cui la finta empatia (pretend empathy nella fortunata espressione coniata da Sherry Turkle) e la perdita di fiducia e privatezza stanno re-ingegnerizzando le relazioni interpersonali e l’esperienza del sé.
La psicoanalisi deve dunque impegnarsi (Essig dirige il Council on Artificial Intelligence, che opera all’interno dell’APSaA) per riaffermare i suoi valori e i suoi principi nel lavoro clinico costruendo nuovi strumenti teorici per leggere e comprendere la multiforme realtà delle possibili relazioni interpersonali che viviamo oggi (di persona; tramite uno schermo con un’altra persona; con l’intelligenza artificiale di un chatbot o di un robot: e che siamo portati ad antropomorfizzare tutte, come ben sappiamo fin dai tempi di Eliza) e per contrapporci, quanto meno, alla migrazione della psicoterapia verso il mondo delle app (sedicenti psicoterapeuti, coaches come Wysa, semplici compagni virtuali com Replika) gestite da algoritmi opachi e non controllabili (che, peraltro, sembrano funzionare…: si veda per esempio, tra le più recenti, l’RCT su Therabot per i disturbi d’ansia e la depressione).

Ecco, questo mi sembra oggi il punto nodale, quello dell’inserimento di questi contenuti nei nostri itinerari formativi, dalle aule universitarie ai percorsi nell’ambito della SPI: siamo sempre molto concentrati sulla dimensione storica del sapere, le nostre origini (importanti, certamente), ma poco su quella pragmatica rivolta al futuro.
Abbiamo tutti una spolveratina di neuroni specchio o di trattamenti psicoterapeutici a distanza o di prompting degli LLMs, e talvolta ne scriviamo: ma poi in pratica, mi sembra, ne facciamo scarsa integrazione o dialettica con i nostri tradizionali costrutti mentali, che ne dovrebbero almeno in parte essere rimessi in questione.

Neuroscienze e psicoanalisi
Inizialmente proposto da Eric Kandel come nuova prospettiva per la psichiatria del nuovo millennio e sostenuto in Italia, tra gli altri, da Mauro Mancia, il dialogo tra neuroscienze e psicoanalisi è diventato in questi ultimi anni una delle frontiere più battute, a livello internazionale, della ricerca interdisciplinare in ambito psicologico; la conseguente possibilità di abbandonare il riferimento d'obbligo alla metapsicologia e di orientarsi invece verso la biologia della mente costituisce la sfida da vincere per riportare la psicoanalisi nell'ambito delle terapie scientificamente verificabili e sostenibili.

Le affascinanti e suggestive scoperte neuroscientifiche in vari ambiti tematici apparentemente cruciali alla nostra elaborazione teorica - l'emozione, il processo decisionale, l'inconscio, la relazione interpersonale e l'intersoggettività, l'amore, la motivazione, il piacere, la scelta e il controllo del comportamento, etc. - attendono perciò ancora in gran parte di essere rielaborate in teorie complessive che riformulino in termini contemporanei e scientificamente accettabili la ricchezza delle intuizioni di più di cent'anni di psicoanalisi.

Il mio incontro (meglio, il mio ritorno) con le neuroscienze fu abbastanza casuale: cercando testi per prepararmi a tenere il corso di psicosomatica alla Facoltà di Psicologia a Torino (la materia mi era stata assegnata, non era una mia scelta specifica), mi imbattei nel testo da poco pubblicato di Antonio Damasio The Feeling of What Happens (2000). Fu, ricordo, un momento emozionante, perché da una parte mi parve di poter dare spazio alle intuizioni di Bion (l'autore di riferimento della mia formazione psicoanalitica) che aveva di sovente sottolineato quanto il nostro apparato mentale fosse inadeguato ai suoi compiti e dall’altra parte di riconnettermi a quella parte di me che, durante il corso di medicina, si era interessato ed aveva studiato di neurobiologia (per anni avevo lavorato nel laboratorio di neurochimica e mi ero poi laureato con una tesi sperimentale sui mediatori colinergici dei farmaci ansiolitici).

Stimolato dalle parole di Kandel, che ho prima ricordato, mi misi a studiare intensamente - un collaborazione con Beatrice Cannella - e dopo alcuni anni (2005) la nostra ricerca si concretizzò prima nella pubblicazione su Psychomedia di Pionieri o Emigranti? Viaggio con la psicoanalisi nelle terre di confine (lo avevamo intitolato così prendendo in prestito una felice formulazione di Diego Napolitani), libro che abbiamo poi aggiornato nel 2007

Pionieri o Emigranti? Viaggio con la psicoanalisi nelle terre di confine

e poi con il testo, edito per i tipi di Raffaello Cortina, La psicoanalisi nelle terre di confine

La psicoanalisi nelle terre di confine

Il libro era essenzialmente rivolto ai nostri studenti ed era il tentativo di mettere un punto ad anni di ricerca; per poi da lì ripartire. Non aveva grandi ambizioni ed era uno dei primi (pochi) che sarebbero poi comparsi sul tema del dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze, sulla scia del lavoro pionieristico che avevano svolto in Italia in quegli anni un gruppo di colleghi napoletani (ricordo qui Franco Scalzone) e Mauro Mancia a Milano.
Più in generale era il tentativo di tener vivo l’interesse, e insieme di indicare una possibile linea metodologica da perseguire. Non, cioè, partire dalla teoria psicoanalitica per assimilare corrispondenze o eventuali conferme dalle acquisizioni delle neuroscienze (che è, per esempio, la linea di tendenza della neuropsicoanalisi classica) ma invece leggere e spaziare nel mondo delle neuroscienze cercando di renderle meno mindless, secondo la recente fortunata espressione di Filippo Cieri, tenendo, per così dire, le nostre conoscenze psicoanalitiche nel backstage della mente alla ricerca di possibili suggestioni o della possibile creazione di nuovi pensieri selvatici (che è, per esempio, la direzione che mi pare abbiano cercato più recentemente di assumere i lavori di Rosa Spagnolo e del suo gruppo romano IPD/NPSA).


Ho continuato ad occuparmi del tema del dialogo tra neuroscienze e psicoanalisi nel mio blog

>La psicoanalisi nelle terre di confine

e in vari successivi contributi (articoli e capitoli di libri, per i quali rimando il lettore alla sezione 'I miei scritti'), conferenze e seminari e nel mio corso "In dialogo con la psicoanalisi" che viene aggiornato ogni anno.
Internet e la ciberpsicologia
Iniziando la mia attività nei servizi territoriali di salute mentale avevo partecipato ad un progetto di mappatura della realtà socio-demografica della popolazione, che aveva potuto avvalersi dell’uso del mini-computer dell’Università: ore passate a preparare schede perforate (erano gli anni ’70!) per ricavarne poi significativi dati statistici.
Rimasi, ricordo, affascinato da quello strumento e, appena mi fu possibile, cominciai a fare esperienza della nascente disciplina dell’informatica compilando i miei primi programmi, certo molto semplici, sul mio Commodore 64.

L’avvento dei PC mi trovò naturalmente molto interessato e motivato ad apprendere le potenzialità dello strumento, che un modem mi consentiva di utilizzare in rete con altri (erano i BBS: non esisteva ancora Internet!). Un master in Intelligenza artificiale e sistemi esperti, conseguito nel 1988, mi aiutò a sistematizzare le mie conoscenze in termini di linguaggi di programmazione e di comprensione dei possibili sviluppi della disciplina.

Ma la svolta avvenne nell’incontro con un amico ricercatore (Gian Paolo Zara) che utilizzava la meravigliosa novità costituita da Internet (con una complicata interazione a caratteri, non certo con le icone delle moderne applicazioni).

Riuscì a farmi mettere a disposizione una delle prime connessioni disponibili in Italia e cominciai un fantastico viaggio di esplorazioni, nuove conoscenze e incontri che non si è mai fermato: il quotidiano cittadino, La Stampa, mi offrì la possibilità di farne divulgazione con una rubrica bisettimanale (1995-1996).

Internet divenne rapidamente il mio strumento quotidiano di studio, di informazione ed anche (poco!) di intrattenimento.

Ben presto mi trovai a contatto con la nascente disciplina della ciberpsicologia, a partire dal classico testo The Psychology of Cyberspace di John Suler; e da qui il passo fu breve e quasi obbligato nell'interessarmi al tema della terapia a distanza...

Scrissi le mie prime riflessioni in argomento nel 1998, sulla rivista Psiche: Internet: una sfida (una bozza del lavoro è pubblicata altrove sul mio sito).

Decidemmo poi di approfondire i termini della questione e ne discutemmo a lungo nell'ambito dell'Online Therapy Study Group (2000-2001), coordinato con me da Pietro Roberto Goisis; ne scaturì nel 2002 un corposo articolo Psicoterapia online: un vestito su misura..., pubblicato nel volume @psychotherapy, a cura di Tonino Cantelmi, Simonetta Putti e Massimo Talli (una versione del testo è pubblicata su Psychomedia).

Nel settembre del 2021, ancora con Pietro Roberto Goisis ho curato la seconda parte, intitolata "La questione online. Problemi e opportunità" del numero della rivista Funzione Gamma dedicato a "La pandemia e la terapia online".

La parte che abbiamo curato si articola in cinque sezioni:
Come siamo arrivati fin qua?
La pandemia Covid-19: un anno di esperienza online
Riflessioni teoriche
L'esperienza clinica
Dall'altra parte dello schermo

ed è conclusa dalle immagini di un book fotografico Immagini dai setting,
e dalle nostre conclusioni Postfazione: uno sguardo tra le reti.

Particolarmente pregevoli, a mio avviso, il lavoro di Paolo Migone, e le interviste con
Marlene M. Maheu e Stefano Bolognini.

Di mio segnalo
l'articolo introduttivo (La preistoria, un esperienza clinica e l'Online Therapy Study Group), scritto con Pietro Roberto Goisis,
la rassegna della letteratura internazionale precedente la pandemia (La psicoterapia online prima della pandemia Covid-19 nella letteratura internazionale, con particolare riferimento al mondo nordamericano)
e il tentativo di riflettere, con Beatrice Cannella, sui problemi posti dai nuovi setting online
(La terapia online: setting e corporeità).

La pubblicazione del numero speciale della rivista ha stimolato una serie di incontri e seminari sul tema, culminati, alla fine del 2022, nella pubblicazione, sempre con Pietro Roberto Goisis, di un lavoro sulla Rivista di Psicoanalisi nel numero monografico sul rischio (LXVIII, 3, luglio-settembre 2022) dal titolo
Le sfide della terapia online. La psicoanalisi di fronte al cambiamento .
Questo lavoro è stato poi tradotto in inglese e pubblicato su
The Italian Psychoanalytic Annual, 2023.

Gli anni della formazione
Credo di essere e di essere sempre stato solo una persona curiosa e ben disponibile a studiare per seguire il filo delle mie passioni: e di avere avuto la fortuna di incontrare maestri generosi che si sono presi cura della mia crescita personale.

Mi piace pensare che la filosofia, che ho molto amato durante il mio percorso liceale, abbia concorso a costruire in me un’attitudine critica di disponibilità al dubbio, di apertura al dialogo con le posizioni diverse dalle mie, di consapevolezza delle limitazioni e delle aporie delle mie conoscenze: il senso della libertà, mi verrebbe da dire, che – certo – mi ha spesso messo in difficoltà con i vincoli delle appartenenze ma che penso si sia poi consolidato durante la mia analisi con Tommaso Senise, che di libertà scriveva e del perseguimento della libertà aveva fatto il suo canone etico di riferimento.

La laurea in medicina a Torino (1971), la specialità in psichiatria a Milano (1975), la scuola di psicoterapia di via Ariosto a Milano (dal 1976 al 1980) e infine, quando potei permettermelo, il training alla SPI, conclusosi con l’associatura nel 1990, furono come una specie di viaggio abbastanza lineare in quello che avevo disegnato come il percorso ottimale della mia formazione.
L'insegnamento
Per una serie di circostanze sfavorevoli dovetti rinunciare al mio progetto di intraprendere la carriera universitaria, che mi ero immaginato avrebbe potuto ben coniugare il mio interesse per la ricerca con la possibilità di insegnare – che mi gratificava molto

Ma fui in parte risarcito, anni dopo (dal 2005 al 2013), con la possibilità di diventare docente a contratto alla facoltà di Psicologia a Torino (corso di Psicosomatica), poi ad Aosta (corso di Neurobiologia dell'esperienza relazionale) e infine al San Raffaele di Milano (Psicoanalisi e Neuroscienze) in un corso gestito insieme con Vittorio Gallese.

Conclusa l'esperienza universitaria ho continuato a insegnare in alcune scuole di specializzazione in psicoterapia:

a Milano, alla
Scuola di Psicoterapia della SIPRe
SIPRe

a Prato, alla
Scuola di Psicoterapia Erich Fromm
SIPRe

e a Ravenna, alla
Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica
SIPRe.
Studiare W. R. Bion, con Parthenope
Al Centro Torinese di Psicoanalisi ebbi la fortuna di incontrare Parthenope Bion

Parthenope Bion

e di studiare, sotto la sua guida, il pensiero di suo padre, Wilfred R. Bion

Wilfred R. Bion

Tutto ebbe inizio, su sollecitazione di Parthenope, nel 1992 con la costituzione di un gruppo di studio su Bion; poi il lavoro di approfondimento continuò anche individualmente sulla scorta di una celebre affermazione proprio di Parthenope, in un suo lavoro del 1987:
... non possiamo dirci bioniani, perché esserlo significa essere in primo luogo noi stessi, essere mentalmente liberi nei nostri viaggi di scoperta - sempre, però, sulla base di una ferrea disciplina personale, perché libertà e anarchia non sono sinonimi

Furono - quelli - gli anni in cui celebri affermazioni di Bion, che avrei poi avuto modo, negli anni successivi, di riprendere più volte, determinarono la mia cifra di psicoanalista ...

Per esempio:

Gli psicoanalisti studieranno la mente viva? O l'autorità di Freud verrà usata come un deterrente, come una barriera di ostacolo allo studio delle persone? Il rivoluzionario diventa rispettabile: e così diventa una barriera contro la rivoluzione. L'invasione dell'animale da parte di un germe o di un'anticipazione di uno strumento di pensiero accurato è mal vissuto dai sentimenti di cui si è già in possesso. Questa guerra non è ancora finita.

O ancora:

Quando due personalità si incontrano, si crea una tempesta emotiva. Se fanno abbastanza contatto da essere consapevoli l'un dell'altro o anche abbastanza da esserne inconsapevoli, la congiunzione di questi due individui produce uno stato emotivo e il disturbo che ne risulta non necessariamente ha da essere considerato come un miglioramento rispetto a prima nello stato delle cose. Ma, visto che si sono incontrati e visto che la tempesta emotiva si è verificata, le due parti in gioco in questa tempesta possono decidere di cavarsela alla meno peggio in un brutto affare (making the best of a bad job).
... il brutto affare sono io. Non posso essere completamente analizzato - non credo che esista una cosa del genere. L'analisi un giorno o l'altro deve finire; dopo di che debbo fare il meglio che posso con quello che sono.

Risale a quel periodo la traduzione, fatta insieme, di Cogitations. Pensieri.

Nel 1997 Parthenope ed io curammo l'organizzazione a Torino dell' Conference International Centennial Conference on the Work of W. R. Bion.

I lavori presentati alla Conference furono preventivamente pubblicati su Internet e sono ancora disponibili.
Per l'occasione lanciai la mailing list "bion97", che è tuttora attiva.
Alla Conference distribuimmo la mia traduzione di Taming Wild Thoughts.

I lavori più significativi presentati alla Conference furono poi pubblicati nel volume Lavorare con Bion, edito da Borla, e nei due volumi Bion's Legacy to Groups e W.R. Bion. Between Past and Future pubblicati da Karnac.

La prematura scomparsa di Parthenope, avvenuta nel 1998, pose fine a questa esperienza di studio, lasciando un grande lutto ed una grande mancanza...
Le dedicai, qualche tempo dopo, il ricordo del Parthenope Bion Talamo Memorial Site...
I miei scritti

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